18 luglio 2006

Israele, lo Stato "canaglia".

Un gentile interlocutore di un gruppo di discussione (alon_moradi@msn.com), in risposta al mio post Un sondaggio "mirato", mi ha scritto: “Per fortuna le tue cagate le puoi raccontare solo qui dentro, da altre parti una scarica di calci nel culo non te la toglierebbe nessuno; neanche una parola sui razzi (centinaia) lanciati dai cosiddetti uomini di Hamas su Israele. Noi ci occuperemo di questi maiali con o senza il tuo consenso. Bravo pirla”.
A parte la profondità concettuale dello scritto e la sorprendente somiglianza delle parole usate con quelle utilizzate da George Bush nel suo colloquio confidenziale con Blair al recente G8 di San Pietroburgo, il contenuto di questa e-mail si ricollega ad una argomentazione molto popolare e cara agli Israeliani (e ai loro sostenitori in tutto il mondo), che più o meno suona così: “Voi ci criticate, deplorate l’uso eccessivo e sproporzionato della forza da parte di Israele, ma noi siamo sotto attacco. Noi vorremmo vivere in pace e sicurezza, lo prova il ritiro del nostro esercito e dei coloni dalla Striscia di Gaza, ma i Palestinesi, per contraccambio, lanciano sul nostro territorio i razzi Qassam e, inoltre, hanno rapito un nostro soldato, e dunque abbiamo il diritto di difenderci”.
E questo l’argomento dell’ottimo articolo (come sempre) di Gideon Levy su Ha'aretz, dal significativo titolo “Who started?”, a cui rimando per l’efficacia e la sinteticità delle argomentazioni, limitandomi ad aggiungere solo qualche ulteriore riflessione.
1) I razzi Qassam sono dei razzi artigianali, assolutamente privi di guida e poco più pericolosi di un fuoco d’artificio.
Nel corso del 2006, queste armi rudimentali non hanno provocato nessun caduto israeliano ma solo alcuni feriti, di cui uno solo in maniera grave; durante l’intero periodo della seconda Intifada i morti israeliani causati dai razzi Qassam sono stati in totale cinque.
Di contro, secondo il rapporto dell’Office for The Coordination of the Humanitarian Affairs (OCHA) datato 21 giugno 2006, solo nel periodo compreso tra il 9 e il 21 giugno di quest’anno – e solo nella Striscia di Gaza - i bombardamenti dell’artiglieria e i raid aerei israeliani hanno causato ben 32 morti e 91 feriti tra la popolazione palestinese; dieci dei Palestinesi uccisi erano bambini, di cui sei di età inferiore ai cinque anni.
Sempre secondo l’OCHA – un organismo dell’Onu – nel periodo compreso tra il 1° gennaio e il 20 giugno 2006, i Qassam sparati contro il territorio israeliano sono stati 896, contrapposti agli 8.380 colpi di artiglieria sparati da Tsahal contro la Striscia di Gaza e ai 142 raid aerei condotti dall’aviazione israeliana all’interno della stessa, con gli esiti letali che abbiamo visto.
A ciò aggiungasi che, a seguito di una decisione politica del Governo israeliano, la distanza di sicurezza tra gli obiettivi da bombardare e gli insediamenti di civile abitazione è stata ridotta da trecento a cento metri (vedi qui), rendendo sistematico e consapevole il coinvolgimento e l’uccisione di civili innocenti nei bombardamenti, il che costituisce – a giudizio di chi scrive – un vero e proprio crimine contro l’umanità.
Come possa parlarsi, in questo caso, di “diritto all’autodifesa” da parte di Israele non si riesce proprio a capirlo, dato che l’evidenza dei numeri mostra piuttosto il bombardamento indiscriminato dei Territori occupati e il massacro della popolazione civile palestinese, cui si contrappone una disperata quanto inutile risposta con dei razzetti che quasi non fanno male ad una mosca.
