28 gennaio 2009

Quei terroristi di Tijuana.


Uno dei leit-motiv della propaganda sionista per giustificare gli atroci crimini commessi da Israele nella Striscia di Gaza – ossessivamente ripetuto sui media, sui blog e in ogni luogo di pubblica discussione – suona più o meno così: “Nessuno Stato potrebbe accettare che i propri cittadini vengano messi in pericolo e uccisi dal lancio di missili contro il proprio territorio. Cosa avreste fatto voi, al posto di Israele?”.

Lasciamo da parte qui ogni discussione sulla pericolosità di armi temibili come i Qassam, razzi artigianali a base di fertilizzante che, dal 2000 a oggi, hanno fatto all’incirca una decina di vittime.

Quello che qui interessa evidenziare è il carattere ingannevole e mistificante del paragone utilizzato da Israele e dai suoi sostenitori (sempre meno…) all over the world.

E’ questo l’argomento dell’articolo che segue, pubblicato il 14 gennaio dal professor Randall Kuhn sul The Washington Times e qui proposto nella traduzione offerta dal sito Arabnews.

Se mi posso permettere, un bellissimo articolo. Che dovremmo utilmente inviare a ciascuno dei nostri rappresentanti in Parlamento e al caro ministro Frattini.

QUANDO ISRAELE ESPULSE I PALESTINESI
14.1.2009

A seguito dell’invasione israeliana di Gaza, il ministro della difesa Ehud Barak fece questa analogia: “Pensate a ciò che accadrebbe se per sette anni fossero stati lanciati razzi da Tijuana, in Messico, contro San Diego, in California”.

In poche ore, decine di esperti e politici americani avevano ripetuto il paragone di Barak quasi alla lettera. Su questo stesso giornale, il 9 gennaio, Steny Hoyer, leader della maggioranza alla Camera dei Rappresentanti, ed Eric Cantor, capogruppo della minoranza, avevano concluso un articolo di opinione affermando che “l’America non rimarrebbe certamente oziosa, se dei terroristi lanciassero missili oltre il nostro confine in direzione del Texas o del Montana”. Ma vediamo se la nostra classe politica ed i nostri esperti riusciranno a ripetere a pappagallo anche la seguente analogia.

Pensate a cosa accadrebbe se San Diego espellesse gran parte della sua popolazione ispanica, afroamericana, asiatico-americana, e nativa americana, circa il 48% del totale, e la trasferisse con la forza a Tijuana. Non solo gli immigrati, ma anche coloro che vivono in questo paese da molte generazioni. Non solo i disoccupati, i criminali, o coloro che odiano l’America, ma anche professori di scuola, proprietari di piccole imprese, soldati, e perfino i giocatori di baseball.

E cosa accadrebbe se creassimo degli enti governativi basati sulla fede religiosa per contribuire a trasferire dei bianchi nelle case di coloro che abbiamo cacciato? E se radessimo al suolo centinaia delle loro case nelle aree rurali e, con l’aiuto di donazioni caritatevoli provenienti da persone negli Stati Uniti e all’estero, piantassimo foreste là dove in precedenza sorgevano i loro villaggi, creando riserve naturali per il piacere dei bianchi? Sembra abbastanza orribile, non è vero? Potrei essere definito antisemita per il fatto di dire queste verità. Ebbene, io sono ebreo, e lo scenario appena descritto è ciò che molti importanti studiosi israeliani dicono che è realmente accaduto quando Israele espulse i palestinesi dal sud del futuro stato ebraico, spingendoli a forza dentro Gaza. Ma questa analogia è appena all’inizio.

Cosa accadrebbe se le Nazioni Unite tenessero le minoranze scacciate da San Diego in affollati e malsani campi profughi per 19 anni? E se poi gli Stati Uniti invadessero il Messico, occupassero Tijuana e cominciassero a costruire vasti complessi edilizi a Tijuana, nei quali potrebbero vivere solo i bianchi?

