31 maggio 2010

La solita vignetta antisemita...


("Gaza Freedom Flotilla attacked" di Carlos Latuff)

La solita vignetta antisemita, postata da quell'antisemita viscerale che anima questo blog.

Ma, essendo pronto a ricredermi e a fare atto di contrizione, vorrei che qualcuno mi indicasse un termine di paragone che, meglio del nazismo, valga a descrivere l'orrore e il raccapriccio che in molti (me compreso) ha provocato un'operazione militare (rectius, un massacro) come quella denominata "Piombo Fuso", che ha visto la morte di oltre 1.400 Palestinesi, l'83% dei quali civili inermi, e - tra essi - quella di ben 352 bambini.

Davvero, vorrei che qualcuno mi spiegasse che è sbagliato paragonare il trattamento degli ebrei del ghetto di Varsavia a quello gentilmente offerto da Israele a un milione e mezzo di Palestinesi rinchiusi nella Striscia di Gaza, privati di beni essenziali quali la carne fresca ma anche la cioccolata o i biscotti e financo i giocattoli, e mantenuti in vita sulla base di un documento segreto (Food Consumption in Gaza - Red Lines) che indica le esigenze minime nutrizionali della popolazione di Gaza, sulla base degli apporti calorici e dei grammi di cibo, il sesso e l'età dei residenti: come in un lager!

Vi prego, qualcuno mi aiuti a capire che la vignetta qui sopra è profondamente ingiusta e venata da pregiudizio antisemita, perchè non si può paragonare all'assalto di una bieca piovra con la svastica l'eroica azione della Marina israeliana, che ha impedito che nella Striscia di Gaza giungesse un carico di diecimila tonnellate di aiuti umanitari, medicinali, attrezzature mediche, carrozzelle elettriche, uccidendo a questo scopo dieci (o 19, ancora non si capisce bene) generosi attivisti, che hanno dato la vita per un gesto di eroica solidarietà umana.

Nell'attesa, mi tengo questa vignetta, che è sempre meglio del titolo a tutta pagina del Giornale che sarà in vendita tra poche ore nelle edicole di tutta Italia: ISRAELE HA FATTO BENE A SPARARE.

L'apologia del crimine e dell'assassinio più brutale e spietato ad opera di quel gran maestro del giornalismo che risponde al nome di Vittorio Feltri. Davvero, non ci sono parole.

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Assassini!

L’avventura della Freedom Flotilla doveva rappresentare una pagina coraggiosa nella storia della resistenza non violenta all’assedio criminale che Israele ormai da anni mantiene a danno di un milione e mezzo di Palestinesi che vivono nella Striscia di Gaza: una flotta di sei navi con diecimila tonnellate di aiuti e di materiali e 700 persone provenienti da tutto il mondo, dirette a Gaza.

Ma Israele – che aveva manifestato l’intenzione di fermare le navi con la forza e aveva già provveduto ad allestire nel porto di Ashdod un campo di prigionia per gli attivisti – ha mantenuto la sua promessa e ha trasformato quest’operazione puramente umanitaria in un bagno di sangue: 15 morti (ma per altre fonti, una ventina), assassinati dai commandos israeliani calatisi sulle navi dagli elicotteri Apache.

Tremiamo per la sorte dei nostri connazionali a bordo, tra cui ricordiamo l’ex senatore Fernando Rossi e Monia Benini del movimento “Per il Bene Comune” e Angela Lano di Infopal, anche se le prime notizie ci dicono che nessun italiano è rimasto ucciso o ferito nell’assalto.

Qui di seguito riporto i primi resoconti che ho ricevuto via email, quando il bilancio delle vite umane spezzate dal crimine israeliano era purtroppo ancora ben lontano dalla realtà. Voglio solo ricordare come l’assalto israeliano sia avvenuto in acque internazionali, ai danni di un convoglio umanitario: un vero atto di pirateria, l’ennesimo crimine ingiustificato e ingiustificabile commesso dagli assassini israeliani in divisa.

Siamo in attesa di leggere le vibranti proteste e la ferma condanna che la Ue e, soprattutto, il governo italiano sapranno sicuramente indirizzare nei confronti di Israele.

CIVILI DISARMATI ATTACCATI E UCCISI DA ISRAELE
(Cipro 1 Giugno 2010, 6:30)

Nel cuore della notte, commandos Israeliani hanno abbordato la nave passeggeri Turca "Mavi Marmara" sparandole contro. Il filmato indiretta streaming dall'imbarcazione mostra che 2 persone sono state uccise e 31 ferite. Al Jazeera ha appena confermato questi numeri. Israele ha dichiarato che sta entrando in possesso delle imbarcazioni.

Lo streaming video mostra i soldati Israeliani che sparano a civili, e il nostro ultimo messaggio SPOT diceva ; "Aiutateci, siamo stati abbordati dagli Israeliani".

La coalizione formata dal Free Gaza Movement (FG), European Campaign to End the Siege of Gaza (ECESG), Insani Yardim Vakfi (IHH), Perdana Global Peace Organisation , Ship to Gaza Greece, Ship to Gaza Sweden, e International Committee to Lift the Siege on Gaza lancia un appello alla comunità internazionale per chiedere a Israele di fermare questo brutale attacco contro civili che stavano tentando di portare aiuti di vitale importanza ai palestinesi imprigionati a Gaza e di consentire alle navi di continuare il loro cammino.

L'attacco è avvenuto in acque internazionali, a 75 miglia al largo della costa di Israele, in violazione del diritto internazionale.

Contatti:

Greta Berlin - +357 99187275
Mary Hughes,
Audrey Bomse, +357 96489805

PIRATI ED ASSASSINI

Apprendiamo ora dalla televisione turca, ore 7 italiane, che le navi della Flottilla sono state abbordate dai militari israeliani che ne hanno preso il possesso.

Due i volontari pacifisti assassinati e oltre 30 i feriti, tra equipaggio e personale umanitario, in seguito all'aggressione, in perfetto stile piratesco, della Marina israeliana, che non si accontenta e limita ad occupare tutta la Terra Santa, ma occupa anche tutto il mare prospicente ben addentro le acque internazionali, dove nessuno può reclamare diritti nazionali.

Solo la pirateria israeliana lo può: una marina eletta.

Questo atto, di inaccettabile prepotenza e criminale ferocia, oltretutto messo in atto contro persone assolutamente indifese e disarmate, è l'ennesimo tassello che pone Israele e la sua politica sionista fuori dalla Comunità internazionale e rende assolutamente impossibile, visto che qualcuno l'ha fantascientificamente ipotizzato, il suo ingresso nella EU.

Anzi, quegli onorevoli italiani, che siedono in Parlamento con doppio passaporto, italiano e israeliano, che tanto si affannano a impedire qualsiasi critica o azione contro la delinquenziale politica coloniale israeliana, dovrebbero essere rimossi dalle posizioni di responsabilità in cui si trovano, in quanto inadatti e non affidabili per difendere gli interessi e l'immagine dell'Italia e degli italiani, in patria e nel mondo.

Solidarietà con i convogli umanitari sotto sequestro illegale.

Solidarietà con la Terra Santa occupata e che soffre.

E speriamo che l'amica Angela Lano di InfoPal.it, insieme agli altri italiani presenti sulle navi, siano incolumi.

Redazionale di Terrasantalibera
- 31 maggio 2010 - ore 6.05 (London time)
http://www.terrasantalibera.org/

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28 maggio 2010

Rapporto di Amnesty 2010: Israele e Territori palestinesi occupati.


In questi giorni Amnesty International ha pubblicato il suo rapporto annuale sulla situazione dei diritti umani nel mondo nel corso del 2009.

La lettura della sezione che riguarda le violazioni dei diritti umani e i crimini di guerra commessi da Israele è semplicemente raccapricciante: uccisione indiscriminata di civili (si stima che l'83% dei Palestinesi uccisi fossero civili inermi), massacri di bambini (330, pari al 24% del totale degli uccisi), uso indiscriminato di fosforo bianco e altri armamenti proibiti in zone densamente popolate, attacchi a ospedali e personale medico e paramedico, uso di civili come scudi umani, il crimine della punizione collettiva costituita dall'assedio della Striscia di Gaza - un vero e proprio lager in cui continuano ad essere rinchiusi un milione e mezzo di Palestinesi.