2) Il massacro in atto nella Striscia di Gaza che va avanti dal 28 giugno, secondo quanto sostiene Israele, è motivato non solo dall’obiettivo di interrompere il lancio di razzi Qassam contro Israele, ma nasce anche come risposta all’atto “terroristico” del 25 giugno, durante il quale Hamas ha osato “rapire” un soldato israeliano, attualmente tenuto in ostaggio in territorio palestinese.
Facciamo dunque un passo indietro.
Domenica 25 giugno, intorno alle 5:30 della mattina, un commando di Palestinesi, appartenenti ad Hamas, ai Comitati di Resistenza Popolare e a un nuovo gruppo denominato Jish al-Islam, ha attaccato un avamposto dell’Idf nei pressi del Kibbutz di Kerem Shalom, circa 300 metri in territorio israeliano, cogliendo una delle più significative vittorie contro Tsahal degli ultimi anni.
I Palestinesi, infatti, si presume in numero di otto, sono riusciti a penetrare in territorio israeliano attraverso un tunnel lungo circa un chilometro e, sbucati dietro la postazione israeliana, sono riusciti a distruggere un carro armato ed un altro veicolo corazzato, uccidendo due soldati israeliani e ferendone altri quattro, di cui uno, il 19enne Gilad Shalit, è stato catturato e portato nella Striscia di Gaza per essere utilizzato in uno scambio di prigionieri.
Dei militanti palestinesi, due sono morti durante l’azione, mentre gli altri sei, in apparenza incolumi, sono riusciti a rientrare in territorio palestinese.
Secondo i vertici militari e politici israeliani, l’attacco palestinese avvenuto nei pressi di Kerem Shalom sarebbe stato un “atto di terrorismo”.
E’ questa l’opinione del Capo di Stato Maggiore israeliano Dan Halutz, ed è, soprattutto, questa l’opinione del premier Olmert il quale - in un discorso tenuto il lunedì successivo alla convention della Jewish Agency - ha dichiarato di considerare “l’Autorità palestinese, guidata da Abbas e dal Governo palestinese, responsabile per l’atto di terrorismo avvenuto ieri … con tutto quello che ciò implica”.
Secondo Olmert, Israele si è completamente ritirato dalla Striscia di Gaza lo scorso anno, e dunque l’attacco è avvenuto “in territorio riconosciuto da tutto il mondo come Stato di Israele”.
Ma si tratta, a ben vedere, di un argomentazione priva di senso.
Nonostante il ritiro unilaterale da Gaza nel 2005, Israele ha ancora lo status di “potenza occupante” della Striscia, secondo quanto previsto dalla Quarta Convenzione di Ginevra, in quanto ha il totale controllo dei suoi confini terrestri e marittimi, dello spazio aereo, dell’accesso e movimento da e per Gaza, della raccolta delle imposte e delle tasse (in atto illegalmente trattenute), dei registri della popolazione, dell’intera economia di Gaza.
L’esercito israeliano, inoltre, si è ritirato dalla Striscia di Gaza, ma continua ad essere ben presente nel West Bank come forza di occupazione illegale, brutale ed assassina, al pari dei suoi coloni che, altrettanto illegalmente, occupano vaste porzioni di terra palestinese al riparo di un muro “difensivo” che la comunità internazionale ha ritenuto illegittimo, e di cui ha chiesto ufficialmente la distruzione.
Ma, all’interno della stessa Striscia di Gaza, l’esercito israeliano continua a porre in essere azioni belliche (rectius, crimini di guerra ai danni della popolazione civile) mediante bombardamenti d’artiglieria indiscriminati, raid aerei “mirati”, creazione delle cd. "killing zones" a ridosso della frontiera, uso punitivo delle cd. “sonic bombs”, chiusura dei valichi di frontiera, ed altro ancora.
I soldati israeliani, in quanto appartenenti ad un esercito di occupazione, sono pertanto dei legittimi targets per le azioni palestinesi, e l’attacco nei pressi di Kerem Shalom – lungi dal poter essere considerato un atto di terrorismo – costituisce invece una classica azione di guerriglia, in cui un piccolo gruppo di assaltatori ha sorpreso le truppe di élite israeliane, cogliendo un notevole successo militare al prezzo di perdite relativamente contenute.