E cosa accadrebbe se gli Stati Uniti costruissero una rete di superstrade per collegare i cittadini americani di Tijuana agli Stati Uniti? E se costruissero dei posti di blocco, non solo fra il Messico e gli Stati Uniti, ma anche attorno ad ogni quartiere di Tijuana? Cosa accadrebbe se chiedessimo ad ogni residente di Tijuana, profugo o nativo, di mostrare una carta di identità ai militari americani a discrezione di questi ultimi? Cosa accadrebbe se migliaia di residenti di Tijuana perdessero le loro case, il loro posto di lavoro, i loro affari, i loro figli, la loro dignità a causa di questa occupazione? Sareste sorpresi di venire a sapere dell’esistenza di un movimento di protesta a Tijuana, che a volte diventa violento e carico d’odio? Okay, ora andiamo alla parte incredibile.

Pensate a cosa accadrebbe se, dopo aver espulso tutte le minoranze da San Diego a Tijuana, e dopo averle assoggettate a 40 anni di brutale occupazione militare, semplicemente lasciassimo Tijuana, rimuovendo tutti i coloni bianchi e tutti i soldati; ma, invece di dar loro la libertà, costruissimo un muro elettrificato alto sei metri intorno a Tijuana. Non soltanto sui lati che confinano con San Diego, ma anche attorno a tutti i valichi con il Messico. Cosa accadrebbe se costruissimo delle torri di guardia alte 15 metri, dotate di mitragliatrici, e dicessimo loro che spareremo loro a vista se dovessero avvicinarsi a meno di 100 metri da questo muro? E se quattro giorni su cinque tenessimo chiuso ciascuno di questi valichi di confine, impedendo che arrivino perfino il cibo, i vestiti e le medicine? E se pattugliassimo il loro spazio aereo con i nostri modernissimi caccia, e non permettessimo loro neanche di avere un aereo per spruzzare dall’alto i pesticidi? E se controllassimo le loro acque territoriali con sottomarini e cacciatorpediniere, e non permettessimo loro neanche di pescare?

Sareste del tutto sorpresi di venire a sapere che questi gruppi di resistenza a Tijuana, anche dopo essere stati “liberati” dalla loro occupazione, ma lasciati mezzo morti di fame, continuano a lanciare razzi contro gli Stati Uniti? Probabilmente no. Ma potreste rimanere sorpresi venendo a sapere che la maggioranza della popolazione a Tijuana non ha mai preso in mano un razzo, o un’arma di nessun tipo.

La maggioranza ha invece appoggiato, contro ogni speranza, dei negoziati per una soluzione pacifica che garantirebbe sicurezza, libertà, ed uguali diritti ad entrambi i popoli, in due stati indipendenti che vivrebbero fianco a fianco come vicini. Questa è un’analogia accurata dell’aggressione militare israeliana a Gaza di questi giorni. Forse, molto presto, il buon senso prevarrà, e nessun “corpus” di analogie fuorvianti su Tijuana, o su qualcos’altro, sarà in grado di oscurare la verità. Se quel momento arriverà, può darsi che, in un paese la cui popolazione ha gridato “We Shall Overcome” (canzone simbolo del movimento per i diritti civili negli Stati Uniti (N.d.T.) ), “Ich bin ein Berliner”, “fermiamo l’apartheid”, “Tibet libero”, “salviamo il Darfur”, ci uniremo e grideremo “Gaza libera. Palestina libera”. E siccome siamo americani, il mondo prenderà nota ed i palestinesi saranno liberi, e forse la pace prevarrà per tutti i residenti della Terra Santa.

Randall Kuhn è direttore del Global Health Affairs Program presso la Josef Korbel School of International Studies dell’Università di Denver; ha scritto questo articolo il 14/01/2009, di ritorno da un viaggio in Israele ed in Cisgiordania

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A che serve la Giornata della Memoria se permettiamo tutto questo?

Si sono svolte ieri le celebrazioni ufficiali della Giornata della Memoria, si è ricordata la Shoah ed il copione è stato sempre lo stesso: discorsi intrisi di retorica, la rievocazione e le testimonianze dei sopravvissuti, temi e ricerche degli studenti sull'Olocausto,e la persecuzione degli Ebrei, la necessità di ricordare; due studenti per scuola vinceranno, come premio per le loro ricerche, un viaggio ad Auschwitz.