Non si era mai vista, in questo nostro tempo, un'operazione militare come quella scatenata da Israele nella Striscia di Gaza, non si era mai visto che fosse negato ai civili l'accesso ai soccorsi e alle cure mediche, non si era mai visto che ai civili fosse addirittura impedito di fuggire dalle zone dei combattimenti.

E non si riesce a capire come uno Stato-canaglia come quello israeliano - responsabile di tali e tanti crimini - non solo non venga bandito dal consesso delle nazioni civili e isolato politicamente ed economicamente, ma sia stato di recente ammesso all'interno dell'OCSE.

Ma capisco bene che un simile commento - per una folta schiera bipartisan dei nostri politici - possa essere considerato antisemita. O forse, addirittura, lo stesso rapporto di Amnesty.


Stato d'Israele
Capo di stato: Shimon Peres
Capo del governo: Binyamin Netanyahu (subentrato a Ehud Olmert a marzo)
Pena di morte: abolizionista per i reati ordinari
Popolazione: 7,2 milioni (Israele); 4,3 milioni (Opt)
Aspettativa di vita: 80,7 anni (Israele); 73,3 anni (Opt)
Mortalità infantile sotto i 5 anni (m/f): 6/5‰ (Israele); 23/18‰ (Opt)
Alfabetizzazione adulti: 97,1% (Israele); 93,8% (Opt)

Le forze israeliane hanno commesso crimini di guerra e altre gravi violazioni del diritto internazionale nella Striscia di Gaza durante l'offensiva militare di 22 giorni dal nome in codice operazione "Piombo fuso" conclusasi il 18 gennaio. Tra le varie cose, hanno sferrato attacchi indiscriminati e sproporzionati contro civili, preso di mira e ucciso personale medico, usato civili palestinesi come "scudi umani" e lanciato in maniera indiscriminata fosforo bianco su zone residenziali densamente popolate. Più di 1380 palestinesi, compresi più di 330 bambini e centinaia di altri civili, sono rimasti uccisi. Gran parte di Gaza è stata rasa al suolo, lasciando infrastrutture vitali distrutte, l'economia in rovina e migliaia di palestinesi senzatetto.

Le forze israeliane hanno continuato a imporre forti restrizioni di movimento nei confronti dei palestinesi all'interno dei Territori palestinesi occupati (Opt) per l'intero anno, ostacolando l'accesso a servizi essenziali e alla terra. Le restrizioni hanno compreso un blocco militare della Striscia di Gaza, che ha di fatto reso prigionieri 1,5 milioni di residenti, provocando una crisi umanitaria. Ciononostante, Israele ha spesso fermato l'ingresso a Gaza degli aiuti internazionali e dell'assistenza umanitaria. Il permesso di lasciare Gaza per ricevere cure mediche è stato negato o ritardato per centinaia di palestinesi gravemente ammalati e almeno 28 persone sono morte mentre attendevano l'autorizzazione per poter uscire. Le forze israeliane hanno continuato a sgomberare con la forza i palestinesi, a demolire le loro abitazioni e a espropriare i loro terreni nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme Est, mentre hanno concesso alle colonie israeliane di espandersi sui terreni illegalmente confiscati ai palestinesi.

Per tutto l'anno, le forze israeliane hanno impiegato forza eccessiva e, in taluni casi, letale contro civili palestinesi. Non sono cessate le accuse di maltrattamento nei confronti di detenuti palestinesi e raramente sono state indagate. Centinaia di persone sono state sottoposte a detenzione amministrativa senza accusa; altre hanno scontato sentenze imposte al termine di processi militari iniqui. Soldati e coloni israeliani che hanno compiuto gravi violazioni dei diritti umani nei confronti dei palestinesi hanno di fatto goduto dell'impunità.

Contesto

Le elezioni parlamentari israeliane di febbraio hanno visto una crescita del sostegno verso i partiti dell'ala destra e la formazione di una coalizione di governo che comprendeva il Partito laburista, il partito dell'ala destra Likud e quello di ultra destra Yisrael Beitenu. Il governo statunitense ha invitato più volte Israele a fermare l'insediamento delle colonie come primo passo per far ripartire il processo di pace ma le sue richieste sono rimaste inascoltate.

Operazione "Piombo fuso"

L'offensiva militare israeliana su Gaza, durata 22 giorni, e lanciata senza preavviso, aveva il dichiarato proposito di porre fine ai lanci di razzi su Israele da parte di fazioni armate affiliate ad Hamas e altri gruppi palestinesi. L'offensiva ha ucciso più di 1380 palestinesi ferendone all'incirca 5000, molti dei quali in modo grave. Oltre 1800 dei feriti erano bambini. Migliaia di abitazioni civili, edifici commerciali e pubblici sono andati distrutti. Interi quartieri sono stati rasi al suolo. L'elettricità, l'acqua e i sistemi di fognatura sono risultati gravemente danneggiati, così come altre infrastrutture essenziali. Vasti appezzamenti di terreni agricoli e molti beni industriali e commerciali sono stati distrutti. Gran parte della devastazione è risultata gratuita e deliberata e non trova giustificazioni in motivazioni di natura militare. Tredici israeliani sono rimasti uccisi nei combattimenti, compresi tre civili uccisi da razzi e mortai sparati da gruppi armati palestinesi nel sud di Israele (cfr. Autorità Palestinese).

Prima e durante l'operazione "Piombo fuso", l'esercito israeliano ha rifiutato l'ingresso a Gaza di osservatori indipendenti, giornalisti, organismi di monitoraggio dei diritti umani e operatori umanitari, di fatto tagliando Gaza fuori dal mondo esterno. Le autorità si sono inoltre rifiutate di collaborare con un'inchiesta del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani (Hrc).

Il rapporto dell'Hrc, pubblicato a settembre e noto come Rapporto Goldstone, ha accusato sia Israele che Hamas di crimini di guerra e di possibili crimini contro l'umanità a Gaza e nel sud d'Israele. Il rapporto raccomanda che i responsabili di crimini di guerra siano assicurati alla giustizia.

Le autorità israeliane non hanno istituito alcuna inchiesta indipendente o imparziale sulla condotta delle proprie forze durante l'operazione "Piombo fuso", sebbene siano state condotte alcune indagini interne.

Uccisioni illegali

Centinaia di civili sono stati uccisi durante gli attacchi israeliani condotti tramite il lancio di munizioni a lungo raggio sparate da aerei da combattimento, elicotteri e droni [aerei senza pilota, N.d.T.], o da carri armati piazzati a diversi chilometri di distanza dal loro bersaglio. Le vittime non sono state colpite nel fuoco incrociato o mentre proteggevano militanti, ma sono state uccise nelle loro abitazioni mentre dormivano, o svolgevano le loro attività quotidiane o mentre giocavano. Alcuni civili, bambini compresi, sono stati uccisi da distanza ravvicinata quando non rappresentavano alcuna minaccia alle vite dei soldati israeliani. Paramedici e ambulanze sono stati ripetutamente attaccati mentre soccorrevano i feriti, provocando diversi morti.

Decine di civili sono rimasti uccisi e feriti da armi con un inferiore grado di precisione, come lanci di artiglieria e di mortaio, e granate di "flechette" sparate dai carri armati.

Il fosforo bianco è stato ripetutamente sparato in maniera indiscriminata su zone residenziali densamente popolate, uccidendo e ferendo civili e distruggendone le proprietà.

Molti di questi attacchi hanno violato il diritto internazionale in quanto sproporzionati e indiscriminati; in quanto indirizzati a colpire civili e obiettivi civili, compreso personale medico e veicoli sanitari; in quanto non erano state adottate tutte le debite precauzioni per minimizzare i rischi verso i civili; e in quanto non era stato concesso un tempestivo accesso o passaggio dei mezzi e del personale di soccorso.

*Il 4 gennaio, Sa'adallah Matar Abu Halima e quattro suoi figli sono rimasti uccisi da un attacco al fosforo bianco lanciato sulla loro abitazione, nella zona di Sayafa, nel nord-ovest di Gaza. Sua moglie Sabah è rimasta gravemente ustionata e ha raccontato ad Amnesty International di aver visto la sua neonata Shahed sciogliersi nelle sue braccia. Poco dopo l'attacco, soldati israeliani hanno ucciso a colpi d'arma da fuoco sparati a distanza ravvicinata i cugini Matar e Muhammad Abu Halima, mentre tentavano di portare in ospedale i loro parenti ustionati.

