25 novembre 2004

Ecco come Israele tratta gli Italiani.

Impegnato com'era a genuflettersi davanti ad ogni ministro o personalità israeliana che gli capitava a tiro, al neo ministro degli Esteri Fini deve evidentemente essere sfuggito l'amaro caso della nostra concittadina Ezia Quagliozzi, caso veramente emblematico del rispetto che Israele manifesta per i diritti delle persone (naturalmente quando non si tratta di ebrei...).
Ezia Quagliozzi è una cittadina italiana che nel nostro Paese ha incontrato e sposato un Palestinese, Maher Sha'abaneh; Maher ha studiato in Italia, è divenuto odontotecnico e qui è nata la loro prima figlia, Linda.
Tre anni fa la coppia decide di stabilirsi a Ramallah, nel West Bank, dove Maher avvia uno studio dentistico, e lì cominciano i problemi, dato che a Ezia non viene permesso di ricongiungersi in via definitiva a suo marito e a sua figlia, in quanto le autorità israeliane si limitano a rilasciare, di volta in volta, dei permessi turistici, costringendola ad andare avanti e indietro dall'Italia.
Nell'aprile 2003, giunta a Ramallah con un ennesimo visto valido due settimane ed essendo incinta di sette mesi, Ezia va incontro a complicazioni di salute, che la costringono ad un parto cesareo nell'ospedale di Ramallah, dove viene alla luce il secondogenito Ahmed.
A causa delle sue condizioni di salute, Ezia non può ritornare in Italia, ma le autorità israeliane si rifiutano di concederle una proroga della sua permanenza, che diviene così illegale.
Tornata in Italia, Ezia, il 17 ottobre, giunge nuovamente all'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, ma qui le viene negato l'ingresso in Israele, non avendo in precedenza rispettato, pur senza colpa come abbiamo visto, la validità del suo permesso turistico.
Adesso Ezia è ad Amman, in Giordania, e da oltre un mese tenta in tutti i modi di poter raggiungere la sua famiglia, suo marito, i suoi due figli, persa nelle pastoie burocratiche israeliane e nell'indifferenza dei cittadini di Israele per tutto ciò che è straniero, o meglio, non ebreo.
Ancora una volta, non vengono rispettati i più elementari diritti dell'uomo, il diritto al ricongiungimento familiare, il diritto a vivere con i propri cari, e in questo caso non sussistono neanche quei "problemi di sicurezza" che, a ogni pie' sospinto, Israele tira fuori per giustificare ogni violazione del diritto umanitario, ogni nefandezza, ogni crimine.
E' una situazione simile, del resto, a quella già esaminata a proposito della Legge sulla cittadinanza e l'ingresso in Israele (vedi precedente post "La discriminazione razziale in Israele" - archivio settembre).
E le nostre autorità, il nostro console, il nostro ministro degli Esteri?
Troppo occupati per trattare queste storie di piccola quotidianità, una ennesima pagina dei soprusi commessi ad opera di quel magnifico e civile Paese che è Israele.

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23 novembre 2004

Il degrado morale dell'esercito israeliano.