Tutto giusto, come è ovvio e indiscutibile, non bisogna dimenticare una delle pagine più nere nella storia dell'umanità.

Ma questa ricorrenza e queste celebrazioni suonano quanto mai stonate a così breve distanza dal massacro di Gaza, in cui uno degli eserciti più potenti al mondo ha fatto a pezzi la popolazione civile inerme e indifesa, uccidendo oltre 1.300 Palestinesi e ferendone circa 5.300.

Tra i morti, 522 erano donne e bambini, così come lo sono 2.650 dei cittadini di Gaza feriti; molti destinati a rimanere invalidi, mutilati, segnati da orrende bruciature.

L'esercito israeliano - il più "morale" al mondo (ma quale altro esercito al mondo pretende persino di essere "morale"?) - si è macchiato di atrocità e di crimini di ogni sorta, sparando all'impazzata e senza alcuna cautela, usando armamenti proibiti, colpendo edifici civili o strutture internazionali di cui conoscevano financo le coordinate gps. Ed in cui dei poveri esseri umani terrorizzati e sgomenti credevano di aver trovato un rifugio, mentre erano solo andati incontro ad una morte orribile.

E che senso ha, oggi, ora, una Giornata della Memoria celebrata da chi - come ha fatto la comunità ebraica italiana (con rarissime eccezioni) - si è compattamente schierato a negare ogni crimine e a giustificare, se non addirittura esaltare, i crimini bestali di un esercito che si limita solo, per carità, a difendere la sicurezza di Israele. Minacciata, come è noto, da donne e bambini.

E allora, dai, per fortuna è finita!

Perchè non riesco più a tollerare l'ipocrisia di chi ci impone di ricordare ma, nel contempo, consente tranquillamente e con candida coscienza che oggi si commettano crimini bestiali e feroci che anche 65 anni fa non avrebbero certamente sfigurato.

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22 gennaio 2009

Lettera aperta di Gideon Levy ad Abraham Yehoshua.

A proposito di ipocrisia e di finti “pacifisti” israeliani, non possiamo non inserire nell’elenco il “trio delle meraviglie”, ovverosia gli scrittori israeliani Grossman, Oz e Yehoshua, sempre in giro per il mondo a propagandare l’immagine di uno stato e di un popolo ebraico forte ma giusto, compassionevole e desideroso di pace.

Costoro, e in particolare Yehoshua, hanno però sempre apertamente appoggiato ogni campagna militare israeliana e ciascuno dei più brutali crimini contro l’umanità di cui si è macchiato Israele nella sua storia, ivi inclusi i massacri di civili in Libano e, ora, l’assassinio in massa di Palestinesi inermi, donne e bambini compresi, nella Striscia di Gaza.

Illuminante è, a tal proposito, la risposta pubblica del giornalista di Ha’aretz Gideon Levy ad una
lettera aperta che lo scrittore israeliano gli aveva indirizzato dalle colonne dello stesso giornale, e che qui propongo nella traduzione di Davide Galati tratta dal suo prezioso blog “Le coordinate Galat(t)iche”.

Gideon Levy: Una risposta aperta a A.B.Yehoshua
18.1.2009

Caro Bullo (Levy in vari precedenti articoli ha paragonato Israele al bulletto gradasso del quartiere, paragone qui esteso evidentemente anche a chi apertamente giustifica il massacro di civili nella Striscia di Gaza, n.d.r.),

grazie per la tua lettera franca e per le gentili parole. Scrivi che ti sei mosso da una "posizione di rispetto", e anch'io rispetto profondamente i tuoi meravigliosi lavori letterari. Ma, disgraziatamente, provo molto meno rispetto per la tua attuale posizione politica. E' come se i grandi, compreso tu, abbiano dovuto soccombere ad una terribile conflagrazione che ha consumato ogni traccia di ossatura morale.