*Nella notte del 6 gennaio, 22 membri della famiglia al-Daya, in maggioranza donne e bambini, sono rimasti uccisi quando un F-16 israeliano ha bombardato la loro abitazione nel distretto al-Zaytoun di Gaza City.

Attacchi a obiettivi civili

Le forze israeliane hanno attaccato ospedali, personale medico e ambulanze così come strutture umanitarie, compresi gli edifici dell'Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati palestinesi nel vicino oriente (Unrwa). Almeno 15 dei 27 ospedali di Gaza sono rimasti danneggiati, alcuni in modo esteso; circa 30 ambulanze sono state colpite e 16 operatori sanitari sono rimasti uccisi. Amnesty International non ha rilevato prove che Hamas o militanti armati avessero usato gli ospedali come luoghi in cui nascondersi o per sferrare attacchi e le autorità israeliane non hanno fornito prove che suffragassero tali asserzioni.

*Tre paramedici, Anas Fadhel Na'im, Yaser Kamal Shbeir e Raf'at Abd al-'Al, sono rimasti uccisi il 4 gennaio a Gaza City da un missile israeliano, mentre raggiungevano a piedi due uomini feriti. Anche un ragazzo di 12 anni, Omar Ahmad al-Barade'e, il quale stava mostrando loro la strada, è rimasto ucciso.

*Circa alle 6 di mattina del 17 gennaio, una granata d'artiglieria al fosforo bianco è esplosa nella scuola primaria dell'Unrwa a Beit Lahia, dove si erano rifugiate più di 1500 persone. Due bambini, Muhammad al-Ashqar e suo fratello Bilal, rispettivamente di cinque e sette anni, sono rimasti uccisi. Oltre una dozzina di altri civili che si erano rifugiati nella scuola sono rimasti feriti.

Uso di civili come "scudi umani"

In diverse occasioni soldati israeliani hanno usato civili palestinesi, bambini compresi, come "scudi umani" durante operazioni militari o li hanno costretti a portare a termine compiti pericolosi. Soldati israeliani hanno inoltre lanciato attacchi dai pressi di case abitate.

*Per due giorni a partire dal 5 gennaio, le forze israeliane hanno usato Yousef Abu 'Ida, sua moglie Leila e i loro nove figli come "scudi umani", all'interno della loro abitazione di Hay al-Salam, a est di Jabalia, mentre utilizzavano la casa come postazione militare. Hanno poi costretto la famiglia a uscire e hanno distrutto la casa.

Blocco dell'assistenza umanitaria

Le forze israeliane hanno deliberatamente bloccato e altrimenti ostacolato i soccorsi di emergenza e l'assistenza umanitaria. Esse hanno inoltre attaccato convogli di aiuti e centri di distribuzione, nonché personale medico, costringendo l'Unrwa e l'Icrc a rinunciare alle loro operazioni a Gaza durante l'offensiva.

*Diversi membri della famiglia al-Sammouni sono morti dissanguati nei giorni successivi a un attacco sferrato il 5 gennaio sulla loro abitazione, nel quartiere al-Zaytoun di Gaza City, perché l'esercito israeliano non aveva permesso alle ambulanze o a chiunque altro di soccorrerli. I bambini sono rimasti a terra per tre giorni senza cibo né acqua vicino ai corpi dei loro parenti morti. Complessivamente sono 29 i membri della famiglia al-Sammouni che hanno perso la vita nell'episodio.

Blocco di Gaza - Crisi umanitaria

Il protrarsi del blocco militare israeliano di Gaza, in vigore dal giugno 2007, ha acuito la già profonda crisi umanitaria. Disoccupazione di massa, povertà estrema, insicurezza alimentare, aumento dei prezzi dei beni alimentari causato da carenze di reperibilità hanno costretto quattro abitanti di Gaza su cinque a dover dipendere dagli aiuti umanitari. La portata del blocco e le dichiarazioni dei funzionari israeliani riguardo al suo scopo sono la dimostrazione che questo era stato imposto come forma di punizione collettiva nei confronti degli abitanti di Gaza, in palese violazione del diritto internazionale.

L'operazione "Piombo fuso" ha spinto la crisi a livelli di catastrofe. Dopo la sua conclusione, il blocco ha ostacolato o impedito gli sforzi per la ricostruzione. Di conseguenza, vi è stato un peggioramento della fornitura d'acqua e dei servizi fognari; sono aumentati i tagli all'elettricità, causando gravi problemi durante il caldo estivo e negli edifici pubblici e sanitari; è cresciuto il sovraffollamento delle scuole; sono aumentate le difficoltà per un sistema sanitario già ai limiti del collasso, con strutture danneggiate e un numero crescente di richieste di intervento; il tutto in una scarsa se non nulla possibilità di ripresa economica. Israele ha continuato a negare l'accesso dei contadini alle loro terre entro 500 metri dal confine tra Gaza e Israele e a vietare la pesca oltre tre miglia nautiche dalla riva.

Tra quanti sono rimasti intrappolati a Gaza, vi erano persone gravemente malate che necessitavano di cure mediche al di fuori di Gaza e studenti e lavoratori che avevano bisogno di spostarsi per recarsi nelle università o nei luoghi di lavoro in Cisgiordania o all'estero.

*Samir al-Nadim è morto il 1° novembre dopo che la sua uscita da Gaza per un'operazione cardiaca era stata ritardata per 22 giorni. Quando le autorità israeliane ne hanno autorizzato la partenza il 29 ottobre, egli aveva ormai perso conoscenza ed era attaccato a un respiratore artificiale. È morto per collasso cardiaco in un ospedale di Nablus in Cisgiordania.

Restrizioni in Cisgiordania

Il muro/barriera di sicurezza israeliano di 700 km in Cisgiordania, che separa molti palestinesi dai loro terreni, posti di lavoro e familiari, unitamente ai prolungati coprifuoco, ai circa 600 posti di blocco israeliani, ai blocchi stradali e altre disposizioni restrittive hanno continuato ad annientare la capacità dei palestinesi di accedere ai servizi essenziali, comprese le strutture scolastiche e sanitarie.

Diritto all'acqua

Israele ha continuato a negare ai palestinesi degli Opt un equo accesso ad adeguate e sicure forniture di acqua, intralciando lo sviluppo socioeconomico e ponendo a repentaglio la salute, in violazione delle proprie responsabilità in quanto potenza occupante. Il consumo palestinese di acqua ha a fatica raggiunto i 70 litri al giorno pro-capite, ben al di sotto del minimo di 100 litri raccomandato dall'Organizzazione mondiale della sanità (Who). Il consumo pro-capite di acqua israeliano è quattro volte maggiore. L'esercito israeliano ha ripetutamente distrutto le cisterne di raccolta di acqua piovana usate dai palestinesi in Cisgiordania, con la motivazione che erano state costruite senza permesso.

Sgomberi forzati

Le forze israeliane hanno sgomberato con la forza i palestinesi e ne hanno demolito le case, in particolare a Gerusalemme Est, con la motivazione che gli edifici erano privi di permesso. Tali autorizzazioni vengono sistematicamente negate ai palestinesi. Per contro, le colonie israeliane sono state autorizzate a espandersi su terreni illegalmente confiscati ai palestinesi. La popolazione beduina del Negev è finita anch'essa nel mirino degli sgomberi forzati.

Uso eccessivo della forza

Le forze israeliane sono ricorse a un uso eccessivo della forza nei confronti di civili palestinesi, provocando molti feriti e alcuni morti. Hanno impiegato gas lacrimogeni, proiettili di metallo ricoperti di gomma e munizioni cariche, spesso quando non sussistevano gravi minacce nei loro o nei confronti di altri.

