26 agosto 2009

Verso la pace: l'esercito israeliano uccide 4 Palestinesi.

In un recente incontro con il presidente egiziano Mubarak, Barack Obama ha avuto modo di affermare che Israele sta muovendo i giusti passi verso la pace.

Sarà anche vero, ma i fatti che avvengono sul campo non sembrano avvalorare le parole del presidente Usa.

Poco dopo le 15:00 del 24 agosto, le truppe israeliane attestate lungo il confine a nord-ovest di Beit Lahia, nel nord della Striscia di Gaza, hanno sparato a due civili palestinesi che si erano avvicinati “troppo” al confine, uccidendoli.

I due, il 16enne Sa’id ‘Ata al-Hussumi e il 19enne Mas’oud Mohammed Tanboura, lavoravano in una fattoria situata nella cittadina di Beit Lahia, a circa 350 metri dal confine, e avevano cercato di avvicinarsi alla recinzione per recuperare fili metallici da rivendere. Entrambi erano disarmati.

Israele ha unilateralmente e illegalmente deciso di imporre una zona cuscinetto a nord e a est della Striscia di Gaza, che si estende in territorio palestinese per 300 metri, sparando a vista contro chiunque si avventuri nell’area. In tal modo, a numerosi agricoltori palestinesi viene di fatto impedito di coltivare i propri terreni se situati in questa zona cuscinetto, a pena della vita, e questo senza considerare che, in numerosi casi testimoniati, i soldati israeliani hanno aperto il fuoco contro civili palestinesi che si trovavano a distanze ben maggiori di 300 metri dal confine.

A pagare il prezzo di questa ennesima illegalità israeliana sono, naturalmente, i più poveri e disperati tra gli abitanti di Gaza, peraltro in buon numero dato che, ad oggi, i tassi di disoccupazione e di povertà nella Striscia sfiorano, rispettivamente, il 60 e l’80% della popolazione.

Nelle prime ore della mattina del 25 agosto, un aereo israeliano ha sganciato una bomba contro un tunnel scavato a sud di Rafah, lungo il confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto. Come risultato, sono morti due palestinesi, il 20enne Na’el ‘Ali al-Batniji e il fratello 30enne Mansour, mentre un terzo fratello, Ibrahim, di 35 anni, risulta disperso; in aggiunta, almeno sei Palestinesi sono rimasti feriti.

I tunnel che passano al di sotto del confine con l’Egitto (stimati in 1.000 da alcuni e in numero di 600-800 secondo altre fonti) sono l’unico modo attraverso cui i Palestinesi di Gaza possono ricevere quei beni, rifornimenti, carburanti e quant’altro necessario al vivere civile, che il blocco imposto da Israele alla Striscia impedisce di ricevere per le normali vie commerciali.

Basti pensare che, nel mese di luglio, il numero di carichi ammessi da Israele nella Striscia di Gaza è stato pari a 2.231, con una diminuzione del 14% rispetto al mese di giugno, raggiungendo così il livello più basso dall’inizio dell’anno, circa il 18% di quanto entrava nella Striscia prima dell’imposizione del blocco da parte di Israele (cfr. OCHA, The Humanitarian Monitor – July 2009).

La necessità di usufruire di questi precari e pericolosissimi tunnel per rifornire la Striscia di Gaza comporta un altissimo prezzo in vite umane, senza necessità di aggiungervi i Palestinesi uccisi dai raid assassini di Israele. Dalla data di imposizione del blocco da parte di Israele, nel giugno del 2007, ben 85 Palestinesi sono rimasti vittime di crolli all’interno dei tunnel, 36 solo in quest’anno.

Tutto questo mentre è passato sotto assoluto silenzio un recente rapporto dell’Onu – presentato intorno alla metà di agosto – in cui l’Alto Commissario Onu per i diritti umani Navi Pillay ha accusato Israele di aver commesso gravi violazioni del diritto umanitario durante la recente operazione militare denominata “Piombo Fuso”.

E’ davvero incredibile, cosa altro deve accadere perché la comunità internazionale si attivi per costringere Israele a togliere l’assedio alla Striscia di Gaza e restituire un milione e mezzo di Palestinesi ad una vita civile e dignitosa, e soprattutto sicura?