Nessun esponente di governo occidentale, né i media di regime, si sono peraltro presi la briga di ricordare che i militanti palestinesi, qualora l’avessero voluto, avrebbero potuto tranquillamente infiltrarsi nel vicino Kibbutz e far strage di civili, ed invece hanno correttamente rivolto la loro azione ad un obiettivo militare.
Le dichiarazioni di Olmert sono dunque assolutamente strumentali e propagandistiche, ma ancor più stupefacenti (e preoccupanti) sono state le frasi pronunciate subito dopo: “fino ad oggi le nostre risposte sono state moderate, (ora) non più”.
Dunque, fino al 25 giugno, i raid israeliani nel West Bank e, soprattutto, a Gaza sarebbero stati delle semplici “risposte”, e per giunta “moderate”, una roba da non credere!
Tra il 29 marzo e il 27 giugno – solo nella Striscia di Gaza – Israele aveva condotto 112 raid aerei e sparato 4.751 colpi di artiglieria, mentre dal 3 maggio al 27 giugno Tsahal aveva ucciso 65 Palestinesi, di cui almeno 34 civili, e tra questi ultimi 12 bambini e 5 donne.
Se questa, dunque, era stata la “moderazione” israeliana, era chiaro che con l’offensiva del 28 giugno, che dura tutt’ora, le cose sarebbero andate molto peggio.
E, difatti, come ha risposto Israele all’attacco di Kerem Shalom, un attacco contro un legittimo obiettivo militare, e alla cattura di un proprio soldato, peraltro ammessa dal diritto umanitario internazionale (che richiede soltanto che i prigionieri siano trattati con umanità)?
Ha risposto con una offensiva senza precedenti all’interno della Striscia di Gaza, e con una serie impressionante di crimini di guerra e di punizioni collettive che né i Governi occidentali né la “libera” stampa hanno dato segno anche solo di aver notato; in particolare, l’esercito israeliano:
- nel periodo 28 giugno - 3 luglio ha sparato 590 colpi d’artiglieria;
- nel periodo 28 giugno – 12 luglio ha condotto 120 raid aerei;
- il 28 giugno ha distrutto l’unica centrale elettrica di Gaza, costringendo gli abitanti della Striscia a ricevere corrente elettrica solo sporadicamente, in atto per 6-8 ore al giorno; per riparare la centrale elettrica occorreranno, oltre a svariati milioni di dollari, almeno 6 mesi di tempo;
- ha gravemente danneggiato il sistema dei rifornimenti idrici ed il sistema fognario, in conseguenza sia dei bombardamenti, sia della mancanza di elettricità, sia del passaggio dei veicoli corazzati di Tsahal; attualmente, i Palestinesi della Striscia ricevono acqua per non più di 2-3 ore al giorno;
- ha quasi completamente interrotto il rifornimento di carburanti per i veicoli presenti nella Striscia, con il risultato, tra l’altro, che dal 9 di luglio la municipalità di Gaza ha interrotto il ritiro dei rifiuti urbani, con quali conseguenze di ordine igienico e sanitario si può facilmente immaginare;
- ha distrutto i tre ponti e la strada principale che collegano il nord, il centro e il sud della Striscia, tagliandola virtualmente in tre tronconi;
- ha praticamente sigillato i confini della Striscia di Gaza, impedendo l’afflusso di cibo, medicinali, rifornimenti umanitari a partire dal 7 luglio;
- ha bloccato completamente il valico di Rafah, impedendo il transito da e per l’Egitto anche ai malati e ai bisognosi di cure mediche; il risultato è che, dal 28 giugno a oggi, ben 8 Palestinesi sono morti per mancanza di adeguate cure mediche, e tra essi la 19enne Muna Ismail, reduce da un intervento chirurgico in Egitto, e Hamza Abu Taleb, un bambino di soli 18 mesi;
- ha arrestato (o meglio, “rapito”, per usare la terminologia cara agli Israeliani) 27 membri del Consiglio Legislativo Palestinese e 8 membri del legittimo Governo di Hamas, tutt’ora illegalmente detenuti;
- ha ripreso la pratica delle cd. “sonic bombs”, le ripetute rotture del muro del suono da parte dei jet della Iaf, soprattutto nelle ore notturne, che costituiscono una pratica vietata dal diritto umanitario;
- ha distrutto vari edifici governativi, scuole, pubbliche istituzioni, bersagli dal valore militare assolutamente nullo, causando nel contempo gravi danni alle costruzioni civili circostanti e causando numerosi feriti tra la popolazione civile.
