30 luglio 2011

Continua inarrestabile la violenza dei coloni israeliani



Dal sito di Operazione Colomba apprendiamo che la mattina del 27 luglio quattro coloni israeliani dell'insediamento di Havat Ma'on (colline a sud di Hebron, Cisgiordania), a viso coperto e armati di sassi e di una spranga di ferro, hanno attaccato tre pastori palestinesi e due osservatori internazionali. I coloni hanno tirato pietre contro gli internazionali ed hanno colpito uno di loro alla testa con la spranga (vedi foto).

I Palestinesi stavano pascolando i greggi sulla propria terra vicino la collina di Mesheha, quando quattro coloni a viso coperto li hanno attaccati. I pastori sono riusciti a lasciare l'area ma i coloni hanno attaccato gli internazionali (un membro dei Christian Peacemaker Team ed un ospite in visita).


I coloni hanno danneggiato la videocamera del volontario dei CPT ed hanno costretto gli internazionali a ritornare verso il villaggio di At-Tuwani.


Il volontario dei CPT è stato portato all'ospedale e medicato con otto punti di sutura alla testa.Christian Peacemaker Team e Operazione Colomba (Corpo Nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII) hanno già documentato sei episodi dal 22 giugno 2011, in cui i coloni dell'avamposto di Havat Ma'on hanno attaccato Palestinesi ed internazionali vicino la collina di Mesheha.


Si tratta solo dell’ultimo episodio di violenza e di intimidazione contro la popolazione palestinese ad opera della teppaglia colonica che infesta la West Bank.


Secondo l’UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), nel periodo 20-26 luglio 2011, si sono registrati quattro attacchi di coloni israeliani che hanno determinato il ferimento di Palestinesi o il danneggiamento di loro proprietà.


In uno di questi incidenti, avvenuto il 25 luglio, coloni israeliani hanno lanciato pietre contro un autovettura con targa palestinese nei pressi dell’insediamento di Hallamish, ferendo tre donne e un bambino di 7 anni.


In altre due occasioni, i coloni hanno dato fuoco ad alcuni terreni coltivati nel villaggio di Burin, danneggiando una decina di alberi di ulivo, ed hanno ucciso una pecora appartenente ad un pastore del villaggio di Qusra.


Infine 15 famiglie di Beduini, per un totale di circa 110 persone, residenti nella comunità di Al Baqa’a (nei pressi della colonia di Ma’ale Mikhmas), sono state costrette a smontare le loro tende e a spostarsi in un'altra area a causa delle intimidazioni e delle violenze dei coloni israeliani, dopo che, nel corso dell’ultimo attacco, erano rimasti feriti tre bambini.


Salgono così a 257 gli attacchi compiuti dai coloni israeliani ai danni della popolazione palestinese dall’inizio del 2011, e il numero dei Palestinesi rimasti feriti nel corso degli attacchi è più che raddoppiato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.


Crescono dunque le violenze e le intimidazioni dei coloni israeliani, resi spavaldi dal fatto che i soldati dell’Idf – che in teoria dovrebbero proteggere i Palestinesi e impedire gli attacchi – in realtà difendono e spalleggiano questa teppaglia che continua a infestare la Cisgiordania in palese violazione del diritto internazionale.

Etichette: , ,

Condividi

28 luglio 2011

Quali motivi di “sicurezza” spingono Israele a negare ai malati il diritto di curarsi?

Lo scorso 25 luglio Ra’ed ‘Azzam Saleem al-Mghari, un Palestinese di 33 anni residente nella Striscia di Gaza, è morto perché le autorità israeliane hanno rifiutato di concedergli il permesso di recarsi in un centro medico in Cisgiordania per ricevere le cure di cui aveva disperato bisogno.


Al-Mghari viveva nel campo profughi di al-Bureij, nella zona centrale della Striscia di Gaza, e soffriva da 16 anni per una malattia cardiaca. Avrebbe dovuto recarsi all’Arab Center for the Treatment and Surgery of Heart and Blood Diseases di Nablus per sottoporsi ad un intervento chirurgico ad una delle valvole cardiache, ma il rifiuto da parte dell’Idf di concedergli il permesso gli ha tolto ogni possibilità di sopravvivenza.


Il padre della vittima, ‘Azzam Saleem al-Mghari, racconta:


Mio figlio soffriva di problemi ad una valvola cardiaca da 16 anni. Solitamente riceveva le cure mediche negli ospedali Nasser e Shifa, rispettivamente a Khan Yunis e a Gaza City. Cinque anni fa ha subito un intervento chirurgico a cuore aperto all’Arab Center for the Treatment and Surgery of Heart and Blood Diseases di Nablus, dove ha trascorso un mese per le visite di controllo e i trattamenti medici. L’11 giugno del 2010 i dottori hanno controllato le sue condizioni dopo che egli si era recato al Centro per effettuare alcuni esami medici. Essi hanno deciso che non sarebbe stato in grado in quel momento di sottoporsi ad un intervento chirurgico ad una delle valvole cardiache, e di conseguenza ha fatto ritorno a Gaza. Il 10 luglio 2011 lo abbiamo trasferito al reparto di terapia intensiva dello Shifa Hospital di Gaza City, a causa del deterioramento delle sue condizioni di salute, e lì ha trascorso due giorni per le cure mediche. Egli ha continuato ad andare in ospedale per ricevere le cure e a tornare a casa fino al 14 luglio, quando è caduto a terra a casa ed è stato riportato nuovamente in ospedale. Allora abbiamo iniziato ad occuparci delle procedure per trasferirlo urgentemente all’Arab Center di Nablus, ma il 19 luglio il Centro di Coordinamento Sanitario degli Affari Civili ci ha informato che il permesso per il suo accompagnatore (il suocero) era stato rifiutato. Abbiamo iniziato ad occuparci delle procedure per il trasferimento senza accompagnatore, ma il Comitato ci ha informato il 24 luglio che la controparte israeliana aveva respinto la sua domanda per motivi di sicurezza. Sono passato ad occuparmi di un permesso di trasferimento verso l’Egitto, ma la sua salute ha cominciato a peggiorare sempre più. Di conseguenza, lunedì 25 luglio, i medici hanno deciso di eseguire su di lui un intervento chirurgico d’urgenza. E’ entrato in sala operatoria ed è morto dopo cinque ore, mentre era sotto i ferri.


Con la morte di al-Mghari, salgono a tre i pazienti palestinesi della Striscia di Gaza morti quest’anno perché Israele ha negato loro il diritto di ricevere cure mediche in ospedali all’estero, ma sono centinaia i pazienti a Gaza le cui condizioni di salute vanno peggiorando e che avrebbero bisogno di cure urgenti che non possono ottenere nella Striscia.


I malati della Striscia di Gaza, infatti, spesso hanno necessità di appoggiarsi agli ospedali della Cisgiordania, inclusa Gerusalemme, e a quelli israeliani, e sono costretti a estenuanti e umilianti trattative per ottenere quello che rappresenta un diritto fondamentale dell’uomo, quello alla salute e a ricevere i migliori standard di cure mediche disponibili. Sovente, peraltro, questi sventurati sono oggetto di ricatto da parte dell’esercito israeliano, che non si tira certo indietro nella pratica odiosa ed immorale di richiedere soffiate e collaborazioni in cambio degli agognati permessi.


Che razza di problemi di “sicurezza” poteva creare un Palestinese come Ra’ed al-Mghari, un malato di cuore che, peraltro, non voleva recarsi nemmeno in Israele, ma solo andare in Cisgiordania per curarsi?


Nessuno, è chiaro. Si tratta soltanto dell’ennesimo, spietato e disgustoso episodio della punizione collettiva posta in essere da Israele contro la popolazione della Striscia di Gaza, un milione e mezzo di persone a cui Israele nega ogni diritto fondamentale, inclusi quelli alla vita e alla salute.


Alla faccia della Quarta Convenzione di Ginevra.

Etichette: , ,

Condividi

15 luglio 2011

Coloni israeliani attaccano il villaggio di 'Asira al-Qibliya


Naturalmente, come abbiamo visto nel video che precede, si può anche ridere dei coloni israeliani. E, tuttavia, costoro solitamente non sono pittoreschi e tutto sommato inoffensivi come il "colono-zombie" che abbiamo visto all'opera, anzi.

Nel video qui sopra, girato da un volontario di B'tselem, si può assistere ad alcune fasi dell'attacco scatenato il 3 luglio scorso contro il villaggio palestinese di 'Asira al-Qibliya da alcuni coloni provenienti dall'insediamento di Yitzhar.

Gli aggressori erano armati di bastoni e pezzi di tubo, alcuni di loro avevano il volto coperto e due avevano con sé armi da fuoco; nel corso del raid, hanno picchiato un Palestinese inerme e hanno distrutto una ventina di alberi di ulivo, che costituiscono la sola fonte di reddito per molti agricoltori palestinesi.

I soldati israeliani, giunti sul posto con alcune jeep, non hanno mosso un dito per impedire la violenza e i danneggiamenti, ma non appena gli abitanti del villaggio hanno cominciato a reagire lanciando pietre contro i coloni, allora sono prontamente intervenuti lanciando gas lacrimogeni per disperdere i Palestinesi.

Perchè, va precisato, questi invasati che si credono investiti di una missione biblica operano costantemente con la connivenza e sotto la protezione dell'esercito israeliano, da quei vili criminali che in realtà essi sono.

Non si tratta, naturalmente, di un incidente isolato. Un altro video di B'tselem mostra le immagini di alcuni coloni che, lo scorso 30 giugno, hanno dato fuoco ad alcuni campi coltivati nei dintorni dei villaggi di Burin e di Huwara, distruggendo almeno 400 alberi di ulivo.

Secondo l'ultimo rapporto dello United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), nel solo periodo compreso tra il 29 giugno e il 5 luglio i coloni israeliani hanno ferito dieci Palestinesi e hanno danneggiato o distrutto almeno 1.500 alberi di ulivo.

Fino al 5 luglio, l'OCHA ha registrato ben 226 incidenti provocati dai coloni che hanno determinato il ferimento o l'uccisione di Palestinesi o il danneggiamento delle loro proprietà, con un incremento del 57% rispetto allo stesso periodo del 2010; 178 sono stati i Palestinesi fino ad oggi colpiti da pietre, investiti o presi a fucilate (176 in tutto il 2010), tre i morti.