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25 agosto 2009

Venti giorni nella Palestina occupata.

Dal sito web del Campo Antimperialista ho tratto questo breve articolo di Edoardo Bottini, un volontario italiano che ha trascorso 20 giorni ad Askar, un campo profughi situato nei pressi di Nablus che conta quasi 15.000 abitanti.

Al di là delle dettagliate analisi, statistiche e resoconti su quanto accade nella Palestina occupata, la testimonianza diretta è quella che consente di capire meglio di ogni altra la brutalità dell’occupazione militare israeliana e le miserevoli condizioni di vita in cui sono costretti a vivere centinaia di migliaia di Palestinesi, nell’indifferenza della comunità internazionale.

Sarebbe forse il caso di organizzare visite guidate e tour di scolaresche non solo ad Auschwitz e negli altri siti storici simbolo dell’Olocausto, ma anche in questi luoghi dove oggi, quotidianamente, l’uomo opprime, discrimina e uccide il proprio fratello, e dove persino la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo non è altro che un pezzo di carta straccia privo di alcun valore.

Venti giorni nella Palestina occupata
di Edoardo Bottini

Sono tornato in Italia da poco, dopo 20 giorni trascorsi nel campo profughi di Askar, nei pressi di Nablus. Sono partito come volontario con l'associazione Zaatar (sul loro sito www.associazionezaatar.org si trovano tutte le informazioni sulle loro iniziative).

Continuo a pensare a chi in Palestina deve vivere ogni giorno con quello che io, da privilegiato internazionale, ho solo assaggiato.

Il popolo palestinese vive quotidianamente sotto la minaccia di un arbitrario potere militare di una potenza occupante straniera che si manifesta, prima di tutto, in una militarizzazione del territorio fatta di checkpoint fissi e mobili, tanto che i palestinesi sono abituati a informarsi più volte, durante qualunque viaggio, sulla situazione di questo o quel CP. Un'altra faccia della militarizzazione della Cisgiordania è il muro di separazione, che in realtà è il muro dell'appropriazione: 10 metri di altezza di cemento armato sormontato da filo spinato e controllato da torrette militari che espropria terreni ai villaggi palestinesi con il risultato, ad esempio, di impedire ai contadini di coltivare la propria terra. La lunghezza del muro è doppia rispetto a quella della Green Line del 1967.

Ho avuto la fortuna di trascorrere 20 giorni ad Askar e, quasi tutte le notti, l'esercito israeliano compiva incursioni nel campo per effettuare arresti o semplicemente per affermare il proprio arbitrario potere di sottoporre tutta la popolazione del campo ad un coprifuoco non dichiarato, ma di fatto vigente. Abbiamo chiesto ai volontari palestinesi se ci fosse qualcosa che noi, da internazionali, potevamo fare contro queste incursioni, come avvicinarci con un megafono dichiarando la nostra nazionalità . Ci è stato risposto che di notte i militari non hanno rispetto per nessuno, sparano a qualunque cosa si muova. Ci viene raccontato di come un abitante del campo sia stato ucciso perché si trovava sul tetto della propria casa durante una di queste incursioni: gli occhi indiscreti di un testimone non sono bene accetti nell'unica democrazia del Medio Oriente.
La stessa logica di soppressione del dissenso la trovi applicata sin dall'ingresso in Israele, al Ben Gurion, dove un volontario internazionale viene respinto perché ha partecipato a manifestazioni non violente contro l'occupazione con l'ISM. O a Bil'in, una delle città divenute simbolo della resistenza palestinese con la sua manifestazione settimanale contro il muro dell'apartheid: l'esercito israeliano accoglie i manifestanti pacifici con il lancio di lacrimogeni ad altezza uomo.

La violenza militare viene poi usata da Israele anche, e soprattutto, per l'appropriazione indebita di territorio. Come a Hebron, la città della vergogna: una città fantasma, dalla quale i palestinesi sono costretti a fuggire a causa dei soprusi dei coloni protetti dai militari. Il 70-80% dei negozi che costituivano il vecchio suk del centro storico sono ormai chiusi: mentre attraversiamo questo anomalo mercato arabo, vediamo le reti metalliche sopra le nostre teste, messe là per proteggere le vie dal lancio di rifiuti, molotov e quant'altro da parte dei civilissimi coloni. Hebron, città costellata da CP, è l'esempio di quello che Israele intende quando parla di convivenza con i palestinesi: ghettizzazione degli arabi, soprusi quotidiani di coloni invasati protetti dai militari e, quindi, furto della terra palestinese.