Ma, soprattutto, Israele ha risposto dando il via ad un massacro senza precedenti, che fa impallidire il ricordo dei fatti di Jenin, uccidendo in totale 102 Palestinesi e ferendone almeno 254 (statistiche rilevabili dal sito web della Mezzaluna rossa, aggiornati al 17 luglio); solo nella Striscia di Gaza, a partire dal 25 giugno, Tsahal ha massacrato 89 Palestinesi, di cui 44 civili: tra questi ultimi, si contano 19 bambini, 3 donne, 3 disabili.
Risulta, peraltro, quasi impossibile dar conto di tutte le uccisioni illegali e dei crimini di guerra commessi da Israele in questo periodo, e dunque ci limiteremo a riportare tre dei fatti più gravi e sanguinosi.
Sabato, 8 luglio, verso sera, un missile lanciato dall’aviazione israeliana cade nel giardino della casa della famiglia Hajjaj, situata a 800 metri circa dal confine con Israele, proprio mentre tutta la famiglia è riunita fuori per un barbecue: muoiono così una povera donna palestinese, la 42enneAmmouna Hajjaj e due dei suoi figli, Rawan e Mohammed, rispettivamente di 6 e 20 anni, mentre altri cinque membri della famiglia rimangono feriti.
Lunedì, 10 luglio, intorno alle 19:00, un aereo israeliano lancia un missile contro un gruppo di ragazzi che giocavano nel campetto di calcio della loro scuola a Beit Hanoun: muoiono così, letteralmente fatti a pezzi, tre 16enni palestinesi, Mahfouth Nuseir, Ahmad Abu Amsha e Ahmad Fathi Shabat, mentre un loro coetaneo rimane gravemente ferito.
Mercoledì 12 luglio, verso le quattro della mattina, l’aviazione israeliana sgancia una bomba da 250 kg. contro un edificio di tre piani situato nel quartiere Sheikh Radwan di Gaza City, nel tentativo di uccidere il capo dell’ala militare di Hamas Mohammed Deif, che però rimane solo lievemente ferito.
In compenso, a morire ci pensano i coniugi Awad e Nabil Abu Salmeya e sette dei loro figli, Nasrallah, 4 anni, Aya, 7 anni, Yihya, 9 anni, Ayman, 12 anni, Huda, 14 anni, Sumayah, 16 anni, Basma, 17 anni; in aggiunta, almeno altri 34 civili sono rimasti feriti, tra cui 6 donne e 5 bambini, nel corso di un’azione criminale e sanguinosa, che ci riporta indietro al tempo dell’assassinio di Salah Shehadeh
3) Cosa abbia a che fare tutto questo - questi massacri, questi crimini contro l’umanità, questa brutalità e ferocia davvero spaventose – con il “diritto all’autodifesa” da parte di Israele davvero non sappiamo spiegarcelo.
In soli 20 giorni, lo ripetiamo, dal 28 giugno al 17 luglio, l’esercito israeliano ha ucciso ben 102 Palestinesi e ne ha feriti almeno 254, e qui in Italia addirittura c’è chi pensa di organizzare veglie a sostegno di Israele!