*Il 17 aprile, Bassem Abu Rahmeh è stato colpito da un candelotto lacrimogeno ad alta velocità israeliano, che gli ha provocato un'emorragia interna che lo ha rapidamente ucciso. Egli stava partecipando alla protesta settimanale nel villaggio di Bil'in contro il muro/barriera di sicurezza che taglia fuori il villaggio di Bil'in da gran parte dei suoi terreni agricoli. Un filmato mostra che Bassem Abu Rahmeh era disarmato e che non costituiva alcuna minaccia. Le autorità militari israeliane hanno affermato che sulla sua morte era in corso un'inchiesta.

Sistema di giustizia militare

Detenzioni senza processo

Il numero di palestinesi trattenuti nelle carceri di Israele senza accusa né processo è diminuito da 564 del mese di gennaio a 278 a dicembre.

*Hamdi al-Ta'mari, uno studente palestinese arrestato il 18 dicembre 2008, quando aveva 16 anni, ha continuato a essere sottoposto a detenzione amministrativa senza accusa nella prigione di Ofer, nei pressi di Ramallah, in Cisgiordania, fino al suo rilascio il 14 dicembre. Egli era stato arrestato da soldati israeliani che lo avevano posto sotto tiro nella sua abitazione di Betlemme e, secondo la sua famiglia, era stato preso a calci, percosso e vittima di altri abusi durante l'arresto.
Processi iniqui

I palestinesi degli Opt, compresi minorenni, hanno continuato a essere interrogati senza la presenza di un avvocato e a essere processati davanti a tribunali militari piuttosto che civili, dove hanno subito altre violazioni del loro diritto a un equo processo.

Condizioni carcerarie - Diniego di visite familiari

Circa 900 prigionieri palestinesi hanno continuato a veder loro negate le visite dei familiari, alcuni per il terzo anno, poiché i residenti di Gaza non hanno il permesso di spostarsi in Israele da quando è stato imposto il blocco.

Tortura e altri maltrattamenti

Sono continuate a pervenire notizie di tortura e altri maltrattamenti di palestinesi da parte del Servizio di sicurezza generale (Gss). Tra i metodi che sarebbero stati impiegati si citano percosse, privazione del sonno e periodi prolungati in posizioni di stress. La legislazione interna israeliana prevede la "necessità" come possibile giustificazione per la tortura.

Impunità

L'impunità ha continuato a costituire la norma per i soldati israeliani, la polizia e altre forze di sicurezza, così come per i coloni israeliani, che compiono gravi violazioni dei diritti umani nei confronti di palestinesi, comprese uccisioni illegali. Le violenze da parte dei coloni nei confronti dei palestinesi comprendevano percosse, lancio di pietre e danneggiamento dei loro raccolti e delle abitazioni. In rari casi il personale di sicurezza israeliano è stato giudicato colpevole e le pene sono risultate estremamente lievi.

*A giugno, l'ufficio del procuratore di stato ha ritirato l'incriminazione a carico di Ze'ev Braude, un residente della cOlonia di Kiryat Arba a Hebron, sebbene fosse stato filmato mentre sparava a due palestinesi, ferendoli in modo grave: Hosni Matriya e suo padre di 67 anni, Abed al-Hai, il 4 dicembre 2008.

Prigionieri di coscienza - Obiettori di coscienza israeliani

Almeno sei obiettori di coscienza israeliani sono stati incarcerati durante l'anno per essersi rifiutati di prestare servizio nell'esercito, in quanto si opponevano all'occupazione militare dei Territori palestinesi o alle azioni dell'esercito a Gaza. Si sono avute crescenti vessazioni nei confronti di Ngo israeliane che appoggiano gli obiettori di coscienza.

*Il 29 ottobre, Or Ben David ha ricevuto la sua prima condanna a 20 giorni di reclusione per essersi rifiutata di prestare servizio nell'esercito. A fine anno si trovava di nuovo in carcere dopo che le erano state comminate altre due sentenze.

Missioni e rapporti di Amnesty International

Delegati di Amnesty International hanno visitato Israele e gli Opt a gennaio, febbraio, giugno, luglio, ottobre e novembre.

Israel/OPT: The conflict in Gaza: A briefing on applicable law, investigations and accountability (MDE15/007/2009)

Israel/OPT: Fuelling conflict - foreign arms supplies to Israel/Gaza (MDE 15/012/2009)

Israel/Gaza: Operation "Cast Lead": 22 days of death and destruction (MDE 15/015/2009)

Israel/Occupied Palestinian Territories: Urgent steps needed to address UN Committee against Torture's concerns (MDE 15/019/2009)

Troubled waters: Palestinians denied fair access to water (MDE 15/027/2009)

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26 maggio 2010

E questa la chiamano democrazia...

Domenica scorsa, 23 maggio, l’attivista per i diritti umani israeliano Ezra Nawi ha iniziato a scontare la pena detentiva di un mese che gli è stata comminata per aver tentato di fermare i bulldozer israeliani che, il 22 luglio del 2007, stavano distruggendo alcune case di Beduini nella West Bank.

A questo proposito, il Professor Neve Gordon dell’Università Ben Gurion ha scritto ieri sul Guardian: “Questa sentenza non è un affare trascurabile. La corte israeliana ha fondamentalmente decretato che l’unico modo legittimo di opporsi all’occupazione consiste nello stare ai lati della strada con qualche tipo di cartello. Qualsiasi forma di disobbedienza civile o di azione diretta, come stendersi di fronte ad un bulldozer che sta costruendo la barriera di annessione o sta demolendo una casa, raccogliere olive o accompagnare a scuola a piedi i bambini palestinesi in un’area che è stata classificata come zona militare chiusa, è adesso soggetta a pene severe”.

Il caso di Ezra Nawi ha suscitato numerose proteste, e il suo avvocato, nel corso dell’udienza, ha consegnato al giudice un elenco di oltre 20.000 nominativi di persone (tra cui chi scrive) che avevano espresso la propria ammirazione ed il pieno supporto all’azione coraggiosa del pacifista israeliano. E, tuttavia, questo non è valso ad evitargli la prigione.

Nel corso di una riunione di addio prima di iniziare a scontare la pena, Ezra ha detto ai suoi amici: “In un paese in cui le leggi sono immorali, la disobbedienza civile è obbligatoria”.

Ma quello di Ezra Nawi non è l’unico caso, perché molti altri attivisti per i diritti umani sono ingiustamente incarcerati in Israele, ed alcuni di essi sono letteralmente “spariti” sotto il tallone del divieto imposto dalle corti israeliane di fornire notizie o commenti sui loro casi.

Ameer Makhoul, Omar Said, Izzet Sahim, Iyad Burnat, sono i nomi di coloro che sono stati arrestati o fermati o trattenuti senza alcuna accusa solo nel corso dell’ultimo mese, per la loro attività, assolutamente pacifica, a difesa dei diritti umani e contro l’occupazione dei territori palestinesi.

Il vero è che, in questo ultimo periodo, le autorità israeliane hanno scatenato una dura campagna contro le associazioni di tutela dei diritti umani e contro ogni forma di protesta e di resistenza civile.

In aggiunta alla detenzione e agli arresti arbitrari, gli attivisti vengono perciò colpiti da tutta una serie di misure repressive quali raid e perquisizioni, deportazioni, divieti di espatrio, diniego di visti, attacchi dei media governativi contro le ong.

In aggiunta le comunità palestinesi in prima linea nelle proteste contro l’occupazione e la costruzione del muro di annessione vengono colpite anch’esse con punizioni collettive quali coprifuoco, assedi, distruzione di proprietà, minacce a singoli o alle comunità nel loro complesso, incursioni militari, ferimenti o uccisioni intenzionali.

In questo quadro, non sorprende che alla Knesset sia stata presentata una proposta di legge di modifica della Legge sulle Associazioni, che proibirebbe la registrazione di una ong qualora “vi siano ragionevoli motivi per concludere che l’associazione fornisce informazioni a soggetti stranieri o è coinvolta in procedimenti giudiziari all’estero contro alti funzionari del governo israeliano o ufficiali dell’Idf, per crimini di guerra”. Una ong già esistente, se impegnata in tali attività, verrebbe immediatamente chiusa.

Va da sé che questa legge liberticida – che viola trattati internazionali e persino la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo – mira essenzialmente a nascondere ogni informazione sui crimini che quotidianamente Israele commette a danno dei Palestinesi e si sposa alla perfezione con il vero sogno israeliano (comune agli amici italiani di Israele…): un Paese immune da critiche provenienti sia dall’interno che dall’estero.