La logica militare è quella che vige anche nella scelta della localizzazione degli insediamenti, sempre posti sulle cime delle alture, a controllare il territorio circostante. Gli insediamenti in Cisgiordania sono vere e proprie città circondate da muri e filo spinato, presidiate da militari: tutti violano la convenzione di Ginevra che vieta ad un esercito occupante di trasferire civili sul territorio occupato. Le strade che collegano tra loro i vari insediamenti sono proibite ai palestinesi che rischiano l'arresto o anche la vita nel malaugurato caso in cui decidessero di percorrere una di queste vie, interamente in territorio palestinese.

La violenta follia dei coloni non si riversa solo contro le persone ma anche contro il territorio: leggevo una statistica secondo la quale soltanto il 10% dei rifiuti prodotti dai coloni viene riciclato, mentre il restante 90% viene sversato in territorio palestinese.

Personalmente ho visto come i coloni si approprino di corsi d'acqua da utilizzare come discarica.
L'occupazione è nella parole di tutte le testimonianze dei palestinesi: ciascuno ha una storia di soprusi, torture, carcere, pallottole da raccontare.

Un professore universitario di Nablus, che abbiamo avuto il piacere di incontrare, ci racconta di quando, partecipando ad un congresso negli USA, continuava a sentire associare ad Israele la descrizione propagandistica "l'unica democrazia del Medio Oriente". Ci dice sorridendo: "Beh, io sono stato torturato dall'unica democrazia del Medio Oriente", mentre ci mostra le cicatrici delle pallottole.

Lo stesso professore ci racconta di una manifestazione, il 30 Marzo 2001, in cui 50000 manifestanti pacifici decidono simbolicamente di procedere verso il CP di Awara, alle porte di Nablus. Il presidio militare li accoglie coi soldati schierati e i fucili puntati, quindi inizia a sparare sulla folla pacifica. Si conteranno 6 morti e la fine della tradizionale marcia del 30 Marzo a Nablus. Se i militari israeliani sparano sulla folla disarmata è legittima difesa, se la folla reagisce lanciando pietre è perché gli arabi sono dei barbari.

Una delle domande che mi sono sentito rivolgere più spesso in questi giorni è stata: "Cosa faresti tu se il tuo paese fosse sottoposto a un'occupazione militare?". Per fortuna, non riesco nemmeno a immaginarlo, questa è la verità .

Ho sentito parlare di resistenza e ho visto come il popolo palestinese resiste quotidianamente alla violenza dell'occupazione e all'indifferenza del mondo: senza dimenticare e senza perdere la speranza nel futuro. Le declinazioni della parola resistenza in Palestina sono diverse ma tutte hanno a che fare con l'attenzione alla società civile: dai teatri ai centri di sviluppo socio culturale, dalla creazione di una rete di contatti tra chi vive i soprusi dell'occupazione all'organizzazione della società civile. Solidarietà e comunità sono due tra le parole che in Palestina non senti mai ma che respiri ogni giorno.

I palestinesi vogliono la pace e tutti ricordano la felicità provata all'indomani degli accordi di Oslo, che sembravano finalmente porre fine all'occupazione. La realtà dei fatti dimostra che Israele non aveva alcuna intenzione di restituire la Cisgiordania e Gaza ai palestinesi: in 5 anni sorsero più di cento nuovi insediamenti e il numero dei coloni raddoppia passando da 200 mila a 400 mila unità . Una crescita demografica miracolosa e una esplicita dichiarazione di intenti riguardo la restituzione della terra ai palestinesi.

La situazione oggi, per quello che ho potuto capire io, è sempre molto fluida ed oscilla tra chi predice una nuova Intifada se la situazione non cambierà , e chi invece è convinto che aspettare e costruire una società civile sia la soluzione migliore.