Anche tu, autore stimato, sei caduto preda della sciagurata onda che ci ha invaso, intorpidito, accecato e ci ha lavato il cervello. Oggi ti trovi a giustificare la guerra più brutale che Israele abbia mai combattuto, e nel farlo sei compiacente con l'imbroglio che l'"occupazione di Gaza è finita" e giustifichi le uccisioni di massa evocando l'alibi che Hamas "mescola deliberatamente i suoi combattenti alla popolazione civile". Stai giudicando un popolo indifeso a cui è negato un governo ed un esercito – includendo un movimento fondamentalista che utilizza mezzi inadatti per combattere per una giusta causa, cioè la fine dell'occupazione – allo stesso modo in cui giudichi una potenza regionale, che si considera umanitaria e democratica ma che si è dimostrata essere un conquistatore crudele e brutale. Come israeliano, non posso ammonire i loro leader mentre le nostre mani sono coperte di sangue, né voglio giudicare Israele e i palestinesi come hai fatto tu.

I residenti a Gaza non hanno mai avuto il possesso della "loro stessa porzione di terra", come tu hai affermato. Abbiamo lasciato Gaza per soddisfare i nostri interessi e bisogni, e poi li abbiamo imprigionati. Abbiamo escluso il territorio dal resto del mondo e occupato la Cisgiordania, e non abbiamo permesso loro di costruire un aeroporto o un porto navale. Controlliamo il loro registro civile e la loro moneta – e disporre di un proprio esercito è fuori questione – e tu sostieni che l'occupazione è finita? Abbiamo annientato i loro mezzi di sostentamento, li abbiamo assediati per due anni, e tu affermi che loro "hanno respinto l'occupazione israeliana"? L'occupazione di Gaza ha semplicemente assunto una nuova forma: un recinto al posto delle colonie. I carcerieri fanno la guardia dall'esterno invece che all'interno.

E no, io non so "molto bene", come hai scritto, che non intendiamo uccidere i bambini. Quando vengono impiegati carri armati, artiglieria e aerei in un'area così densamente popolata è impossibile evitare di uccidere dei bambini. Capisco che la propaganda israeliana ha lavato la tua coscienza, ma non la mia né quella della maggior parte del pianeta. I risultati, non le intenzioni, sono quelle che contano – e i risultati sono stati orrendi. "Se tu fossi realmente preoccupato per la morte dei nostri e dei loro bambini" hai scritto, "capiresti l'attuale guerra". Persino nel peggiore dei tuoi passi letterari, e ce ne sono stati pochi, non avresti potuto tirare fuori un'argomentazione morale più disonesta: che all'uccisione criminale di bambini non corrisponda una vera preoccupazione per il loro destino. "Eccoci ancora una volta, a scrivere di bambini", ti devi essere detto questo weekend quando io ho scritto ancora sui bambini uccisi. Si, bisogna scriverne. Bisogna gridarlo. Va fatto per il bene di entrambi.

A tuo parere la guerra è "il solo modo per indurre Hamas a capire". Anche volendo ignorare il tono accondiscendente della tua osservazione, mi sarei aspettato di più da uno scrittore. Mi sarei aspettato che uno scrittore conosciuto fosse familiare con la storia delle insurrezioni nazionali: non possono essere schiacciate con la forza. Nonostante tutta la forza distruttiva che abbiamo messo in atto in questa guerra, non capisco ancora come possano venirne influenzati i palestinesi; i Qassam vengono ancora lanciati su Israele. Loro e il mondo hanno chiaramente tratto un'altra lezione nelle ultime settimane: che Israele è un paese violento, pericoloso e privo di scrupoli. Desideri vivere in un paese che possiede una simile reputazione? Una nazione che annuncia orgogliosamente di essere "pazza", come alcuni ministri israeliani hanno detto con riferimento alle operazioni militari a Gaza? Io no.

Hai scritto che ti sei sempre preoccupato per me a causa dei miei viaggi in "luoghi così ostili". Quei luoghi sono meno ostili di quanto pensi, se ci vai armato di nulla tranne che del desiderio di ascoltare. Non ci sono andato per "raccontare la storia delle afflizioni degli altri", ma per rendere note le nostre stesse azioni. Questo è sempre stato l'autentico punto di partenza israeliano del mio lavoro.