E c’è da dolersi, in proposito, che a queste manifestazioni propagandistiche partecipino anche esponenti della sinistra, da Fassino a Veltroni, non si capisce se per ignoranza dei fatti, superficialità o cinico calcolo politico.
Passino le comunità ebraiche italiane, che continuano a blaterare di un fantomatico risorgente antisemitismo e con questo argomento vorrebbero tacitare ogni minima critica ad Israele, passi la posizione dei radicali e di Emma Bonino, la cui analisi politica somiglia in maniera impressionante a quella del Ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni, ma cosa fa la sinistra italiana per difendere i nostri fratelli palestinesi massacrati dallo spaventoso arsenale bellico israeliano?
La cd. “equivicinanza” – ovvero il classico dare un colpo alla botte ed uno al timpagno – non basta più, non è più tempo delle dichiarazioni misurate con il bilancino mentre la gente muore, e tra essi donne e bambini indifesi.
Per una volta tanto, l’analisi più onesta e aderente alla verità proviene dalla Santa Sede, con il Papa Benedetto XVI che denuncia le oggettive violazioni del diritto e della giustizia che stanno alla base del disastro umanitario in Terrasanta.
Ancora oggi l’Osservatore romano denuncia che il comunicato finale del G8 – che condanna Hamas (e gli Hezbollah) limitandosi a chiedere “moderazione” ad Israele - è troppo sbilanciato in favore di quest’ultimo; è sbagliato, prosegue l’Osservatore, porre come priorità assoluta il rilascio dei soldati israeliani “rapiti” e solo dopo l’invito a Israele a moderare la propria risposta militare, così come è tragico e sbagliato rinunciare ad imporre un cessate il fuoco umanitario immediato.
Ma la vera questione è un’altra.
Ricordo un bellissimo articolo di Adri Nieuwhof, un ex ambasciatore olandese, che argutamente faceva osservare come Israele rientri perfettamente nella fattispecie di Stato “canaglia” delineata dall’Amministrazione americana, in quanto è un Paese che possiede armi di distruzione di massa illegali, opprime intere popolazioni, pratica la tortura, mantiene un gran numero di civili in detenzione spesso illegale ed arbitraria, pratica l’assassinio al di fuori dei propri confini.
Il vero è che Israele oggi è la sola potenza coloniale occupante che sia rimasta, una potenza coloniale brutale, feroce ed oppressiva, la cui condotta è eticamente indifendibile e le cui azioni nei Territori occupati violano quotidianamente le più basilari norme del diritto umanitario internazionale.
Se la comunità internazionale non prenderà atto di questa semplice ed evidente realtà, adottando i provvedimenti conseguenti, ivi incluso il boicottaggio e l’isolamento politico ed economico nei confronti di Israele, la pace in Medio Oriente non farà nemmeno un passo in avanti ed anzi, come dimostrano i fatti di queste settimane, rischierà seriamente di farne molti all’indietro.

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17 luglio 2006

Appello urgente!

Da un mese in Italia per giocare gli AltriMondiali, tornei di calcio, di sport e pace, sette ragazzi palestinesi, provenienti dai campi profughi, non possono tornare alle loro case.
Gaza occupata e sotto l'assedio, striscia di terra umiliata, cumulo di macerie, privata di ogni risorsa, senza possibilità di decidere del proprio futuro. Terra palestinese, circondata da muro alto quanto serve, per impedire il passaggio delle persone e di ogni bene di prima necessità; un muro alto sì, ma non abbastanza per imprigionare i sogni e la voglia di libertà e giustizia di un intero popolo.
Le operazioni militari israeliane in corso in tutti i territori occupati, la chiusura di ogni frontiera ed il silenzio dei governi e dei media occidentali, bene illustrano lo scenario di una guerra che semina disperazione e divide le persone.
Rafah è chiusa e per questo i sette ragazzi non possono tornare.
"Siamo abituati a vivere in una piccola prigione, ora siamo costretti in una prigione un po' più grande", dice Mohammed della squadra di calcio.