E si continua a far finta di non capire che la presenza dei coloni in Cisgiordania e la pace tra Israeliani e Palestinesi sono tra loro del tutto incompatibili.

Etichette: , , , ,

Condividi

Su YouTube, le eccezionali immagini di un colono-zombie!




Su YouTube da qualche giorno circola il raro filmato di uno dei cosiddetti "coloni-zombie", creature note per il loro vagare per le strade della Cisgiordania alla ricerca di Palestinesi o di attivisti per la pace da attaccare.

Fino ad oggi, i "coloni-zombie" erano considerati una sorta di leggenda urbana, figure create dalla fantasia popolare, al pari del mostro di Loch Ness o del Big Foot. Secondo molti testimoni, essi sarebbero dotati di un potente urlo stridulo ed avrebbero la tendenza a stancarsi facilmente, probabilmente a causa di una dieta sbagliata e della mancanza di esercizio fisico.

E in realtà la creatura del video qui sopra, filmata mentre attacca un attivista allo svincolo di Susiya, in Cisgiordania, sembra corrispondere perfettamente alla descrizione.

Etichette: , ,

Condividi

13 luglio 2011

La legge sul boicottaggio sovverte la democrazia israeliana

La notte dell’11 luglio, il plenum del Parlamento israeliano ha approvato in lettura finale la cd. “Legge sul Divieto di Boicottaggio”, con 47 voti a favore e 38 contrari.


La legge mira a reprimere ogni appello al boicottaggio economico, culturale o accademico dello Stato, delle sue istituzioni o di ogni area che si trovi sotto il suo controllo, con chiaro riferimento, in questo caso, al boicottaggio dei prodotti provenienti dalle colonie nei Territori palestinesi occupati. I trasgressori possono essere citati in giudizio anche da singoli cittadini e sono passibili di sanzioni pecuniarie; le aziende o le organizzazioni che appoggiano il boicottaggio potrebbero essere escluse inoltre dalla partecipazione a gare pubbliche per l’assegnazione di lavori, mentre le ong rischiano di perdere ogni beneficio fiscale previsto in loro favore.


Si tratta, di tutta evidenza, di una legge anti-democratica che limita fortemente il diritto alla libertà di espressione, una vergognosa espressione della volontà del Governo e del Parlamento israeliano di calpestare i principi fondamentali della democrazia pur di difendere l’occupazione e il regime di apartheid che la sostiene.


Paradossalmente, Hagai El-Ad, il direttore esecutivo dell’Associazione per i Diritti Civili in Israele (ACRI), ha fatto notare che, di recente, un gruppo di consumatori israeliani ha lanciato la prima campagna di boicottaggio coronata da successo, facendo scendere il prezzo della ricotta. “Perché dovrebbe essere consentito ai cittadini israeliani di boicottare la ricotta israeliana, come abbiamo sentito e visto nelle ultime settimane, ma dovrebbe essergli impedito di boicottare l’occupazione?”, ha sostenuto in una recente dichiarazione.


Persino il consulente legale della Knesset Eyal Yinon, nel presentare il suo parere, ha espresso aspre critiche sulla proposta di legge anti-boicottaggio, sostenendo che “l’ampia definizione di boicottaggio dello Stato di Israele costituisce una violazione del dogma centrale della libertà di espressione politica”, lamentando inoltre la contrarietà alle norme costituzionali della disposizione che permette ad ogni individuo di chiedere un indennizzo monetario che non dipende in alcun modo da un danno effettivamente causato.


Secondo Yinon, queste norme hanno lo scopo di “influenzare il dibattito politico sul futuro di Giudea e Samaria (cioè della Cisgiordania, n.d.r.), un dibattito che è stato al centro della discussione politica nello Stato di Israele per oltre 40 anni”.


Sul punto, non si può che condividere l’editoriale di Ha’aretz sull’argomento, pubblicato la mattina precedente all’approvazione della legge e rimasto purtroppo inascoltato. Israele infatti, temendo come la peste l’arma non violenta del boicottaggio e volendo nel contempo ridurre al silenzio ogni voce dissonante al suo interno, ancora una volta adotta provvedimenti liberticidi e si allontana dai principi fondamentali che dovrebbero caratterizzare uno stato civile e una democrazia.


La legge sul boicottaggio sovverte la democrazia israeliana


editoriale di Haaretz – 11.7.2011


E’ previsto per oggi che la Knesset approvi la lettura finale della Legge sul Divieto di Boicottaggio, che prevede severe sanzioni per chiunque promuova, direttamente o indirettamente, il boicottaggio di Israele. Tra l’altro, la legge prevede che ogni persona o organizzazione che invochi il boicottaggio di Israele, incluso il boicottaggio degli insediamenti colonici, venga ritenuta colpevole di un reato civile. Le organizzazioni che promuovono i boicottaggi non avrebbero diritto di ricevere donazioni deducibili dalle tasse o di ottenere finanziamenti da parte dello stato.