Infine, mi chiedi di conservare la mia "autorità morale". Non è la mia immagine che desidero proteggere ma quella della nazione, che è ugualmente cara ad entrambi noi.

In amicizia, nonostante tutto.

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Noa, ovvero l'ipocrisia di certi "pacifisti" israeliani.


La petizione che segue è volta a impedire la partecipazione della cantante israeliana Noa ad un evento benefico in favore di Gaza che avrà luogo domani a Tel Aviv.

In una recente lettera rivolta ai Palestinesi di Gaza, Noa aveva scritto “Io so che nel profondo del vostro cuore DESIDERATE (il maiuscolo è nel testo, n.d.t.) la morte di questa bestia chiamata Hamas che vi ha terrorizzato e massacrato, che ha trasformato Gaza in un cumulo di spazzatura fatto di povertà, malattia e miseria”.

Aggiungendo poi: “Posso soltanto augurarvi che Israele faccia il lavoro che tutti noi sappiamo deve esser fatto, e VI LIBERI definitivamente da questo cancro, questo virus, questo mostro chiamato fanatismo, oggi chiamato Hamas. E che questi assassini scoprano quanta poca compassione possa esistere nei loro cuori e CESSINO di usare voi e i vostri bambini come scudi umani per la loro vigliaccheria e i loro crimini”.

Con l’operazione “Piombo Fuso” Israele non è riuscita nell’intento di liberare i Palestinesi di Gaza dal “cancro” di Hamas; in compenso, li ha “liberati” dal fardello di oltre 1.300 dei loro fratelli massacrati da Tsahal, tra i quali 104 donne e 410 bambini. Questo, senza contare i circa 5.300 feriti (795 donne e 1.855 bambini) provocati dai crimini israeliani e gli oltre 22.000 edifici pubblici e privati totalmente o parzialmente distrutti (si tratta del 14% di tutte le costruzioni presenti nella Striscia!).

Dunque, secondo Noa, la responsabilità di aver trasformato Gaza in un cumulo di spazzatura in cui regnano fame, miseria e disperazione ricade su Hamas, e non sul progressivo blocco dei valichi attuato progressivamente da Israele, anche in costanza di tregua, che ha impedito l’afflusso nella Striscia di energia elettrica, carburanti, beni di consumo, attrezzature, pezzi di ricambio e persino dei beni umanitari.

Secondo Noa, così come per la più becera propaganda sionista, la colpa di tanto morti e feriti, la responsabilità per questi poveri bambini mutilati ed uccisi risiede nel loro utilizzo come “scudi umani”, e non nei reiterati crimini di guerra e crimini contro l’umanità di cui Israele, in questi giorni, viene da più parti accusato, non nella violazione dei principi basilari del diritto umanitario, non negli armamenti proibiti adoperati dalle truppe israeliane quali i proiettili all’uranio impoverito o le granate al fosforo bianco, di cui ora anche Israele ufficialmente ammette alcuni casi di utilizzo.

Nessuna condanna o biasimo, da parte di Noa, per i propri governanti e per i generali dell’esercito che provvede alla sua “difesa”, nessun accenno al fatto che le prime violazioni della tregua sono state poste in essere da Israele, con i raid aerei a partire dai primi giorni di novembre, nessun rilievo al terrificante rapporto tra perdite dell’Idf e uccisioni di civili palestinesi non combattenti, passato da 1:6 nella prima Intifada a 1:48 nell’operazione “Piombo Fuso” (si tratta, in realtà, di una cifra ben al di sotto di quella reale, in quanto basata su dati aggiornati al 15 gennaio; sul punto, cfr. Why did the killing ratio increase? Di Yagil Levy, Ha’aretz, 18.1.2009).

Siamo stanchi e nauseati da questi finti “pacifisti” israeliani, come Noa ma anche come Yehoshua, che dispensano frasi gentili e intrise di compassione ma che, alla tirata delle somme, sono sempre pronti a giustificare i più orrendi crimini e le più feroci operazioni militari dell’esercito israeliano, ivi inclusi i massacri di civili in Libano e, ora, nella Striscia di Gaza.