Di nuovo profughi: i sette ragazzi di Gaza devono poter tornare alla loro terra, alle loro case, ai loro cari.
La chiusura della frontiera con l'Egitto, rappresenta l'ennesima violazione degli accordi internazionali: il valico di Rafah è gestito dalle forze multinazionali, compresi i Carabinieri, eppure migliaia di persone sono costrette in un accampamento in mezzo al deserto, in attesa che si concludano le rappresaglie, la crisi dell’ostaggio… fino a quando?
La squadra di calcio Free Palestine non può ripartire finché non saranno riaperte le frontiere e non saranno garantite le condizioni di sicurezza per il loro rientro.
Chiediamo a tutte le Istituzioni nazionali e cittadine, alla società civile di dare un concreto segnale di aiuto e di assunzione di responsabilità, sostenendo la permanenza in Italia dei giovani palestinesi di Gaza. Invitiamo le associazioni, la società civile, i cittadini a mobilitarsi concretamente a sostegno dei nostri sette giovani palestinesi.

L'Italia ha giocato e vinto contro la Germania, in uno stadio dove piovevano fischi assordanti: a Gaza piovono bombe, sulle università, sui centri culturali, sulle strade e sui campi sportivi.

Libertà di giocare: che vinca la pace. Liberate gli ostaggi, civili e militari, liberate la vita. L’Italia vinca anche questa partita.

Sottoscrivete a sostegno dei 7 palestinesi di Gaza
bonifico bancario a: associazione l'Altropallone, via Angera 3 20125 Milano
Banca Popolare Milano ag.350 MI, coord.banc.: abi 5584 cab 1661 c/c 02204causale: CONTRIBUTO STRAORDINARIO X 7 RAGAZZI GAZA

l'AltroPallone Acea – Accesso – ConGES – Deafal – Martesana Solidale
AltriMondialiPAIS Palazzo delle Alternative e delle Iniziative Sociali via Angera 3 20125 Milano ingresso da via Belgirate 15 tel.+39-0267574325 fax+39- 0267574322

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11 luglio 2006

Un sondaggio "mirato".

Le esecuzioni extra-giudiziarie o, come le definiscono gli Israeliani, le “eliminazioni mirate” di militanti palestinesi – spesso leader delle fazioni armate ma talvolta anche semplici esponenti politici – costituiscono una pratica vietata dal diritto internazionale in quanto equivalgono, come più volte ricordato dal Segretario Onu Annan, a delle “executions without a trial”, ovvero a delle condanne a morte eseguite da Israele senza alcuna prova, alcun processo, alcuna giuria.
Ma il fatto ancor più grave è che queste “eliminazioni mirate”, per i luoghi e le modalità con cui vengono portate a compimento, determinano quasi costantemente il coinvolgimento di civili palestinesi inermi e inconsapevoli, e costituiscono dei feroci e spietati crimini di guerra.
In questi ultimi mesi, nella più totale e colpevole inerzia della comunità internazionale e dei media di regime, abbiamo visto Israele dispiegare tutto la capacità tecnologica del suo infernale apparato bellico, e abbiamo assistito impotenti a uccisioni e massacri di ogni sorta, intere famiglie spazzate via, bambini uccisi mentre giocavano in strada o magari costretti – come la piccola Mariyah Aman - a rimanere paralizzati per tutta la vita in un letto d’ospedale mentre, fino a pochi istanti prima, giocavano sulle ginocchia della propria madre.
Per un resoconto cronologico delle “prodezze” dell’esercito israeliano fino alla data del 14 giugno rimando a questa pagina del blog “Palestina libera!”, mentre, per il periodo successivo, mi limiterò a riportare i casi più eclatanti, dato che il ritmo delle uccisioni, delle violenze e delle distruzioni operate da Israele nei Territori occupati diventa ogni giorno più incalzante, tanto da rendere difficile persino il semplice tener dietro agli accadimenti.