Questa legge spregevole viola palesemente le Leggi costituzionali israeliane. Essa è formulata in un linguaggio vago: definisce “un boicottaggio dello Stato di Israele” in modo molto esteso, mentre la definizione di causare un boicottaggio è fluida. Secondo la legge, sarebbe sufficiente che la richiesta di boicottaggio di Israele abbia “una ragionevole possibilità” di condurre ad un boicottaggio effettivo perché venga stabilito che il trasgressore (secondo l’Ordinanza sugli Illeciti Civili, nuova versione) ha commesso un reato civile. Il trasgressore verrebbe quindi privato di significativi benefici economici e dovrebbe anche pagare un elevato risarcimento a chi presumibilmente è stato danneggiato dal boicottaggio.


Questa vaghezza è intenzionale, finalizzata a nascondere l’obiettivo di stendere una vasta rete di protezione sulle colonie, i cui prodotti, le cui attività e in realtà la cui stessa esistenza – che tanto per cominciare è controversa – costituiscono il motivo principale delle iniziative di boicottaggio, sia nazionali che estere. I legislatori stanno quindi cercando di mettere a tacere una delle più legittime forme di protesta, e di limitare la libertà di espressione e di associazione di coloro i quali si oppongono all’occupazione e alla violenza dei coloni, e intendono protestare contro il viziato ordine di priorità del governo.


Gli sponsor della legge stanno anche creando una menzognera equivalenza tra lo Stato di Israele e la società israeliana nel suo complesso, da un lato, e le colonie dall’altro. In tal modo, essi stanno garantendo ai coloni una indiscriminata legittimazione.


Questo è un atto politicamente opportunistico e anti-democratico, l’ultimo in una serie di leggi oltraggiosamente discriminatorie ed esclusorie emanate lo scorso anno, che accelera il processo di trasformazione del codice delle leggi israeliane in un inquietante documento dittatoriale. Esso getta l’ombra intimidatoria del reato su ogni boicottaggio, petizione o persino commento su un giornale. Molto presto, ogni dibattito politico verrà messo a tacere.


I membri della Knesset che votano per questa legge devono comprendere che essi stanno sostenendo l’imbavagliamento della protesta come parte di uno sforzo in atto per liquidare la democrazia. Simili mosse possono essere rappresentate come mosse a difesa di Israele ma, in realtà, esse aggravano il suo isolamento internazionale.

Etichette: , , ,

Condividi

9 luglio 2011

Una crisi umanitaria a Gaza? No, peggio!

Come abbiamo già avuto modo di ricordare, buona parte dell’attività propagandistica israeliana è volta a negare che nella Striscia di Gaza esista un sia pur minimo problema di carattere umanitario, economico o sanitario. I tanti amici di Israele sparsi per il mondo sostengono che a Gaza, lungi dall’esservi la fame, si trovano beni e mercanzie di ogni sorta, e costoro non esitano letteralmente a inventarsi fantomatici rapporti e dichiarazioni dell’Onu e della Croce Rossa che, a loro dire, attesterebbero questa incontrovertibile “verità” dei fatti.


A sgombrare il campo da questa ripugnante propaganda, è da pochi giorni disponibile sul sito web dell’UNOCHA (United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs) il rapporto che segue, una paginetta che elenca i dati statistici e gli elementi fondamentali che caratterizzano l’attuale situazione nella Striscia di Gaza, delineando il quadro di una vero e proprio disastro umanitario.


La situazione umanitaria nella Striscia di Gaza – Luglio 2011


Gaza in breve


Gaza ha 1,6 milioni di abitanti, per oltre il 50% minori di 18 anni.


Il 38% degli abitanti di Gaza vive in condizioni di povertà.


Il 31% della forza lavoro di Gaza è priva di impiego e il 47% dei giovani sono disoccupati.


Il 54% degli abitanti di Gaza vive in condizioni di insicurezza alimentare e oltre il 75% dipende dagli aiuti.


La produzione economica nel 2010 è stata inferiore del 20% rispetto al 2005.


Il 35% dei terreni agricoli di Gaza e l’85% delle sue acque pescabili sono totalmente o parzialmente inaccessibili a causa delle misure militari israeliane.


Da 50 a 80 milioni di litri di liquami parzialmente trattati vengono riversati in mare ogni giorno.


Oltre il 90% dell’acqua proveniente dalla falda acquifera di Gaza non è potabile.


L’85% delle scuole di Gaza funzionano con doppi o tripli turni.


Dall’inizio del 2010, 59 persone sono rimaste uccise in incidenti nei tunnel, inclusi 5 bambini, e 115 persone sono rimaste ferite.


Il principale valico per il movimento dei Palestinesi da e per Gaza (il valico di Rafah al confine con l’Egitto) resta limitato al passaggio di 500 persone al giorno.


1. Il blocco di Gaza costituisce la negazione di diritti umani fondamentali, in violazione del diritto internazionale e corrisponde ad una punizione collettiva. Il blocco limita gravemente le importazioni e le esportazioni, al pari del movimento delle persone da e per Gaza, e dell’accesso ai terreni agricoli e alle acque pescabili. Gli abitanti di Gaza non sono in grado di provvedere alle loro famiglie e la qualità delle infrastrutture e dei servizi essenziali è peggiorata.