Magari spacciandole addirittura come un “bene” per il popolo palestinese!

Come ricordato nella petizione, “i veri fanatici qui attorno, Noa, sono le persone che pensano di avere il diritto di infliggere così tanto male, danno e sofferenza ad un popolo assediato, bersagliato e privato dei propri diritti”.

Inviate la vostra adesione all'indirizzo e-mail riportato qui sotto, se volete, ma soprattutto ricordatevi, quando Noa tornerà in Italia (e capita così spesso…), del suo finto pacifismo e della sua ipocrita compassione, e se magari capiterà che venga invitata ad un qualche evento benefico, invitatela cortesemente ad andare ... dove merita!

BAN Achinoam Nini (Noa) from participating at Gaza Charity Event!
Call to Kill the Parents and Volunteer to Sing for the Children

We, the undersigned, demand that Achinoam Nini be barred from participating in the Gaza charity event scheduled for Friday, January 23, 2009 at "Levontin 7" in Tel Aviv

In an open letter to the Palestinian people, Israeli singer Ahinoam Nini wrote:
"I can only wish for you that Israel will do the job we all know needs to be done, and finally RID YOU of this cancer, this virus, this monster called fanaticism, today, called Hamas."

Hebrew
www.ynet.co.il/articles/0,7340,L-3651625,00.html

English
www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3651784,00.html

Today, after her wish has been fulfilled, and the Israeli army "GOT RID" of over 1300 Palestinians, over 400 of them children, over 100 of them women, and injured more than 5000, Ahinoam Nini wants to share the stage at a charity performance for the sake of Gaza's children?

There is no limit to your hypocrisy, Noa. You supported the war which orphaned these children, and now you want to play "Mama Theresa" and help them out? How cynical can you be? Thousands of children were crippled physically and emotionally for the rest of their lives in a war that not only did you not protest, you vocally justified. Maybe you can increase your popularity and try to wash your bloody hands by making headlines on the backs of these children, but you will not be able to clear your dirty conscience.

Not unless you recognize that an occupier has no moral right to tell an occupied people what to do, including what leadership it can or cannot democratically elect. Not before you recognize that the real "virus" or "cancer," to use your ill-willed words, the "monster" is the ongoing occupation and the oppression that comes with it. anything it spawns, is its own doing. The real fanatics around here, Noa, are the people who think that they have the right to inflict so much harm and damage and pain to a besieged and beleaguered and disenfranchised people.

send adhesions to Juliano Mer Khamis children.gaza3@gmail.com

P.S. Dal blog di amaryllide, riporto alcuni pezzi della risposta alla lettera di Noa data dal regista Udi Aloni, figlio di Shulamit Aloni.

Cara Achinoam Nini,
ho scelto di rispondere a te e non all'intera destra rabbiosa, perchè credo che il tradimento del campo della pace superi il danno causato dalla destra di migliaia di volte. La facilità con cui il campo della pace si accoda ai ruggiti di guerra ostacola la creazione di un significativo movimento che possa dare una vera resistenza all'occupazione.

Tu ruoti gli occhi,usi le tue parole d'amore al servizio dei tuo popolo conquistatore e chiedi ai Palestinesi di arrendersi con voce tenera. Tu dai ad Israele il ruolo di liberatore. Ad Israele - che, per oltre 60 anni, li ha occupati e umiliati. "Io so dove è il vostro cuore! E' proprio dove è il mio, con i miei figli, con la terra, con il cielo, con la musica, con la SPERANZA!" scrivi, ma Achinoam, noi abbiamo preso la loro terra e imprigionati nel ghetto chiamato Gaza.

Abbiamo coperto i loro cielo con i jet da combattimento, svettanti come angeli dell'inferno e seminando morte a caso. Di quale speranza stai parlando? Abbiamo distrutto ogni possibilità di moderazione e di vita in comune nel momento in cui abbiamo saccheggiato la loro terra, mentre eravamo seduti con loro al tavolo del negoziato. Possiamo avere parlato di pace, ma li abbiamo derubati anche degli occhi. Essi volevano la terra data loro dal diritto internazionale, e noi abbiamo parlato in nome di Dio.