Tutti però sono d'accordo su una cosa: il primo punto è porre fine all'occupazione della Cisgiordania e di Gaza che dura da 60 anni. Qualunque autorità che proceda ad accordi con Israele in cui questo non sia il nodo cruciale non rappresenta il popolo palestinese.

Quando lasci Askar, l'unica cosa che i palestinesi ti chiedono è di parlare di ciò che hai visto. Esattamente quello che Israele non vuole. E non è questione di pietà, è in gioco l'affermazione di un principio per tutta l'umanità: nessuno ha il diritto di occupare con la forza una terra e cacciarne gli abitanti. Ecco perché credo che fare parte di un campo di lavoro nei territori occupati costituisca non solo l'occasione di vedere con i propri occhi quale violenza subiscano quotidianamente i palestinesi, ma anche, e soprattutto, la partecipazione ad una forma di resistenza civile nella quale siamo coinvolti tutti.

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24 agosto 2009

Palestine Will Be Free فلسطين سوف تحرر

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13 agosto 2009

In carcere per aver turbato la quiete delle demolizioni.

Abbiamo già parlato della vicenda di Ezra Nawi, un ebreo israeliano di origini irachene attivista dell’organizzazione pacifista Ta’ayush, arrestato a giugno per aver tentato di impedire che i bulldozer dell’esercito israeliano demolissero alcune povere baracche che costituivano la casa di alcuni Beduini nel villaggio di Um El Hir, nel sud della Cisgiordania.

Domenica prossima verrà pronunciata la sentenza relativa al suo caso, che tuttavia appare già segnato.

Ezra, infatti, si sarebbe macchiato del gravissimo crimine di aver spinto le persone dentro la casa incoraggiandole alla resistenza, di aver rimproverato la polizia, di essersi sdraiato davanti al bulldozer insieme ad altri e di aver fatto irruzione nella baracca dopo che il bulldozer aveva già iniziato a demolirla. Secondo il giudice, “gli atti e la condotta dell’imputato costituiscono gravi interferenze volte a turbare la quiete pubblica”.

Quale “quiete”, quella in cui le case dei Palestinesi possono essere demolite impunemente, lasciando centinaia di persone, donne, bambini e anziani compresi, senza un tetto sotto cui vivere? Quale “quiete”, quella in cui la disobbedienza civile viene definita “rivolta”?

Il quotidiano israeliano Ha’aretz ha paragonato la resistenza non violenta di Ezra Nawi a quelle del Mahatma Gandhi e di Martin Luther King, entrambi imprigionati per le loro convinzioni e le loro idee. Il giudice israeliano, evidentemente, vuole essere sicuro che Ezra segua lo stesso destino.

E tutti noi siamo chiamati a impedire che ciò accada.

Già 19.000 persone (io tra questi) hanno inviato le loro email di protesta per chiedere a Israele di non condannare Ezra Nawi alla detenzione. Continuiamo a sostenere Ezra Nawi, un uomo buono e gentile che ha scelto di dedicare la sua vita alla difesa dei diritti dei poveri e degli oppressi, e che per ciò stesso dovrebbe essere oggetto di ammirazione e di gratitudine, non certo buttato nella cella di un carcere israeliano.

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12 agosto 2009

L'omosessualità? Una perversione!

Spesso ci viene ricordato come Israele sia un “faro di civiltà” nelle tenebre del fanatismo e dell’intolleranza del medio oriente islamico e, a riprova di questa affermazione, si cita spesso l’atteggiamento tollerante della società israeliana nei confronti della comunità gay, in contrasto con la repressione perpetrata a danno degli omosessuali in molti paesi arabi.

Ma, nella realtà, le cose non stanno esattamente così, e ce lo ha tristemente ricordato il recente attentato dell’1 agosto a Tel Aviv, nel corso del quale un uomo dal volto coperto ha fatto irruzione nei locali di Aguda – la prima associazione lgbt israeliana – aprendo il fuoco all’impazzata e uccidendo il 26enne Nir Katz e la 17enne Liz Troubishi, e provocando altresì il ferimento di un’altra dozzina di persone.

E, allora, torna alla mente come le parate del Gay pride debbano svolgersi ogni anno con un imponente schieramento di polizia e di soldati a protezione dei partecipanti, e come nel 2005 tre omosessuali siano stati assaliti a pugnalate da ebrei ultra ortodossi.