E questa la chiamano democrazia…

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25 maggio 2010

Te la do io la testata (nucleare)!

Come abbiamo avuto più volte occasione di osservare, è ormai un dato pacificamente accettato che Israele possieda un arsenale atomico costituito da un numero di testate nucleari che viene stimato in duecento-trecento unità; testate che possono essere lanciate anche dai sommergibili della marina israeliana.

Quello del britannico The Guardian - raccontato nell'articolo che segue - non sembrerebbe dunque uno scoop così sensazionale. E, tuttavia, i documenti scoperti in Sudafrica e pubblicati dal quotidiano costituirebbero la prima prova ufficiale del fatto che Israele era ed è una potenza atomica, stante che già nel 1975 l'allora ministro della difesa Shimon Peres aveva offerto di vendere armi nucleari al ministro sudafricano P.W. Botha.

Ma, soprattutto, tali documenti farebbero venir meno - come giustamente viene rilevato - quella "responsabilità" dello Stato israeliano che lo legittimerebbe a detenere armi nucleari il cui possesso viene, invece, negato ad altri Paesi, a cagione della loro "pericolosità".

In verità, non si riesce bene a capire come possa essere consentito di detenere armi di distruzione di massa ad uno Stato quale quello israeliano, che ne ha addirittura pianificato l'uso in caso di attacchi militari che ne mettano in pericolo l'esistenza (la cd. Samson Option), ma lo ha ipotizzato anche in altri casi, come di recente ha denunciato il premier turco Erdogan.

Quello svelato dal Guardian è un ottimo esempio della collaborazione che esisteva tra due nazioni caratterizzate dall'uso sistematico della pratica dell'apartheid. Dopo il 1989, il regime dell'apartheid è venuto meno, e il Sudafrica ha aderito al Trattato di non proliferazione nucleare. Stiamo ancora aspettando che anche Israele faccia lo stesso.

“Israele vendeva armi nucleari al Sudafrica”
di Teresa Scherillo - 24 maggio 2010

L’agenda “top secret” delle riunioni tra alti funzionari dei due paesi nel 1975 dimostra che il ministro della difesa sudafricano, PW Botha, chiese testate nucleari a Shimon Peres, allora ministro della difesa di Israele che rispose con una offerta “in tre dimensioni”. I due uomini firmarono inoltre un accordo di ampio respiro che disciplinava i legami militari tra i due paesi e includeva una clausola che dichiarava che “l’esistenza stessa di quell’ accordo” doveva rimanere segreta.

L’AMBIGUITA’ DI ISRAELE - I documenti, scoperti da un accademico americano, Sasha Polakow-Suransky, e riportati dal The Guardian, che per un suo libro era alla ricerca delle strette relazioni tra i due paesi che fornissero la prova che Israele possiede armi nucleari, nonostante la sua politica di “ambiguità” dove non c’è conferma, né negazione della loro esistenza. Le autorità israeliane hanno cercato, senza successo, di fermare le declassificazione dei documenti del governo del Sudafrica post-apartheid su richiesta di Polakow-Suransky e le rivelazioni costituiranno un serio imbarazzo per Israele proprio quando,questa settimana, partiranno a New York i colloqui sulla non proliferazione nucleare in Medio Oriente. L’incidente potrà anche minare i tentativi di Israele di suggerire che, se si posseggono armi nucleari, bisogna essere una “potenza responsabile, per evitarne l’ uso improprio, considerando che paesi come l’Iran non possono essere considerati attendibili”.

L’ALLEANZA SEGRETA - I documenti sudafricani mostrano che i militari dell’era dell’apartheid volevano i missili come deterrente per i potenziali attacchi contro i paesi limitrofi e che entrambi gli stati si incontrarono il 31 marzo 1975. Polakow-Suransky scrive nel suo libro, pubblicato negli Stati Uniti questa settimana, The Unspoken Alliance: un’alleanza segreta di Israele con il Sudafrica dell’apartheid, che i funzionari dei colloqui israeliani “proposero formalmente di vendere al Sudafrica alcuni dei missili Jericho del loro arsenale“. Tra i partecipanti alla riunione c’era il capo del personale militare del Sud Africa, il tenente generale RF Armstrong. Fu lui a redigere subito una nota in cui enunciava i vantaggi del Sud Africa ad ottenere i missili Jericho, ma solo se dotati di armi nucleari. Il memorandum, con la dicitura “top secret” che è datato lo stesso giorno dell’incontro con gli israeliani, era stato precedentemente rivelato, ma il contesto non era stato pienamente compreso perché non era conosciuto per essere direttamente collegato all’ offerta israeliana e che è stata la base per una richiesta diretta ad Israele. In esso, Armstrong scrive: “Nel considerare i meriti di un sistema d’arma come quello offerto, alcune ipotesi sono state fatte: a) che i missili saranno armati con testate nucleari prodotte in RSA (Repubblica del Sud Africa) o acquisite altrove“.

NOME IN CODICE: CHALET - Ma il Sudafrica è stato per anni in grado di costruire armi atomiche. Poco più di due mesi dopo, il 4 giugno, Peres e Botha si incontravano a Zurigo. A quel punto il progetto Gerico aveva nome in codice: Chalet. Il verbale top secret della seconda riunione riportava: “Il ministro Botha ha manifestato interesse in un numero limitato di unità del soggetto Chalet al carico corretto che sarà disponibile“. Il documento registra poi: “Il ministro Peres ha detto che il carico utile corretto è disponibile in tre misure. Il ministro Botha ha espresso apprezzamento e ha detto che avrebbe chiesto un consiglio”. Si presume che la dicitura “tre taglie” si riferisca al tipo di armi: convenzionali, chimiche e nucleari. L’uso di un eufemismo, il “carico corretto”, riflette la sensibilità di Israele sulla questione nucleare e non poteva essere utilizzato se fosse stato riferito alle armi convenzionali. Può anche significare solo testate nucleari, così come il memorandum di Armstrong chiarisce dove indica che il Sud Africa era interessato ai missili Jericho unicamente come mezzo per trasmettere le armi nucleari. Inoltre, il solo carico utile che i sudafricani avrebbero dovuto ottenere da Israele era nucleare. I sudafricani erano in grado poi di mettere insieme altre testate. Botha non è andato avanti con l’accordo in parte a causa del costo. Inoltre, qualsiasi operazione avrebbe dovuto avere l’approvazione finale dal primo ministro di Israele e non è certo che sarebbe stato possibile. Alla fine il Sud Africa ha costruito le sue bombe nucleari, anche se forse con l’aiuto di Israele. Ma la collaborazione sulla tecnologia militare è cresciuta solo negli anni seguenti. Il Sud Africa ha anche fornito gran parte dell’ uranio yellowcake che era necessario ad Israele per sviluppare le sue armi. I documenti confermano le dichiarazioni di un ex comandante militare del Sud Africa, Dieter Gerhardt – incarcerato nel 1983 per spionaggio a favore dell’Unione Sovietica. Dopo il suo rilascio con il crollo dell’apartheid, Gerhardt rivelò che c’era un accordo tra Israele e Sud Africa chiamato Chalet che coinvolgeva un ‘offerta da parte dello stato ebraico di otto missili Jericho con “testate speciali”. Gerhardt affermò che si trattava di bombe atomiche. Ma all’epoca non vi era alcuna prova documentale dell’offerta.