... Hamas non è il mostro, mia cara Achinoam. È il figlio del mostro.

L'occupazione israeliana è il mostro. Essa e solo essa è responsabile per la povertà e la malattia e l'orrore. Siamo stati così spaventati dalla sua leadership laica, che ha minato la nostra visione della Terra di Israele, che abbiamo scelto di finanziare e sostenere Hamas, nella speranza che da una politica di divide et impera avremmo potuto andare avanti con l'occupazione per sempre, ma quando la cosa ci si è ritorta contro, tu scegli di incolpare l'effetto invece della causa.

Tu scrivi: "Io posso solo augurarvi che Israele faccia il lavoro che tutti noi sappiamo deve essere fatto, e, infine, VI LIBERI da questo cancro, questo virus, questo mostro chiamato fanatismo, e oggi chiamato Hamas ... Sarebbe lo stesso se la tua sorella palestinese scrivesse: "Speriamo che Hamas faccia il lavoro per voi, e vi liberi della Destra ebraica".

Quindi, forse, invece di ordinare a un popolo al quale abbiamo asportato chirurgicamente ogni barlume di speranza, potresti aiutare i tuoi fratelli e sorelle in Palestina a liberarsi dall'occupazione, dall'oppressione e dall'arrogante colonialismo inflitto dal tuo paese. Solo allora li puoi invitare a lottare democraticamente e riportare la Palestina allo stato mentale in cui era prima che noi li spingessimo in un angolo del muro che abbiamo costruito.

E se i tuoi fratelli in Palestina scelgono Hamas, devi rispettare la loro scelta, proprio come le nazioni del mondo hanno rispettato Israele quando ha scelto l'omicida Sharon. Hamas lo devono combattere loro, proprio come tu hai combattuto lui. Questa è la democrazia. Solo allora potrete tu e i tuoi fratelli da entrambe le parti di Palestina e Israele condividere - da uguali - la gioia della terra, il cielo e la musica; solo allora riusciremo a combattere insieme per la parità, per ogni uomo e ogni donna che vivono nella nostra terra santa. Amen.

Udi Aloni

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21 gennaio 2009

Israele, Obama e la necessità di un nuovo pensiero strategico.

Dopo la batosta subita in Libano ad opera delle milizie di Hezbollah, Israele sentiva come necessario un pronto riscatto del proprio esercito, al fine di ristabilirne il potere di deterrenza che rischiava di apparire non più temibile come un tempo.

L’operazione “Piombo Fuso” e il massacro di Gaza hanno fornito questa occasione di riscatto, e pazienza se l’onore di Tsahal è stato salvato a spese soprattutto di donne e bambini inermi e innocenti.

Ma se nel breve periodo Israele può tranquillamente dichiarare di aver raggiunto i propri obiettivi e di aver ridotto Hamas a più miti consigli, il bagno di sangue nella Striscia ha avuto come fastidioso effetto collaterale quello di isolare Israele – che ha finito per inimicarsi anche buoni amici come la Turchia – e di peggiorarne l’immagine (ed era davvero impresa titanica!) a livello dell’opinione pubblica mondiale.

E, soprattutto, il nuovo Presidente Usa, che fin dal suo discorso di insediamento ha inteso tendere una mano al mondo islamico, potrebbe essere spinto ancor più dagli eventi di Gaza a cercare un nuovo approccio alla pacificazione del medio oriente e alla composizione, una volta per tutte, del conflitto israelo-palestinese.

Anche contro la volontà di Israele.

E’ questo il tema dell’articolo di Zvi Bar’el, pubblicato il 19 gennaio su Ha’aretz e qui pubblicato nella traduzione offerta da Arabnews.