2. Le misure adottate per alleggerire il blocco nel giugno del 2010 hanno avuto limitati effetti reali. Anche se le importazioni sono aumentate, esse restano ancora solo al 45% dei livelli precedenti al 2007. Le esportazioni rimangono strettamente vincolate e sono limitate ai prodotti agricoli verso l’Europa, e gli operatori economici di Gaza non possono accedere ai loro tradizionali mercati in Israele e in Cisgiordania. L’accesso alla terra e al mare rimane estremamente limitato.


3. Anche se Israele ha approvato una serie di progetti infrastrutturali volti a migliorare a Gaza i servizi essenziali dello smaltimento dei liquami, dell’istruzione e dell’assistenza sanitaria, pochi di questi progetti sono stati realizzati. Ciò è principalmente dovuto al lento e farraginoso processo di approvazione e alle difficoltà nell’importazione dei materiali. Questo significa che gli abitanti di Gaza non hanno visto alcun effettivo miglioramento della qualità dei servizi essenziali.


4. Migliaia di persone, molti di loro bambini, rischiano la vita introducendo di nascosto ogni giorno merci attraverso i tunnel che passano al di sotto del confine con l’Egitto. La fiorente industria dei tunnel è un diretto risultato delle restrizioni in atto all’importazione di materiali edili, della mancanza di opportunità di impiego, e delle enormi necessità di ricostruzione esistenti a Gaza.


5. Gaza rimane isolata e tagliata fuori dal resto del territorio palestinese occupato. Gli spostamenti attraverso il valico israeliano di Erez sono vietati per la quasi totalità degli abitanti di Gaza, nonostante le promesse di alleggerire le restrizioni. Il valico egiziano di Rafah rimane limitato a 500 persone al giorno, con centinaia di Palestinesi a cui ogni settimana viene negato il passaggio.


A questi dati, scarni e drammatici, si potrebbe aggiungere quanto ricordato in tempi recenti da Richard Falk, il Relatore Speciale dell’Onu per i Territori palestinesi occupati, il quale – citando i dati forniti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità – denunciava che nella Striscia di Gaza, dei 480 farmaci contenuti nella lista delle medicine essenziali, 178 (il 37%) erano segnalati con livelli di stock pari a zero, e più di 190, pur presenti in magazzino, o erano scaduti oppure prossimi alla scadenza.


E, dunque, cos’altro significa vivere a Gaza se non condurre un’esistenza segnata dalla fame, dalle privazioni, dall’umiliazione di dover dipendere dagli aiuti umanitari per sopravvivere, dalla miseria, dalla mancanza di fogne, di scuole, di assistenza sanitaria, dall’impossibilità di porre rimedio alle immani distruzioni provocate dai raid israeliani di “Piombo Fuso”?


E come è possibile che gli Usa, l’Europa, il mondo “civile” consentano ad Israele di violare così palesemente e crudelmente il diritto internazionale e il diritto umanitario e, insieme, che i Palestinesi vivano in simili, disumane condizioni?


E allora, vi prego, diffondete più che potete questi dati e queste drammatiche e incontrovertibili verità, scrivete agli amici, ai giornali, ai parlamentari nazionali ed europei, a chiunque vogliate.


Non possiamo più tollerare che Israele condanni un intera popolazione ad una crudele e barbara morte civile (quando non fisica), non possiamo rassegnarci a questa notte del diritto, della moralità, della compassione, non possiamo lasciare soli i nostri fratelli di Gaza. Lo dobbiamo a loro e alla nostra coscienza.

Etichette: , , ,

Condividi

7 luglio 2011

Un Ponte per... a sostegno della Freedom Flotilla e della lotta per il riconoscimento dello Stato di Palestina



Dal sito web dell’associazione Un Ponte per…

Libertà per la Freedom Flotilla e riconoscimento dello Stato palestinese

Data: 07 07 2011

Campagna: Un ponte per Chatila

Un ponte per… sostiene la Freedom Flotilla e chiede alle autorità italiane di manifestare alla Grecia il proprio dissenso per aver attentato alla libertà di circolazione di uomini e merci destinata a portare solidarietà al popolo di Gaza.

Le navi della Freedom Flotilla, che intendevano portare la coscienza del mondo sulle coste di Gaza, sono state sequestrate in Grecia a norma di un articolo del codice di navigazione applicabile in caso di guerra o di emergenza interna. I capitani delle navi sono stati minacciati di arresto e di sequestro della licenza, nonché della nave, per anni. Mentre il capitano della nave americana è stato arrestato, tutti i 35 passeggeri della nave canadese hanno dovuto definirsi “capitani” per difendere il loro. Solo la nave francese è salpata verso Gaza, ma non ha potuto rifornirsi di carburante e i suoi 12 passeggeri, senza telecamere satellitari, non reggerebbero un attacco israeliano.