Così, in questi giorni, alcune organizzazioni che raggruppano gay e lesbiche israeliani hanno sottoscritto un appello al premier Netanyahu, denunciando: “più di una volta abbiamo dovuto sentire gravi esempi di istigazione (contro la comunità gay e transgender) provenienti da numerose autorità, inclusi membri del Parlamento e ministri del vostro governo”.

Ma, soprattutto, quale sia il reale atteggiamento della società israeliana nei confronti della comunità omosessuale ce lo mostra con chiarezza un recente sondaggio del quotidiano Ha’aretz, condotto dal professore Camil Fuchs, nel corso del quale il 46% degli intervistati ha risposto affermativamente alla domanda “lei vede l’omosessualità come una perversione?”, contrapposto al 42% che ha risposto di no e al 12% che non ha saputo dare un’opinione precisa al riguardo.

La percentuale di chi ritiene che l’omosessualità sia una “perversione” sale al 67% tra gli ebrei osservanti e al 71% tra gli ultra ortodossi. Il che allontana di molto Israele dalle società occidentali, avvicinandolo piuttosto a paesi come la Bulgaria.

Israele sarà dunque, pur sempre, un paese civile ed ospitale, ma forse non per i gay!

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6 agosto 2009

Piccoli coloni crescono (tirando pietre ai coetanei palestinesi).

I bambini palestinesi che si recano a scuola nel villaggio di Tuwani (Cisgiordania meridionale) proveniendo dai villaggi vicini sono costretti a passare nei pressi dell''insediamento colonico illegale di Havat Maon.

Negli ultimi anni, i coloni israeliani hanno preso il controllo della strada principale che unisce tra loro i villaggi della zona, costringendo i piccoli palestinesi ad estenuanti percorsi su sentieri secondari.

Come se ciò non bastasse, i bravi coloni hanno iniziato ad attaccare gli scolari lungo il tragitto, spingendo l'Alta Corte israeliana ad ordinare all'esercito di assicurare protezione ai Palestinesi.

Ma l'Idf non è quasi mai disponibile alla bisogna, a causa di "impegni precedenti", e così la "scorta" agli scolari palestinesi è assicurata dagli attivisti di organizzazioni quali Ta'ayush (in arabo "coesistenza") o il Christian Peacemaker Team.

Ma naturalmente non è la stessa cosa, e la presenza di questi generosi attivisti non impedisce ai coloni di dare ogni giorno il benvenuto ai ragazzini palestinesi.

E' questo il caso del video qui sopra, che mostra i coloni (adulti) risparmiare le forze e mandare avanti le loro giovani promesse, che magari non sanno ancora leggere e scrivere bene, ma sono già capaci di tirare pietre ai loro coetanei palestinesi, accompagnandole con epiteti gentili quali "figli di puttana" o "pezzi di merda".

Piccoli coloni crescono, seguendo l'insegnamento dei padri condito di razzismo e di violenza.

Ma a noi i tg dell'informazione asservita queste cose non ce le fanno mai vedere.

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3 agosto 2009

I crimini dell'occupazione israeliana: 23-29 luglio 2009.

Inizio da oggi la pubblicazione dei report del Palestinian Centre for Human Rights che testimoniano, con cadenza settimanale, i misfatti e i crimini commessi dagli israeliani a Gaza e in Cisgiordania.

La questione palestinese, infatti, riesce a guadagnare le prime pagine dei giornali solo al prezzo del massacro di centinaia e centinaia di civili innocenti, come è accaduto per la recente operazione “Piombo Fuso” nella Striscia di Gaza. Prima e dopo il silenzio, nulla cambia, nessun assassino inquadrato nei ranghi dell’Idf, l’esercito più “morale” al mondo, viene chiamato a pagare per i crimini commessi, l’efficientissima macchina dell’occupazione israeliana continua a sottrarre ulteriori terre e risorse ai legittimi proprietari palestinesi.

Perché alla fine, e non solo in Israele, le sofferenze dei palestinesi vengono facilmente accantonate, purchè nascoste dal muro (che non è quello dello spot della Cellcom) o celate dietro le sbarre del valico di Rafah.