L’ACCORDO SECMENT - Alcune settimane prima che Peres formulasse la sua offerta di testate nucleari a Botha, i due ministri della difesa firmarono un accordo segreto che disciplinava l’alleanza militare noto come Secment. Un documento così segreto che aveva incluso nel testo la negazione della propria esistenza: “E’ espressamente convenuto che l’esistenza stessa di questo accordo … è segreta e non potrà essere rivelata da entrambe le parti“. L’accordo sottolineava che nessuna delle parti poteva unilateralmente rinunciarvi. L’esistenza del programma nucleare di Israele venne rivelato da Mordechai Vanunu al Sunday Times nel 1986. Egli fornì le fotografie scattate all’interno del sito nucleare di Dimona e diede una descrizione dettagliata dei processi coinvolti nella produzione di una parte del materiale nucleare, ma non presentò alcuna documentazione scritta. Documenti sequestrati dagli studenti iraniani dell’ambasciata americana a Teheran dopo la rivoluzione del 1979 rivelarono che lo Scià si era detto interessato allo sviluppo di armi nucleari israeliane. Ma i documenti sudafricani confermano che Israele era in grado di armare i missili Jericho con testate nucleari. A Gerusalemme le affermazioni del giornale britannico hanno destato collera. “Si tratta di informazioni infondate, senza alcun collegamento alla realtà” ha detto alla radio militare il portavoce di Peres, Ayelet Frisch. “Ci accingiamo ad inviare al Guardian una lettera perentoria e a richiedere la pubblicazione dei fatti corretti”. ”È riprovevole – ha aggiunto Frisch – che il giornale non abbia trovato opportuno rivolgersi al presidente Peres prima della pubblicazione per ascoltare i suoi commenti”. Fonti politiche israeliane, citate dalla stessa emittente, hanno aggiunto che la attendibilità dei documenti pubblicati dal giornale britannico è “dubbia”.
N.B. L'articolo del Guardian tradotto a cura di Medarabnews è rinvenibile qui.

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24 maggio 2010

Seminario: Palestina - Storia e futuro di una terra occupata.


L’associazione culturale Malaussène invita tutti a partecipare al seminario sulla Palestina che si terrà a Palermo presso la sede della stessa associazione, in Piazzetta di Resuttano n. 4.

Il seminario sarà tenuto da Fateh Ashqar e si svolgerà ogni venerdì dalle ore 18.00 alle 20.00, per cinque settimane a partire dal 28 maggio. Per partecipare è necessario segnalare la propria iscrizione all’indirizzo e-mail: lucianor85@msn.com

Calendario:

Venerdì 28 maggio, ore 18.00 – 20.00
Storia della Palestina. Dal dominio ottomano alla guerra dei sei giorni.

Venerdì 4 giugno, ore 18.00 – 20.00
Storia della Palestina. Dal 1967 ai giorni nostri.

Venerdì 11 giugno, ore 18.00 – 20.00
La Resistenza e i movimenti palestinesi.

Venerdì 18 giugno, ore 18.00 – 20.00
La colonializzazione dei territori occupati.

Venerdì 25 giugno, ore 18.00 – 20.00
Accordi di pace.

Alla fine del ciclo di incontri sarà convocata un’assemblea cittadina sulla questione palestinese.
N.B.: Piazzetta di Resuttano dista 50 metri, a destra, dall'ingresso della Chiesa di S. Francesco d'Assisi.

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17 maggio 2010

Sosteniamo la Freedom Flotilla.

Lo scorso 14 maggio ha avuto inizio la nuova avventura del Free Gaza Movement, con la partenza dall'Irlanda della prima nave della Freedom Flotilla, il cargo Rachel Corrie carico di materiale per la ricostruzione, scolastico ed attrezzature mediche, da destinare alla popolazione di Gaza stremata dall'assedio criminale israeliano. La Rachel Corrie si unirà ad altre navi provenienti dalla Grecia e dalla Turchia per poi proseguire alla volta della Striscia.

Naturalmente Israele ha già reso noto che non consentirà in nessun caso al convoglio di raggiungere Gaza, minacciando l'uso della forza militare.

Sull'argomento, qui di seguito riporto il comunicato stampa del Free Gaza Movement e l'appello di sostegno all'iniziativa lanciato dalla Rete romana di solidarietà con il popolo palestinese.

Londra – 14 Maggio 2010
Alle 22:45 ora locale , la MV Rachel Corrie, una nave cargo da 1200-tonnellate, una delle otto imbarcazioni che costituiscono la Freedom Flotilla, è partita dall'Irlanda verso il Mar Mediterraneo, dove si unirà ad altre navi dallla Turchia e dalla Grecia per proseguire verso Gaza.

Le dichiarazioni Israeliane nel corso delle ultime settimane affermano che le autorità Israeliane non consentiranno alla Freedom Flotilla di raggiungere Gaza con il carico necessario di materiale da ricostruzione, scolastico ed equipaggiamento medico. Secondo le notizie diffuse da fonti Israeliane, sono stati emessi ordini chiari per impedire alle navi di raggiungere Gaza e se necessario, sarà impiegata anche violenza militare.

Il Free Gaza Movement, che ha già inviato altre 8 missioni navali verso Gaza, conferma che Israele ha già provato in precedenza ad utilizzare questo minacce intimidatorie come tattica per cercare di fermare le missioni prima ancora che partano. "Non ci hanno intimidio finora e non ci intimidiranno neanche questa volta", afferma uno degli organizzatori".

Ship to Gaza -- Svezia, uno dei partner della coalizione Freedom Flotilla , assieme al parlamentare Mehmet Kaplan (Green Party) ha chiesto ieri un udienza con il Ministro degl Esteri Svedese, Carl Bildt, per discutere quali misure prenderà il governo Svedese e l'Unione Europea per proteggere il viaggio pacifico e con scopi umanitari della Freedom Flotilla. All'inizio della settimana, nel corso di un incontro con la European Campaign to End the Siege on Gaza – un altro partner dela coalizione - il Primo Ministro Turco Tayyib Erdogan ha espresso il proprio sostegno per "interrompere l'assedio oppressivo della Striscia di Gaza ... impegno che è in cima alla lista delle priorità della Turchia.“

I partners della coalizione, Ship to Gaza – Grecia e la Turkish relief organization IHH, ha sottolineato che le navi, i passeggeri e il carico saranno controllati ad ogni punto di partenza, in modo che sia chiaro che non costituiranno alcuna minaccia per la sicurezza di Israele.

Le minacce di Israele, di attaccare civili disarmati a bordo delle imbarcazioni che trasportano aiuti per la ricostruzione, sono oltraggiose e indicative della natura crudele e violenta della politica Israeliana nei confronti di Gaza. La Freedom Flotilla agisce in linea con i principi universali dei diritti umani e della giustizia nello sfidare un blocco che è stato dichiarato illegale dalle Nazioni Unite e da altre organizzazioni umanitarie. I Palestinesi di Gaza hanno diritto alle migliaia di prodotti basilari che Israele vieta di far entrare, tra cui cemento e libri scolastici, come hanno pure diritto ad uscire ed andare nel resto del mondo. La coalizione Freedom Flotilla chiede a tutti i firmatari della Quarta Convenzione di Ginevra di far pressione su Israele affinchè rispetti i propri obblighi nei confronti delle leggiu manitarie, ponga fine al letale blocco di Gaza e si astenga dall'attaccare questo convoglio pacifico.

Per maggiori informazioni:
Free Gaza Movement – Greta Berlin - +33 607374512
ECESG – Mazen Kahel - +33 1 46 81 12 92
IHH – Ahmet Emin Dag – +90 530 341 1934
Ship to Gaza / Greece – Vangelis Pissias - +30 697 200 9339
Ship to Gaza / Sweden – Dror Feiler - +46702855777

La Freedom Flotilla Coalition comprende : il Free Gaza Movement (FG), la European Campaign to End the Siege of Gaza (ECESG), la Insani Yardim Vakfi (IHH), Ship to Gaza Grecia e Ship to Gaza Svezia, la International Committee to Lift the Siege on Gaza, e altre centinaia di gruppi e organizzazioni nel mondo che ne sostengono gli sforzi.

http://www.freegaza.org/

In questi giorni sta salpando dai porti di Irlanda, Turchia e Grecia, alla volta di quello di Gaza City una flotta di otto navi che trasportano materiali da costruzione, impianti di desalinizzazione dell’acqua, impianti fotovoltaici, generatori, materiale per la scuola e farmaci da consegnare alla società civile palestinese. Si tratta di un'azione di alcune organizzazioni e reti di solidarietà internazionale, necessaria per la sopravvivenza della popolazione di Gaza, che da più di tre anni vive sotto un assedio asfissiante, priva di generi di prima necessità e dei materiali indispensabili per ricostruire un territorio martoriato dall’operazione “piombo fuso” dell’esercito israeliano, che ha causato oltre 1400 morti, tra cui 400 bambini, e più di 5000 feriti dovuti anche all’uso di armi proibite dal Diritto Internazionale, quali l’uranio impoverito ed il fosforo bianco.