Può cambiare tutto nello scenario palestinese, ma l'unica cosa che rimane immancabile ed immutabile è il lento ma costante massacro della popolazione civile palestinese ad opera dell'esercito israeliano.
Sabato scorso a Nablus, in Cisgiordania, le truppe di Tsahal hanno trucidato Amar Banaat e Monsur Hadada, entrambi 15enni, due ragazzini che partecipavano ad una manifestazione di protesta contro l'occupazione militare israeliana, durante la quale erano state scagliate delle pietre contro gli automezzi dell'Idf.
Per l'ennesima volta, al lancio di pietre i valorosi soldati israeliani rispondono sparando e uccidendo ragazzini disarmati, eppure anche stavolta (come sempre!) nessun soldato israeliano era rimasto ferito, neppure lievemente.
Quasi contemporaneamente, a sud di Gaza, il fuoco dell'Idf feriva altri quattro civili inermi, tra cui un 60enne e due bambini.Nella sola settimana dall'11 al 18 novembre, l'esercito israeliano ha ucciso 7 palestinesi, di cui 5 civili, inclusa una donna, con l'aggiunta di un civile egiziano; 370 ettari di terreni agricoli sono stati devastati, decine di case distrutte.
Secondo i dati forniti dal Coordinatore Speciale Onu per il medio oriente Terje Roed-Larsen alla riunione del Consiglio di Sicurezza del 15 novembre, dall'inizio della seconda Intifada sono stati uccisi 3.895 palestinesi e 983 israeliani, mentre i feriti ammontano rispettivamente a 36.620 e a 6.360.
Cifre impressionanti che da sole valgono a ben raffigurare il bagno di sangue in atto in Palestina, sempre più un bagno di sangue innocente.
Tra il 24 e il 25 ottobre l'esercito israeliano ha condotto una operazione a Khan Younis in cui sono morti 16 palestinesi, tra cui un bambino di 11 anni; il 28 ottobre, sempre a Khan Younis, una bambina palestinese di 9 anni è stata uccisa da colpi di fucile mentre si recava a scuola; il 30 ottobre, a Jenin, un ragazzo 12enne è stato massacrato durante un'operazione di Tsahal iniziata il 27 ottobre.
Ormai gli israeliani sparano a vista, senza curarsi di chi si trovano di fronte, uomini, donne, bambini, oppure soldati egiziani come è accaduto qualche giorna fa.
La Convenzione di Ginevra è carta straccia, i Palestinesi non sono più considerati alla stregua di esseri umani con dei diritti da rispettare, la vita umana di un palestinese non vale più nemmeno uno sheckel.
L'esercito israeliano (o la società israeliana?) vive un degrado morale senza precedenti, e i primi a rendersene conto sono proprio gli israeliani (o meglio, alcuni di essi), visto che è lo stesso quotidiano Ha'aretz, in un recente articolo, a parlare di "atrofia morale".
Un altro quotidiano, lo Yediot Ahronot, ha evidenziato un altro scandalo, un altro caso di scempio morale, quello delle foto dei soldati israeliani in posa vicino a cadaveri di palestinesi esibiti come trofei, una testa tagliata con in bocca una sigaretta, un civile ucciso per errore portato in giro per "gioco": foto che si scambiano e si vendono per cinquanta centesimi di euro o giù di lì...
E' ancora fresca nella memoria l'atrocità e la barbarie dell'uccisione di Imam al-Hams, una ragazzina palestinese 13enne ferita mentre andava a scuola dai soldati (d'elité!) della brigata Givati, e poi freddata da un ufficiale a distanza ravvicinata (la triste pratica del "confirm to kill" applicata a una bambina ferita e stesa a terra in fin di vita!).
Adesso quest'ufficiale è sotto processo, ma come dimenticare che il capo di stato maggiore dell'esercito israeliano, Moshe Ya'alon, prima dell'arresto, aveva dichiarato che nel comportameno dell'ufficiale non aveva riscontrato nulla di illegale né di "immorale"?
Forse Israele, prima di chiedere alla nuova dirigenza palestinese di combattere il terrorismo, dovrebbe iniziare a far pulizia al proprio interno, e cominciare a metter ordine in quella banda di criminali assetati di sangue in cui si è trasformato l'esercito israeliano.

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18 novembre 2004

Ennesimo tragico "incidente" a Gaza.

Nelle prime ore di stamattina, un carro armato israeliano ha sparato per errore contro truppe egiziane, uccidendo tre soldati delle forze di sicurezza.
Questo ennesimo "incidente" è avvenuto nell'area di Rafah - Striscia di Gaza - lungo la cd. Philadelphi Route, cioè quella zona di confine tra i Territori palestinesi e l'Egitto che, anche dopo il ritiro farsa da Gaza (vedi post precedente), continuerà ad essere presidiata dall'esercito israeliano: cominciamo bene!
Secondo il generale David Menachem, comandante delle truppe israeliane nella Striscia, l'errore è stato causato dalla distanza (circa duecento metri), dal forte maltempo e dall'oscurità (era notte fonda): così si spiegherebbe come i soldati israeliani abbiano potuto scambiare le truppe egiziane per dei "commandos" palestinesi che "trasportavano esplosivi".
Ennesimo "incidente", dicevamo, causato dal "grilletto facile" di Tsahal, dove si usa prima sparare e poi controllare a chi si è sparato.
Salvo poi chiedere scusa se ci si accorge di avere ucciso per errore degli innocenti, come ha fatto Sharon telefonando al Presidente egiziano Mubarak.
O nemmeno quello, quando a morire per un "tragico incidente" sono civili palestinesi disarmati.

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