Salvo poi meravigliarsi del fatto che, chissà perché, nella regione non si riesce a raggiungere un accordo di pace e l’odio per gli ebrei d’Israele rimane intatto a covare sotto la cenere, pronto ad esplodere alla prima occasione.

SOMMARIO

Uso delle armi: durante il periodo riportato, 7 civili palestinesi, inclusi un bambino e una donna, sono stati feriti in Cisgiordania dal fuoco delle truppe israeliane.

Il 24 luglio 2009, 3 civili palestinesi sono stati feriti quando le truppe israeliane hanno usato la forza contro una dimostrazione pacifica organizzata da civili palestinesi per protestare contro la costruzione del Muro di Annessione nel villaggio di Ni’lin, a ovest di Ramallah. Parecchi dimostranti hanno anche sofferto per l’inalazione di una sostanza dall’odore disgustoso usata dalle forze di occupazione. Gli israeliani hanno usato questa stessa sostanza per la prima volta l’8 agosto del 2008.

Incursioni: durante il periodo riportato, le forze di occupazione israeliane hanno condotto almeno 21 incursioni militari nelle comunità palestinesi della Cisgiordania. Gli israeliani hanno arrestato 14 civili palestinesi, inclusi due minori. Il 28 luglio, le forze di occupazione israeliane hanno arrestato 200 lavoratori palestinesi provenienti dal villaggio di Barta’a, a ovest di Jenin.

STRISCIA DI GAZA

Le forze di occupazione israeliane continuano a tenere chiusi da oltre due anni tutti i valichi di confine verso la Striscia di Gaza. L’assedio israeliano, che è stato stabilmente inasprito a partire dal giugno del 2007, ha avuto un impatto disastroso sulla situazione economica ed umanitaria della Striscia di Gaza.

- Un milione e mezzo di persone vengono deprivate dei propri diritti basilari, inclusi la libertà di movimento e i diritti ad adeguate condizioni di vita, al lavoro, alla salute e all’istruzione.

- La principale preoccupazione del milione e mezzo di persone che vivono nella Striscia di Gaza è quella di soddisfare il fabbisogno essenziale di cibo, medicine, acqua, elettricità.

- Le forze di occupazione israeliane continuano ormai da più di due anni ad impedire l’ingresso nella Striscia di Gaza delle materie prime per l’edilizia.

- Israele non consente forniture di combustibili nella Striscia di Gaza dal 10 dicembre 2008, eccettuati limitati quantitativi di gas da cucina.

- Il valico internazionale di Rafah è rimasto aperto solo per pochi giorni per un certo numero di pazienti che avevano ricevuto trattamenti medici all’estero e necessitavano di ritornare a casa nella Striscia di Gaza.

- Le forze di occupazione israeliane continuano a tenere chiuso il valico di Beit Hanoun (Erez) per i civili palestinesi che intendono recarsi in Cisgiordania e in Israele per cure mediche, commercio o visite sociali.

- Il tasso di povertà è salito a circa l’80% e quello di disoccupazione al 60%.

- Le forze di occupazione israeliane continuano ad impedire l’ingresso dei pezzi di ricambio per le reti idriche e quelle fognarie. Le perdite derivate a questo settore vengono stimate in 6 milioni di dollari.

- le forze di occupazione israeliane hanno imposto ulteriori restrizioni all’ingresso nella Striscia di Gaza di diplomatici, giornalisti e operatori umanitari. Gli israeliani hanno impedito ai rappresentanti di numerose organizzazioni umanitarie internazionali di recarsi nella Striscia di Gaza.

- Almeno 900 prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane vengono deprivati del diritto a ricevere visite familiari da oltre due anni.

- Le forze di occupazione israeliane continuano ad attaccare i pescatori palestinesi lungo le coste della Striscia di Gaza.

CISGIORDANIA

Le forze di occupazione israeliane continuano ad imporre severe restrizioni alla libertà di movimento dei civili palestinesi in ogni parte della Cisgiordania, incluso il territorio occupato di Gerusalemme est. A migliaia di civili palestinesi provenienti dalla Cisgiordania e dalla Striscia di Gaza continua ad essere negato l’accesso a Gerusalemme.