Un ponte per... chiede alle autorità italiane di manifestare alla Grecia il proprio dissenso, come hanno fatto i governi irlandese e francese (pur non condividendo quest'ultimo gli obiettivi della Freedom Flotilla) per questo attentato alla libertà di circolazione di uomini e merci. Dopo la Gaza Freedom March bloccata due anni fa dall'Egitto, la Flotilla viene oggi sequestrata dalla Grecia. Anche questa volta c'è un'offerta che sembra dettata da Israele: potete consegnare un carico di aiuti umanitari, ma non salpare con una flotta che chiede la liberazione della popolazione di Gaza. E' quindi ufficiale: l'assedio israeliano alla Striscia di Gaza è stato esteso all'intero Mediterraneo, Israele è in grado di obbligare i paesi circostanti a violare il diritto internazionale e bloccare pacifisti disarmati con misure sproporzionate.

Per questa scandalosa realtà, e per la facilità con cui la comunità internazionale la accetta, Un ponte per... chiede a chi è solidale con la popolazione palestinese di intensificare le azioni di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) su Israele. Solo un'azione diffusa, capillare, costante produce un impatto sul Governo israeliano e rende meno convenienti, dal punto di vista economico e politico, l'attuale occupazione e oppressione del popolo palestinese. La campagna BDS attacca infatti queste politiche, non la popolazione israeliana. Siamo un'organizzazione che lotta per il rispetto dei diritti umani, contro ogni forma di Apartheid, e siamo convinti che i diritti rivendicati tramite la campagna BDS (fine dell'occupazione, fine dell'Apartheid degli arabi israeliani, diritto al ritorno per i profughi) siano pienamente ottenibili solo con uno Stato Unico, che garantisca pari diritti ai cittadini di origine palestinese e israeliana.

E' altresì vero che al momento le istituzioni palestinesi che governano Cisgiordania e Gaza chiedono con forza alla comunità internazionale il riconoscimento dello Stato Palestinese, l'esca usata da Israele nel cosiddetto “processo di pace” ma impedito nei fatti dall'espansione delle colonie. E' importante che l'Unione Europea, come hanno già fatto più di 100 paesi, sostenga questa richiesta legittima che Abu Mazen porterà al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e poi all'Assemblea Generale. Non ci facciamo illusioni sulla posizione del governo italiano, grande alleato di Israele, ma chiediamo a tutti i partiti politici che credono nei diritti umani di schierarsi a favore del riconoscimento immediato dello Stato indipendente e sovrano di Palestina sui confini antecedenti il 4 giugno 1967, pur senza rinunciare al diritto al ritorno per i profughi. Ci associamo alla campagna internazionale che intende raccogliere un milione di firme da presentare al Parlamento Europeo, in soli due mesi, e invitiamo tutti a firmare l'appello su questo sito:

Etichette: , , ,

Condividi

Il grosso grasso matrimonio greco di Netanyahu

Era sembrato troppo bello che la Freedom Flotilla 2 – Stay Human fosse riuscita a mettere a segno un colpo, riuscendo a far partire alla chetichella una delle sue navi, la “Dignité”. Purtroppo anche la nave francese, a bordo della quale, tra gli altri, vi sono Olivier Besancenot, già candidato alle elezioni presidenziali in Francia, Nicole Kiil-Nielsen, europarlamentare dei Verdi, e Annick Coupé, sindacalista dell’Union Syndicale Solidaires, alla fine è stata fermata da una cannoniera della guardia costiera greca.


Gli Israeliani sembrano considerare la Freedom Flotilla una vera e propria minaccia esistenziale, e si sono inventati di tutto pur di cercare di fermare la sua partenza alla volta di Gaza.


Prima si è avuto un intenso e proficuo lavorio diplomatico, che ha portato i governi delle nazioni a cui appartengono i partecipanti a questa missione umanitaria, e persino l’Onu, a invitare incredibilmente i propri cittadini a non partire alla volta di Gaza, anziché pretendere da Israele che ne venisse garantita l’incolumità.


Poi si è scatenato il poderoso apparato propagandistico israeliano, di cui tutto si può dire salvo che manchi di fervida fantasia.


Così dapprima Israele ha cercato di propinare all’opinione pubblica l’abissale panzana secondo cui a Gaza, lungi dall’esservi una crisi umanitaria, si trovano ogni sorta di beni e mercanzie e si può vivere quasi da nababbi, poi ha diffuso un video truffaldino in cui un sedicente attivista (rivelatosi poi un esperto di pubbliche relazioni israeliano) sosteneva che gli attivisti imbarcati avessero solidi e strutturati rapporti con i “terroristi” di Hamas e, infine, ha reso noto che gli attivisti della Flotilla erano intenzionati a “spargere il sangue” dei soldati dell’Idf e che a bordo delle navi vi erano sostanze chimiche e incendiarie con cui attaccarli.


Visto che, tuttavia, le trovate propagandistiche non sembravano sortire alcun risultato, Israele si è “rassegnato” a chiedere alla Grecia, puramente e semplicemente, di non far salpare le navi della Flottiglia alla volta della Striscia di Gaza.


Resta allora da capire perché i Greci si siano piegati alle richieste (o al ricatto?) di Israele, facendo la figura di uno stato vassallo e mero esecutore degli ordini israeliani, bloccando le navi della Flottiglia con un provvedimento palesemente immotivato ed illegale.