Martedì 20 giugno, intorno alle 7:20 della sera, un aereo dell’aviazione israeliana ha lanciato un missile contro un auto che trasportava tre militanti delle Brigate al-Aqsa, l’ala militare di Fatah, all’interno del quartiere Sheikh Radwan di Gaza City.
Ma mentre i tre se la sono cavata con qualche ferita, l’esplosione del missile ha provocato la morte di due poveri bambini e del 16enne Bilal al-Hissi, nonché il ferimento di altri 13 Palestinesi innocenti, tra cui quattro bambini di 2, 5, 8 e 9 anni.
I due poveri bimbi uccisi, Mohammed Jamal Rouqa di sei anni e la sorellina Samia, di soli cinque anni, stavano tranquillamente giocando per strada davanti alla porta della loro casa.
Mercoledì 21 giugno, intorno alle 6:30 del pomeriggio, un altro aereo della Iaf ha lanciato due missili contro un pick-up che trasportava alcuni membri dei Comitati di Resistenza Popolare nei pressi della cittadina di Khan Yunis, a sud della Striscia di Gaza.
Inopinatamente, tuttavia, i missili hanno completamente mancato il loro bersaglio, andando a colpire in pieno la vicina casa appartenente alla famiglia di Abdul Qadar Ahmed, in quel momento riunita in cucina.
Hanno trovato così la morte Zakaria Ahmed, il fratello 45enne del padrone di casa, giunto in visita dall’Arabia Saudita, e la sorella Fatema, una povera donna di 37 anni incinta di sette mesi; in aggiunta, altri undici componenti della famiglia e quattro passanti sono rimasti feriti, tra cui cinque bambini di 9 mesi e di 2, 3, 5 e 7 anni.
I soccorritori, più tardi, racconteranno che la cucina dell’appartamento era un vero e proprio lago di sangue.
Venerdì 5 luglio, intorno alle 9:15 del mattino, alcuni soldati israeliani hanno circondato una casa nel campo profughi di Ein al-Sultan, a nord-ovest di Gerico, intimando al Palestinese ricercato che la occupava, il 41enne Mahmoud Jaber, di uscire fuori e di arrendersi.
Mahmoud Jaber, dietro la minaccia israeliana di demolire la casa con i bulldozer, è uscito fuori con le mani alzate, e a quel punto i soldati israeliani lo hanno liquidato con un colpo di fucile alla testa a distanza zero, in puro stile SS.
Più tardi, naturalmente, un portavoce dell’esercito israeliano sosterrà che il povero Mahmoud aveva cercato di scappare, ma si tratta di una versione difficile da sostenere, dato che i soldati gli si erano già avvicinati e addirittura gli avevano ordinato di togliersi i vestiti…
Sabato 8 luglio, intorno alle 7:50 della sera, nel tentativo di colpire un gruppo di militanti palestinesi nei sobborghi di Gaza City, e precisamente alla fine di Mansour Street, l’aviazione israeliana ha lanciato un missile davanti al cortile di una casa di civile abitazione, uccidendo la 42enne Ammouna Hajjai e due dei suoi figli, Rawan e Mohammed, rispettivamente di 6 e di 20 anni; in aggiunta, altri cinque componenti della famiglia sono rimasti feriti.
Israele, in ognuna di queste occasioni, si è sempre dichiarata “dispiaciuta” per la morte di civili palestinesi innocenti, rigettando però, nel contempo, ogni responsabilità al riguardo, ed arrivando a definire l’esercito israeliano – come ha fatto il premier Olmert – “l’esercito più etico del mondo”: e meno male!
Sempre secondo Olmert, non vi sarebbe assolutamente “equivalenza morale” tra gli attacchi terroristici dei Palestinesi e le operazioni dell’esercito israeliano, in quanto Tsahal non ha mai l’intenzione di “colpire gli innocenti”.
