1 agosto 2008

Il conflitto israelo-palestinese e l'immagine degli Usa nel mondo arabo.

L’articolo che segue è stato pubblicato dal noto analista politico Rami G. Khouri il 7 luglio sul sito dell’agenzia di news internazionali Agence Global e viene proposto nella traduzione offerta dal sito Arabnews.

In esso, Khouri rileva come il conflitto israelo-palestinese sia ancora un argomento centrale e di grande rilevanza per l’opinione pubblica araba, e che la cieca politica di appoggio degli Stati Uniti a Israele e ai suoi desiderata fa sì che questi due paesi vengano collegati nella mente di molti arabi “in un modo che rende difficile separare la collera nei confronti dell’uno da quella nei confronti dell’altra”.

Andrebbe aggiunto che tali considerazioni si attagliano perfettamente anche all’Europa, in un periodo storico in cui – per varie ragioni – la Ue ha del tutto rinunciato a quel ruolo di honest broker del conflitto israelo-palestinese che pure avrebbe potuto rivestire con buone possibilità di successo, preferendo una politica estera nella regione totalmente schiacciata sulle posizioni degli Usa e, conseguentemente, di Israele.

E se gli aiuti umanitari forniti ai Palestinesi servono a tacitare le coscienze degli Europei, non basteranno certo a evitare che il giudizio critico e l’astio del mondo arabo nei confronti degli Usa si estendano anche al nostro continente.

Ivi compresa naturalmente l’Italia, che vorrebbe ritagliarsi un ruolo da pontiere tra l’Occidente e il mondo arabo, pur vantando un Parlamento come quello attuale caratterizzato dal più alto tasso di filoisraelismo che la storia repubblicana ricordi, concentrato come è, con straordinaria unanimità, sulla “sicurezza” di Israele e totalmente dimentico della sicurezza dei Palestinesi, della tutela dei loro diritti umani fondamentali, delle loro sacrosante richieste di libertà e di autodeterminazione.


Militanza e resistenza nel “Vero Medio Oriente”.
7 luglio 2008

Una delle lezioni più inquietanti che si imparano da una permanenza a Washington è che la maggior parte delle persone che formano o influenzano la politica americana in Medio Oriente non ha, in realtà, nessuna esperienza diretta della regione. Conoscono molto poco i suoi popoli e i loro orientamenti politici di base – come conferma, in maniera dolorosa, l’esperienza della guerra in Iraq.

La politica americana in Medio Oriente resta definita in larga misura da tre forze principali: lobbies e interessi filo-israeliani negli Stati Uniti, che si fondono quasi totalmente con le posizioni governative di Israele; un bisogno quasi ‘genetico’, per quanto comprensibile, di rispondere agli attacchi terroristici dell’11 settembre, colpendo politicamente e militarmente obiettivi mediorientali; e la crescente determinazione a contrastare e contenere l’Iran e i suoi alleati arabi sunniti e sciiti.

Una conseguenza significativa della profonda vicinanza degli interessi di Washington con Israele è stata quella di ignorare l’opinione pubblica nella regione, il che, di conseguenza, produce un maggiore atteggiamento critico nei confronti della politica americana. Non è chiaro se i politici americani trascurino l’opinione pubblica mediorientale per motivi di ignoranza e di poca esperienza diplomatica, oppure per dettati strutturali di conformità alla politica israeliana.

Questa situazione è poco accettabile, dato che ormai conosciamo molto bene i sentimenti della maggioranza delle popolazioni del Medio Oriente. Un fattore significativo nel determinare l’atteggiamento della gente nei confronti degli Stati Uniti è la politica di questi ultimi riguardo a Israele ed alla Palestina. Altri temi influenzano, poi, il modo in cui i mediorientali vedono gli Stati Uniti – come ad esempio l’Iraq, il petrolio e la promozione di regimi democratici o autocratici – ma il conflitto israelo-palestinese resta un fattore enormemente determinante per l’immagine che noi mediorientali abbiamo dell’America.

Inoltre, si è recentemente formata una nuova, storica, attitudine mentale, in conseguenza della crescente e coerente critica nei confronti degli USA e di Israele: una tendenza alla militanza e alla resistenza che continua a diffondersi nella regione, trascendendo le divisioni fra iraniani e arabi, fra sciiti e sunniti o fra laici e religiosi, che sono così spesso messe in luce ed esagerate nella visione distorta che Washington ha del Medio Oriente.