La risposta è molto semplice: Israele sta mettendo all’incasso la cambiale del suo intervento in favore della Grecia presso l’Unione europea, approfittando dello stato di gravissima crisi finanziaria che il Paese attraversa. Di questo tratta l’articolo che segue, scritto per Ha’aretz dal giornalista israeliano Barak Ravid e qui proposto nella traduzione di Medarabnews.


Netanyahu’s big fat Greek Wedding


Netanyahu ha investito nel suo rapporto con la Grecia nel corso dell’ultimo anno e mezzo, e la sua scommessa alla fine ha pagato visto che la Grecia blocca la partenza dai suoi porti della Flotilla per Gaza.


di Barak Ravid – 1.7.2011


Il primo ministro Benjamin Netanyahu a volte sembra quasi troppo arrogante, e più sicuro di sé di quanto non gli giovi. Tuttavia, contrariamente al solito, questo finesettimana egli in realtà aveva una giustificazione per la sua superbia.


L’investimento personale di Netanyahu nel suo rapporto con il primo ministro greco George Papandreou nell’ultimo anno e mezzo, attraverso il quale ha intensificato le relazioni diplomatiche con questa nazione europea in grave crisi, sembra aver dato il colpo di grazia alla flottiglia di Gaza.


Nel suo discorso di giovedì sera, in occasione della cerimonia di consegna dei diplomi alla Scuola di Volo dell’Aeronautica israeliana, Netanyahu ha discusso gli sforzi diplomatici in atto per impedire alla flottiglia di Gaza di salpare. L’unico leader che Netanyahu ha citato per nome nel suo discorso è stato il greco George Papandreou.


Solo un giorno prima, il primo ministro israeliano aveva parlato con il suo omologo greco, implorandolo di dare un ordine che impedisse alle navi di salpare dalla Grecia verso la Striscia di Gaza. A differenza del passato, Papandreou ha risposto positivamente, e un alto funzionario israeliano coinvolto nei colloqui tra il primo ministro greco e Netanyahu ha dichiarato che Israele sapeva già dal pomeriggio di giovedì che la Grecia stava progettando di bloccare le navi dirette dai suoi porti verso la Striscia.


La storia d’amore tra Netanyahu e Papandreou ebbe inizio nel febbraio del 2010, quando i due si incontrarono casualmente al ristorante “Puskin” di Mosca. Netanyahu approfittò del loro incontro per parlare con il primo ministro greco dell’estremismo turco contro Israele, e i due divennero ben presto amici.


Il leader israeliano e quello greco si sono parlati almeno una volta alla settimana da quando si sono incontrati a Mosca.


La flottiglia turca diretta a Gaza nel maggio del 2010 suscitò gravi preoccupazioni tra i ranghi dell’intelligence e dell’esercito in Grecia, i quali iniziarono a esercitare pressioni sul governo affinché rafforzasse i legami diplomatici con Israele. Papandreou non aveva bisogno di molto per farsi convincere.


Nel luglio del 2010 egli giunse a Gerusalemme, in quella che fu la prima visita ufficiale di un primo ministro greco in Israele in 30 anni. Poche settimane dopo, Netanyahu si recò ad Atene, e trascorse un’intera giornata con Papandreou e altri funzionari su un’isola vicina.


I diplomatici israeliani possono attestare che lo sbocciare dell’amicizia tra i due paesi nel corso del passato anno e mezzo è stato a dir poco spettacolare. Lo scambio di informazioni di intelligence è aumentato, l’aeronautica militare israeliana ha condotto una serie di esercitazioni congiunte con l’aeronautica greca, e Netanyahu ha chiesto l’assistenza di Papandreou per trasmettere diversi messaggi al presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas.


Molti dei colloqui tra Netanyahu e Papandreou nei mesi scorsi hanno ruotato attorno alla grave crisi finanziaria di cui la Grecia sta attualmente soffrendo. Netanyahu ha recentemente deciso di venire in aiuto del suo nuovo amico in una riunione dei ministri degli esteri e dei leader europei, chiedendo loro di fornire aiuti finanziari alla Grecia.


“Netanyahu è diventato il lobbista della Grecia presso l’Unione Europea”, ha affermato un diplomatico israeliano.


Nelle ultime settimane, mentre gli sforzi per fermare l’imminente spedizione della flottiglia filo-palestinese a Gaza giungevano a un punto critico, Netanyahu ha colto i benefici del suo investimento nei rapporti greco-israeliani, e la sua scommessa su questo paese europeo si è rivelata vincente.


Egli è stato in grado di creare una valida alternativa alle relazioni con la Turchia, sotto vari aspetti, mostrando a Erdogan che Israele non esiterà a stringere un rapporto molto stretto con il suo più grande nemico in Occidente.


E quando è giunto il momento della verità, la Grecia ha dato seguito alle promesse ordinando che a tutte le navi in partenza verso Gaza venisse impedito di lasciare i suoi porti. La decisione della Grecia, insieme con l’annuncio dell’organizzazione umanitaria turca IHH che la Mavi Marmara non sarebbe partita, e con il comunicato del presidente di Cipro che vietava alle navi di dirigersi a Gaza, ha segnato quasi del tutto il destino della flottiglia.