Il governo israeliano ha dichiarato che impedirà in tutti i modi possibili (anche con la forza se necessario) l’arrivo delle navi e la consegna dei materiali. Se ciò avvenisse sarebbero in pericolo anche i 600 passeggeri di oltre 40 nazionalità che sono imbarcati sulle navi.

Per evitare che ciò avvenga, e permettere che le navi possano consegnare il materiale, chiediamo:

a) una chiara e pubblica presa di posizione delle forze politiche, dei parlamentari, degli uomini di cultura e dell’associazionismo che prevenga una ulteriore azione del governo israeliano condotta in spregio alle leggi che regolano il diritto internazionale e la convivenza civile dei popoli.

b) che l’Italia eserciti una forte pressione politica e diplomatica sul governo israeliano affinché non ostacoli l’arrivo della flotta al porto di Gaza City, ripetendo, in acque internazionali, le azioni di pirateria già effettuate in analoghe circostanze negli scorsi anni.

Il silenzio che nel nostro Paese circonda le sofferenze inflitte alla popolazione di Gaza e l’assenza di attenzione verso le iniziative umanitarie di associazioni e comitati di solidarietà è inaccettabile e colpevole: quindi confidiamo in una sua iniziativa.
Per aderire, basta mandare una mail a questo indirizzo: capone72@libero.it, indicando il proprio nome, cognome, città ed eventuale associazione, gruppo, movimento di cui si fa parte.

Roma 15 maggio 2010 – giornata della NAKBA

La Rete Romana di solidarietà con il Popolo palestinese
FORUM PALESTINA
PER NON DIMENTICARE GAZA
DONNE IN NERO
UN PONTE PER…
ACTION FOR PEACE
ASSOPACE NAZIONALE
ASSOPACE ROMA
ASSOCIAZIONE AMAL, BAMBINI PER LA PACE – ONLUS
PALESTINE TINK TANK
COLLETTIVO ANTAGONISTA PRIMAVALLE, ROMA
SUMUD associazione di volontariato antimperialista ONLUS, Perugia
ASSOCIAZIONE YAKAAR ITALIA – SENEGAL
C.S.O.A. LA STRADA
INTERNATIONAL SOLIDARITY MOVEMENT GAZA
ASSOCIAZIONE DI AMICIZIA ITALO-PALESTINESE ONLUS, FIRENZE
AMICI DELLA MEZZALUNA ROSSA PALESTINESE

ADESIONI INDIVIDUALI:
Fabio Marcelli, Giuristi Democratici
Luisa Morgantini
Gianna Pasini, Assopace Brescia
Mila Pernice, Forum Palestina
Alessandra Capone, Comitato Stop Agrexco Roma

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14 maggio 2010

Sedicenne palestinese ucciso dai coloni nei pressi di Ramallah.

L’ennesimo crimine commesso dagli Israeliani si è consumato ieri, tra le 4:30 e le 6:00 del pomeriggio, quando il sedicenne Aysar Yasser al-Zaben è stato colpito alla schiena dalla fucilata di un colono mentre coltivava il proprio terreno, situato in un villaggio a est di Ramallah.

Ennesimo crimine frutto della presenza illegale in Cisgiordania di 500.000 coloni che vivono vessando due milioni e mezzo di Palestinesi, e del regime di apartheid che vede tra l’altro le principali strade della West Bank riservate all’uso esclusivo di questi fanatici criminali.

Sull’argomento, di seguito riporto l’articolo pubblicato dal sito Terra Santa Libera, anche e soprattutto in segno di solidarietà contro l’inaudito attacco portato a questo e ad altri siti di controinformazione dalla Commissione d’indagine parlamentare sull’antisemitismo.

RAGAZZO PALESTINESE DI 16 ANNI UCCISO DA COLONI EBRAICI ALLA PERIFERIA DI RAMALLAH
Press Release 14 maggio 2010 - ore 03.20
Popular Struggle Coordination Committee - traduzione TerraSantaLibera.org

Testimoni riferiscono che coloni giudeo-sionisti di uno degli insediamenti illegali che circondano Ramallah (in teoria capitale dell'Autorità Palestinese) avevano bloccato, come spesso accade, l'accesso alla Route 60, principale arteria stradale che mette in comunicazione, teoricamente, Ramallah con gli altri villaggi palestinesi del West Bank (ma anche gli insediamenti coloniali ebraici, che insieme all'esercito d'occupazione di Tel Aviv controllano tutta la rete stradale).

Sempre testimoni riferiscono che, dopo aver bloccato le auto con targa palestinese che transitavano nell'area, tra i "settlers" e alcuni giovani arabi locali sono sorti tafferugli, con lancio di pietre all'indirizzo dell'illegale posto di blocco armato imposto dai coloni sionisti.

Per risposta questi ultimi hanno obbligato tutti gli occupanti delle auto, ferme al posto di blocco abusivo, di uscire e tornare verso il villaggio da cui provenivano, iniziando a sparare all'impazzata e creando un fuggi-fuggi generale.

La maggior parte di essi, come il giovane ucciso, Aysar al Zaben, 16 anni, contadino di Mazra'a al Sharqia, erano pendolari che dovevano raggiungere il loro posto di lavoro. I genitori e i familiari, non vedendolo rientrare, pensavano che egli fosse stato fermato dalla Polizia israeliana (che invece di bloccare i coloni armati di fucili automatici, pistole e mitra, fermano solo e sempre i palestinesi con varie scuse: chi non ha visto non può credere...).

In serata, dopo un giro di perlustrazione, dopo che i coloni avevano rimosso il loro abusivo posto di blocco, il corpo di Aysar al Zaben è stato ritrovato riverso a faccia in giù con un proiettile conficcato nella parte posteriore della testa.

Incursioni da parte di coloni sionisti nelle terre coltivate palestinesi, con l'intento di incendiarne i raccolti e le piante, posti di blocco estemporanei ed illegali, aggressioni ad auto e lavoratori pendolari, devastazioni di luoghi di culto e di case arabe, sempre con copertura armata e da parte delle forze d'occupazione sioniste di Tel Aviv, sono all'ordine del giorno nella Palestina occupata.

Un pensiero alla famiglia del giovane Aysar ed una preghiera per la sua giovane anima, ma anche una considerazione: la stampa accreditata non menziona quest'ennesimo crimine commesso ai danni della popolazione assediata di Palestina, mentre osiamo solo immaginare il putiferio che avrebbero scatenato i vari giornalisti asserviti se ad essere ucciso fosse stato un giovane "israeliano".

E ci chiediamo anche: come sarebbe possibile (a fronte dei recenti, e ancora in corso, attacchi alla nostra libertà di cronaca e informazione) avere tali informazioni in lingua italiana, se venissero meno, perchè oscurati, siti web come il nostro, come InfoPal.it, come Effedieffe.com, come Andreacarancini.blogspot, Zatar, e pochi altri?

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11 maggio 2010

Palermo commemora la Nakba.


Al-Nakba, "la catastrofe" è il termine usato dai Palestinesi per definire la pulizia etnica che precedette ed accompagnò la nascita dello stato di Israele, la cui data è convenzionalmente fissata il 15 maggio del 1948, giorno del ritiro delle truppe del Regno Unito dalla Palestina.

Quando questa fu compiuta, nel giro di circa sei mesi, più di metà della popolazione palestinese originaria (quasi ottocentomila persone) era stata spossessata delle proprie terre, 531 villaggi erano stati distrutti, 11 quartieri urbano svuotati dei loro abitanti. Il tutto accompagnato da massacri inauditi e vergognosi quali quelli di Deir Yassin, Tantura, Dawaymeh ed altri ancora.

La Nakba, insieme alla questione correlata del diritto al ritorno dei profughi, sono stati oggetto negli anni di un tentativo di cancellazione dai libri di storia e dall'agenda di ogni piano di pace. Nel febbraio del 2010 il Parlamento israeliano ha addirittura approvato una legge che proibisce di manifestare pubblicamente lutto e dolore in occasione della ricorrenza del 15 maggio.