Ho sostenuto per anni che la comparsa di un nuovo spirito di sfida, resistenza e autoaffermazione populista rappresenta lo sviluppo strategico più importante nel Medio Oriente. Un enorme numero di arabi, iraniani e turchi – centinaia di milioni di persone – si sono liberati del loro passato di accondiscendenza passiva fatto di sofferenze, debolezza, marginalizzazione e vittimizzazione. Invece, essi sono determinati a prendere in mano il loro destino ed a sfidare e a mettere in scacco coloro che vorrebbero tenerli confinati nel loro precedente stato vulnerabile e disumanizzato.
A livello interno, sempre più persone nel Medio Oriente richiedono attivamente e, quando possibile, si sforzano di ottenere, una vita e una società che offra loro più dignità e diritti umani. Questi ultimi includono questioni fondamentali quali la sicurezza, le opportunità, le esigenze socio-economiche e l’espressione della propria identità culturale o politica. A livello regionale, questo spirito di resistenza per l’autoaffermazione è più difficile da manifestare o attualizzare, ma emerge molto chiaramente negli atteggiamenti delle persone, che sono ora adeguatamente colti dai sondaggi di opinione.

Una nuova potente analisi di questo fenomeno è stata appena pubblicata a Washington dalla Brookings Institution, e merita seria attenzione da parte di chiunque sia interessato al Medio Oriente. Lo studio di Shibley Telhami, rispettato professore dell’Università del Maryland e membro del Saban Center presso la Brookings Institution, si intitola ‘Does the Palestinian-Israeli Conflict Still Matter? Analyzing Arab Public Perceptions’ (‘E` ancora importante il conflitto israelo-palestinese? Un’analisi delle percezioni dell’opinione pubblica araba’). Questo studio passa in rassegna i dati dei sondaggi di opinione raccolti in sei paesi arabi durante il periodo 2002-2008.

Telhami conclude che “il conflitto arabo-israeliano rimane un tema centrale per molti arabi …[ e ] il prisma attraverso il quale molti arabi vedono il mondo”.

Ed aggiunge che il pubblico arabo coerentemente, ed in grande maggioranza, giudica gli Stati Uniti in base alle sue politiche, non ai suoi valori, e che il ruolo del conflitto arabo-israeliano nel formare il punto di vista della gente riguardo agli Stati Uniti resta molto importante. La maggioranza dell’opinione pubblica araba crede che gli Stati Uniti abbiano invaso l’Iraq per rafforzare Israele; gli arabi vedono Israele e gli Stati Uniti come le maggiori minacce nei loro confronti. Israele e gli Stati Uniti sono collegati nella mente di molti arabi “in un modo che rende difficile separare la collera nei confronti dell’uno da quella nei confronti dell’altra”.

I leader di Hezbollah, di Hamas e dell’Iran sono ai primi posti nella lista di coloro che godono del rispetto degli arabi. Telhami spiega che si tratta fondamentalmente di un segnale che gli arabi amano i militanti che sfidano gli Stati Uniti e Israele. Questo senso di sfida militante sembra diffondersi nella regione. Inoltre Telhami aggiunge che nel mondo arabo sembra allargarsi la frattura tra opinione pubblica ‘militante’ e regimi conservatori.

L’importanza di questi risultati sta nella loro coerenza nel tempo, e nella loro verifica attraverso differenti metodi di indagine.

Ovviamente, i politici di Washington e la sua zelante intellighentia sembrano propensi a ignorare queste realtà, agendo invece sulla base di inclinazioni filo-israeliane e di tentativi di forzare la mano – e sono liberissimi di farlo. Il prezzo, tuttavia, appare più ovvio a coloro che desiderano vedere il vero Medio Oriente così com’è: una massiccia militanza e un atteggiamento di sfida diffusi in tutta la regione, saldamente radicati nella resistenza all’aggressione israelo-americana.

Rami G. Khouri è un analista politico di origine giordano-palestinese e di nazionalità americana; è direttore dell’Issam Fares Institute of Public Policy and International Affairs presso l’American University di Beirut, ed è direttore del quotidiano libanese “Daily Star”

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