“Gli organizzatori della flottiglia non hanno tenuto conto del fatto che la Grecia del luglio 2011 non è la Grecia del maggio 2010″, ha affermato un alto funzionario israeliano che ha lavorato intensamente negli ultimi mesi per evitare che la missione della flottiglia di Gaza avesse luogo.


“Oggi c’è un Grecia diversa, per quanto riguarda Israele”, ha aggiunto. “Gli organizzatori della flottiglia non lo hanno capito, e ora ne stanno pagando il prezzo”.


Barak Ravid è un giornalista israeliano; è corrispondente diplomatico del quotidiano Haaretz; in precedenza ha lavorato per il quotidiano Maariv


(Traduzione di Roberto Iannuzzi)

Etichette: , , , ,

Condividi

A " Il coraggio di dirlo" (Rai3) del 5 luglio, il coraggio e la passione di Vittorio Arrigoni nelle parole della madre

Condividi

4 luglio 2011

Elenco manifestazioni contro "l'arresto" della Freedom Flotilla da parte del governo greco

Dal sito ufficiale della Stefano Chiarini, la nave italiana che fa parte della Freedom Flotilla 2 - Stay Human.

Il Mediterraneo non è proprietà di Israele
Freedom Flotilla Italia – Comunicato stampa 1 luglio 2011

La nave Statunitense “Audacity of Hope” ha deciso di tenere fede al proprio nome ed è salpata, per essere bloccata dopo un quarto d’ora di navigazione dalle autorità portuali greche che hanno intimato agli attivisti di tornare in porto ad Atene minacciando l’equipaggio ed i passeggeri con le armi. Stesso tentativo e stesso esito per la nave canadese Taharir.

Intanto una nota del Ministero per la sicurezza interna greco mostra tutta la subalternità del governo di Papandreou alle politiche israeliane, dichiarando che la Grecia vieta alle barche della Freedom Flotilla 2 di salpare per Gaza. Nel mare greco, in queste ore, si sta giocando un vero e proprio braccio di ferro tra i sostenitori del diritto internazionale e quelli del diritto di Israele, diritti che come è dimostrato sin dalla nascita dello Stato di Israele non fanno che confliggere.

Come ignora Gianni Letta che risponde alla sollecitazione della Freedom Flotilla Italia con un comunicato dove dice che non è in grado di garantire la sicurezza degli italiani diretti a Gaza “…trattandosi di iniziative in violazione della vigente normativa israeliana”.

“Non immaginavamo che tutto il Mediterraneo fosse proprietà di Israele” hanno commentato dalla FF2 gli attivisti internazionali determinati a portare a termine la missione, non solo umanitaria, ma soprattutto politica di fare approdare le navi a Gaza. L’obiettivo è quello di rompere un assedio che si protrae da troppo tempo ai danni di una popolazione che subisce una punizione collettiva, laddove sono proprio il diritto internazionale, le convenzioni e i trattati, nati per salvaguardare le popolazioni oppresse, ad affermare che tutto questo oltre a essere inumano, è fuorilegge.

MOBILITIAMOCI PER FARE PRESSIONE SUL GOVERNO GRECO

Freedom Flotilla Italia indice un presidio davanti all’Ambasciata greca in Via Mercadante a Roma lunedì 4 luglio alle 17,00 e invita alla mobilitazione in tutta Italia

Invitiamo tutte e tutti a scrivere all’ambasciata di Grecia in Italia, all’indirizzo gremroma@tin.it, a telefonare al n. 06-8537551 e ad inviare fax al n. 06-8415927.
Per adesioni: roma@freedomflotilla.it
Contatti: 333/5601759 – 338/1521278

Elenco manifestazioni per fare pressione sul governo greco

BOLOGNA 4 LUGLIO SIT - IN ORE 17,30 DAVANTI AL CONSOLATO GRECO IN VIA INDIPENDENZA 67

MILANO 4 LUGLIO ore 17:30 PRESIDIO davanti al consolato greco in Viale Beatrice d’Este, 1 che dà il via all'assedio permanente del consolato, che durerà fino a quando il governo greco non consentirà la partenza di tutte le navi della coalizione.

NAPOLI 4 LUGLIO ore 18 PRESIDIO in piazza del Gesù in sostegno della FF2

FIRENZE 4 LUGLIO PRESIDIO ore 17:00 davanti al Consolato di Grecia, in via Cavour 38.

PALERMO 4 LUGLIO PRESIDIO ore 17:00 - 20:30 PIAZZA GIUSEPPE VERDI

PARMA 4 LUGLIO PRESIDIO ore 18:00 - 21:00 Piazza GARIBALDI

BARI 4 LUGLIO PRESIDIO h 19 davanti al consolato greco in Via Giovanni Amendola, 172

TORINO 5 LUGLIO ore 18 presidio davanti alla prefettura in piazza Castello a Torino contro il governo italiano complice del blocco della Fredom Flotilla 2. Il governo greco, ricattabile e ricattato, ha obbedito agli ordini di Israele, UE, USA e ONU.ISM-Italia

BRINDISI 5 LUGLIO alle ore 18.00, Consolato Greco, Via Giovanni Tarantini 52 (nei pressi di piazza santa Teresa) PRESIDIO IN SOSTEGNO DELLA FREEDOM FLOTILLA

Etichette: , , ,

Condividi