Il perché ce lo spiega lo storico israeliano Ilan Pappe: Dietro a queste misure draconiane del governo israeliano per impedire qualsiasi discussione sul diritto al ritorno sta una paura profondamente radicata riguardo al dibattito sul 1948, poichè il "trattamento" riservato ai Palestinesi in quegli anni è collegato con l'emergere di questioni spiacevoli rispetto alla legittimità morale del progetto sionista nel suo complesso. Per gli Israeliani è quindi fondamentale sostenere e rafforzare il meccanismo della negazione, non solo per far fallire le rivendicazioni palestinesi nel processo di pace, ma - molto più importante - per ostacolare ogni discussione significativa sulla natura e sui fondamenti morali del sionismo.

Per gli Israeliani, riconoscere i Palestinesi come vittime delle azioni di Israele è fonte di profondo turbamento, almeno per due motivi. Sia perchè dovrebbero fare i conti con l'ingiustizia storica che metterebbe Israele sotto accusa per la pulizia etnica della Palestina del 1948 e in dubbio gli stessi miti fondanti dello Stato d'Israele, sia perchè emergerebbe una miriade di problemi etici che avrebbero implicazioni inevitabili per il futuro dello Stato (Ilan Pappe, "La pulizia etnica della Palestina, pg.291).

Anche il Coordinamento di solidarietà con il popolo palestinese di Palermo, in collaborazione con l'A.N.P.I. e Radio 100passi, partecipa alle commemorazioni per il 62° anniversario dell'esilio dei profughi palestinesi:

AL-NAKBA
canto del 62° anniversario dell'esilio del popolo palestinese

13 maggio 2010, ore 20:00 - Conservatorio di Musica di Stato Vincenzo Bellini

Performance poesie, musica, canto e narrazione
Mostra fotografica dell'esodo del popolo palestinese
Sapori della Terra Santa pietanze tipiche palestinesi

Partecipano Alessandra Pizzullo (voce poetica), Said Benmsafer (liuto), Lelio Giannetto (basso), Yousif Latif Jaralla (narratore), Matilde Politi, Giana Guaiana (canto).

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Roma: giornata mondiale della Nakba.



SABATO 15 MAGGIO - Giornata mondiale della Nakba



ROMA, Centro Congressi, Via dei Frentani, 4

diretta video su http://www.perilbenecomune.net/ (italiano, inglese e arabo)

Programma:



ORE 10,00 - Registrazione dei partecipanti e saluto di benvenuto di Laura Raduta del Coordinamento Regionale di Per il Bene Comune.

ORE 10,30 - LA NAKBA

Partecipano: Marco Houssein Morelli, Associazione Islamica Imam Mahdi; Moammad Hannoun, Associazione Palestinesi in Italia; Marco Benevento, Forum Palestina; Adele Dentice, Coordinamento Nazionale Per il Bene Comune.

Conduce: Fulvio Grimaldi, giornalista e scrittore

ORE 12,00 - PALESTINA: DIRITTO INTERNAZIONALE NEGATO

Partecipano: Paola Manduca, Coordinatrice del gruppo Newweapons; Vainer Burani, Associazione Giuristi Democratici; Monia Benini, Presidente Per il Bene Comune.

Lettura del contributo di Danilo Zolo, Presidente del Centre for Philosophy of International Law and Global Politics.

Conduce : Samir Al - Qaryouti, giornalista palestinese

BUFFET CON PRODOTTI DELLA GASTRONOMIA PALESTINESE

ORE 15,30 - In collegamento diretto Roma/Gaza:

AL AWDA "Il ritorno"

In una Palestina libera, ove popoli e religioni tornino a convivere in pace

Intervento di apertura del Primo Ministro della Palestina

Ismail Haniyeh

Da Roma intervengono: Mons. Hilarion Capucci, Arcivescovo di Gerusalemme, in esilio; Maruan Abushaaban, originario di Gaza, Presidente Comunità Palestinese di Bergamo; Fernando Rossi, Coordinamento PBC

Conduce: Monia Benini, Presidente PBC.

Da Gaza intervengono: Huda Naim, Parlamentare; Ismail Al-Ashqar, Parlamentare; Husam Ahmed, Direttore del Dipartimento Profughi; un delegato della Comunà Cristiana e un delegato della Comunità Islamica.Conduce: Ahmed Alnajjar, Ministero Educazione.

IN DONO A TUTTI I PRESENTI IL QUADERNO "NAKBA", A CURA DELLA REDAZIONE DI INFOPAL, EDIZIONI AL-HIKMA

E' gradita la conferma della partecipazione.

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10 maggio 2010

Anche le istituzioni (a volte) si muovono...

IL COMUNE DI VICENZA - Assessorato alla famiglia e alla pace

nell'ambito delle iniziative assunte con l'adesione al Progetto "Adotta un popolo"e la partecipazione alla Marcia per la Pace Perugia-Assisi del prossimo 16 maggio 2010

in collaborazione con l'Associazione Salaam Ragazzi dell'olivo - Vicenza propone

TESTIMONI DA BIL'IN
il villaggio resistente nella Palestina occupata
una serata con Iyad Burnat e Raz Bar David Veron
martedì 11 maggio alle ore 20.45
nella Sala dei Chiostri di Santa Corona

Una ragazza israeliana di vent'anni dal viso pulito, Raz Bar David Veron, ha già fatto l'esperienza del carcere per essersi rifiutata di arruolarsi nell'esercito.

Iyad Burnat, coordinatore del Bil'in Popular Committee,una delle principali figure della lotta contro il MURO, anch'egli arrestato più volte.

Il loro punto d'incontro è credere nella pace, nell'azione non violenta.Il loro luogo d'incontro è Bil'In, che da cinque anni resiste contro il MURO ed è diventata la bandiera della resistenza non violenta all'occupazione.

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5 maggio 2010

Un sostegno di cemento per Gaza

Difficilmente i riflettori dei media si puntano sulla Striscia di Gaza, eppure in questo misero lembo di terra si continua a morire: dall'inizio dell'anno, l'esercito israeliano ha ucciso 17 Palestinesi e ne ha feriti 71.

E se non si muore sotto un bombardamento aereo o, magari, mentre si manifesta pacificamente, a Gaza si muore letteralmente di fame a causa dell'embargo israeliano, che limita drammaticamente l'ingresso financo dei beni essenziali. Secondo gli ultimi dati resi noti dall'OCHA, relativi alla settimana compresa tra il 21 e il 27 aprile, l'afflusso di beni di prima necessità e di materiali verso la Striscia è stato pari soltanto al 15% della media settimanale che si era registrata nei primi 5 mesi del 2007.

In aggiunta, la quantità di carburante industriale importato a Gaza ammonta a solo il 33% del fabbisogno necessario a far funzionare la centrale elettrica a pieno regime, con il risultato che la maggioranza degli abitanti è costretta a subire interruzioni nella fornitura della corrente elettrica per 8-12 ore al giorno. Analogamente, le importazioni di gas da cucina servono a coprire soltanto il 36% dei fabbisogni della popolazione.

Alla luce di questi dati drammatici - e stante l'incredibile acquiescenza della comunità internazionale di fronte a questa disumana punizione collettiva inflitta da Israele a un milione e mezzo di Palestinesi - acquista uno straordinario valore pratico e simbolico la nuova iniziativa del Free Gaza Movement, illustrata dal video qui sopra.

Il prossimo 24 maggio, il cargo Rachel Corrie - insieme a sette navi allestite da altre organizzazioni per i diritti umani - partirà per Gaza sfidando nuovamente il blocco israeliano, per portare ai Palestinesi della Striscia un carico di cemento, medicinali, materiali scolastici. Almeno cinque imbarcazioni per il trasporto passeggeri, con a bordo oltre 600 persone, affiancheranno i cargo nella navigazione.

L'obiettivo del Free Gaza Movement è quello di portare a Gaza almeno 500 tonnellate di materiale, tra cui 25.000 sacchi di cemento necessari alla ricostruzione, e anche noi siamo chiamati a fare la nostra parte.

Come è molto semplice, ed è spiegato dal video. Basterà collegarsi al sito http://www.freegaza.org/ e cliccare sull'icona con il sacco di cemento per acquistarne uno o più, contribuendo in tal modo a questa ennesima, meritoria iniziativa dell'organizzazione.

Aiutiamo la ricostruzione di Gaza!

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