A giudizio del capo dell’aviazione israeliana, il Maggiore Generale Elyezer Shkedy, gli uomini al suo comando compiono “sforzi sovrumani” per evitare di coinvolgere nei loro raids i civili innocenti, eppure i risultati sono sotto gli occhi di tutti: o Shkedy afferma il falso, oppure questi sforzi non sono poi così sovrumani!
Il vero è che condurre assassinii “mirati” all’interno di città o villaggi densamente popolati – come sono soprattutto quelli della Striscia di Gaza - comporta necessariamente l’uccisione e/o il ferimento di civili inermi ed innocenti, povere donne, bambini e neonati inclusi: come ha avuto modo di commentare Gideon Levy di Ha’aretz, tutto ciò “sta scritto sui muri”.
Lanciare dei missili nel cuore di quartieri residenziali o in strade affollate, soprattutto nelle prime ore della sera quando la gente esce fuori per strada per godere del fresco serale, non può che comportare inevitabilmente che anche la popolazione innocente venga coinvolta negli attacchi.
Resta fermo, in ogni caso, che Israele ha il dovere sancito dal diritto umanitario, e in primis dalla Convenzione di Ginevra, di non danneggiare in alcun modo nelle proprie azioni militari i civili disarmati e non coinvolti nei combattimenti.
Secondo il principio di proporzionalità, in particolare, è vietato ogni attacco – anche contro obiettivi legittimi – se vi è la probabilità di causare danni alla popolazione civile, sproporzionati rispetto al vantaggio che l’attaccante si propone di ottenere; il che, tra l’altro, comporterebbe per Israele anche l’onere di provare che non vi era altra alternativa ragionevole all’attacco stesso.
In tutti questi casi, dunque, ci troviamo di fronte di tutta evidenza a dei veri e propri crimini di guerra, che dovrebbero comportare sanzioni per i vertici politici che ordinano gli assassinii “mirati”, per i vertici militari che li pianificano, per gli esecutori materiali degli stessi.
In un Paese civile, il sanguinoso massacro di decine e decine di uomini, donne e bambini assolutamente inermi ed incolpevoli dovrebbe comportare, quanto meno, il ripensamento del modus operandi dell’esercito, nonché la rimozione dei vertici militari responsabili di questo bagno di sangue, in primis del comandante della Iaf Shkedy.
Ed invece Israele non sembra avere alcun ripensamento (né, tanto meno, alcun rimorso…), considerato che il giornale inglese The Guardian, citando fonti diplomatiche, ci informa che sarebbe già pronta una lista di ben 13 “candidati” all’uccisione “mirata”, comprendente Khaled Meshaal ed il premier palestinese Ismail Haniyeh.
In un Paese civile, l’opinione pubblica si ribellerebbe a questo folle e brutale spargimento di sangue innocente, e scenderebbe in piazza per protestare contro questa banda di assassini che siede al governo di Israele.
Ed invece, sorprendentemente, un sondaggio del giornale israeliano Ma’ariv, pubblicato il 7 luglio scorso, mostra che l’82% degli Israeliani sarebbe d’accordo all’assassinio dei leader di Hamas.
Dunque, secondo Ma’ariv, quattro israeliani su cinque sono d’accordo con la politica delle esecuzioni extra-giudiziarie portata avanti con gran vigore dal premier israeliano Olmert e da quell’assassino entusiasta di nome Amir Peretz, pur se essa viene rivolta a dei leaders politici estranei alla militanza armata, e pur se, in tutti questi mesi, le eliminazioni “mirate” hanno provocato il vero e proprio massacro della popolazione civile palestinese.
Eccola la razza, pardon, il “popolo eletto”, ecco il “faro di civiltà” nel mare della barbarie mediorientale, una collettività che pratica e approva il massacro e l’assassinio, che fonda la propria esistenza sulla cieca violenza, sulla brutalità, sul razzismo, sul furto della terra e delle risorse naturali, sull’arbitrio.
E pensare che qualche giullare della politica nostrana, di tanto in tanto, esce fuori a sostenere la proposta di accogliere questa gente nell’ambito della Comunità europea.

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