- Le forze di occupazione israeliane hanno istituito posti di blocco all’interno e attorno Gerusalemme, limitando fortemente l’accesso dei palestinesi alla città. Ai civili viene frequentemente impedito di pregare nella Moschea di al-Aqsa.

- Vi sono all’incirca 630 blocchi stradali e posti di blocco, presidiati e non, attraverso la Cisgiordania. In aggiunta, vi sono dai 60 agli 80 posti di blocco “volanti” o temporanei istituiti ogni settimana dagli israeliani lungo tutta la West Bank.

- Una volta completato, il Muro di Annessione illegale si estenderà per 724 chilometri attorno alla Cisgiordania, isolando ulteriormente l’intera popolazione. 350 chilometri del Muro sono già stati costruiti. Approssimativamente il 90% del Muro è stato costruito all’interno della West Bank, confiscando ulteriormente territorio palestinese.

- Almeno il 65% delle principali strade che conducono a 18 comunità palestinesi della Cisgiordania sono chiuse o interamente controllate dalle forze di occupazione israeliane (47 su 72 strade).

- Lungo tutta la Cisgiordania vi sono circa 500 chilometri di strade il cui uso è riservato. In aggiunta, circa un terzo della Cisgiordania, inclusa Gerusalemme est, è inaccessibile ai Palestinesi senza un permesso rilasciato dalle forze di occupazione. Questi permessi sono molto difficili da ottenere.

- Le forze di occupazione israeliane continuano a bersagliare e ad assalire i dimostranti che tengono pacifiche manifestazioni di protesta contro la costruzione del Muro di Annessione.

- I civili palestinesi continuano ad essere tormentati dalle forze di occupazione israeliane a Gerusalemme e lungo tutta la Cisgiordania, inclusi coloro i quali vengono regolarmente fermati e perquisiti per le strade dagli israeliani.

Giudaizzazione di Gerusalemme: le forze di occupazione israeliane hanno intensificato le misure arbitrarie contro i civili palestinesi a Gerusalemme est, per costringerli ad abbandonare la città. Il 26 luglio, coloni israeliani si sono impadroniti di una casa nel quartiere di Sheikh Jarrah. Il 27 luglio, coloni israeliani hanno preso d’assalto una casa nello stesso quartiere e da lì hanno iniziato ad attaccare le abitazioni vicine. Il 28 luglio, le forze di occupazione israeliane hanno ordinato a due famiglie palestinesi di sgomberare le proprie case in due settimane. Il 29 luglio, un gran numero di coloni israeliani ha fatto irruzione nei cortili della Moschea di al-Aqsa e ha tenuto cerimonie ebraiche.

Attività di colonizzazione: gli israeliani hanno proseguito le attività di colonizzazione e i coloni israeliani stanziati nei Territori occupati in violazione del diritto umanitario internazionale hanno proseguito i loro attacchi contro i civili palestinesi e le loro proprietà. Il 27 luglio, le forze di occupazione israeliane sono entrate nel villaggio di Kufol Hares, a nord ovest di Salfit e hanno notificato a 8 civili palestinesi l’ordine di interrompere i lavori di costruzione nelle proprie case. Il 23 luglio, svariati coloni israeliani dell’insediamento di Yits’har, a sud di Nablus, hanno attaccato le case palestinesi situate ad est del villaggio di Southern ‘Assira, a sud della città.. Il 24 luglio, decine di coloni israeliani, scortati dalle truppe di occupazione, hanno iniziato ad erigere una recinzione in ferro su un’area di circa 4 ettari nel villaggio di Bourin, a sud di Nablus, per stabilirvi un nuovo avamposto colonico. Secondo il rapporto biennale della “Amministrazione Civile” israeliana, alla fine del giugno del 2009, il numero dei coloni israeliani in Cisgiordania era pari a 304.569. Questo dato non include i coloni che vivono all’interno e attorno Gerusalemme, nonché negli avamposti colonici non registrati dall’Amministrazione Civile. Il numero dei coloni israeliani che non sono sotto l’amministrazione dei consigli locali è salito del 4,4%. Le colonie di natura ideologica sono quelle che hanno visto il maggior incremento di popolazione.

(Il rapporto dettagliato può essere consultato, in lingua inglese, qui).

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