La necessità di un nuovo pensiero strategico
19.1.2009

Una coalizione internazionale si è affrettata a raggiungere un cessate il fuoco, salvare Gaza e definire un complesso accordo tripartito che dovrebbe opporsi al contrabbando di armi a vantaggio di Hamas. Il più forte esercito del Medio Oriente può registrare una vittoria a proprio favore nei confronti del gruppo islamico. Può anche essere che Israele abbia ristabilito la propria capacità di deterrenza contro la popolazione civile palestinese. Ma, forse tutto ciò sarà solo temporaneo, come accadde dopo l’operazione “Litani” del 1978, o dopo l’operazione “Grappoli di Collera” del 1996, o (in quel caso durando un po’ più a lungo) dopo l’operazione “Scudo Difensivo” nel 2002. Calma ma non sicurezza, cessate il fuoco ma non tranquillità. Questa è una vittoria tesa a lanciare una serie di messaggi – a Hamas, a Hezbollah, alla Siria, e soprattutto all’Iran. Affinché brucino nella loro coscienza, e sottolineino ancora una volta la minaccia proveniente da Israele.

Ma in tutto il putiferio nella Striscia di Gaza, la grande minaccia, la vera minaccia, è passata sotto silenzio. Nelle ultime tre settimane, qualcuno ha sentito dire qualcosa a proposito del programma nucleare iraniano? La minaccia che ha terrorizzato Israele è ancora incombente, e lo stato ebraico non è un paese più sicuro dopo questa guerra. I pezzi del puzzle che sono stati scagliati in aria a Gaza sono tornati al suolo ricomponendo una nuova immagine. La Turchia non è più lo stesso vecchio amico; la Giordania è divenuta un oggetto sospetto; l’Autorità Palestinese avrà difficoltà a far funzionare una leadership palestinese complessiva senza cooperare con Hamas; gli Stati Uniti di George W. Bush hanno “osato” sottoporre una proposta meno in linea con gli interessi israeliani, aprendo la strada ad una condotta analoga da parte dell’amministrazione Obama; l’Europa ufficiale non ha esitato a condannare Israele; e l’Egitto, che si è fatto promotore del cessate il fuoco e che avrà la responsabilità di garantire che esso venga rispettato, è furioso con Israele e con Hamas per essere stato messo in questa posizione così difficile.

Non un solo Katyusha di Hezbollah sarà reso inoffensivo a causa della guerra nella Striscia di Gaza, ed il programma nucleare iraniano è in salute, grazie. Ora più che mai gli israeliani dovranno assicurarsi di parlare inglese quando viaggeranno all’estero.

Non c’è ragione di cercare di pensare a cosa sarebbe accaduto se… Se Israele avesse riconosciuto il governo Hamas quando fu eletto; se avesse trattato Mahmoud Abbas con serietà, o se avesse realmente negoziato con la Siria. I ricordi non fanno la politica. In ogni caso, Israele ha optato per una soluzione che seguiva un nuovo ordine, con allusioni e colpetti sulla spalla invece di accordi scritti; con spettacoli e messinscene televisive invece di una seria visione per il futuro.

Ma ora Israele avrà un nuovo presidente americano – un presidente che ha già spiegato a chiunque che preferisce un nuovo ordine ai compromessi temporanei. Egli è pronto ad aprire una nuova pagina di dialogo con l’Iran; a riesaminare i rapporti tra Siria e Stati Uniti; a considerare l’Iraq come un amaro episodio da cui è meglio uscire rapidamente. Egli pensa anche che non vi sia più bisogno di uccidere Osama bin Laden. Non fa minacce. Barack Obama potrebbe portare con sé un nuovo insieme di lezioni per il Medio Oriente, che potrebbero non tradursi in una vera soluzione, ma che obbligheranno Israele a modificare il proprio pensiero strategico.

Obama è impegnato a garantire la sicurezza di Israele così come lo erano Bush e Clinton, ma potrebbe giungere a considerare la sostanza di una simile sicurezza in modo differente. La pace, ad esempio, potrebbe essere da lui vista come una componente essenziale della sicurezza di Israele. Ciò potrebbe essere una novità, persino rivoluzionaria agli occhi degli israeliani, ma lo stato ebraico farebbe meglio a prepararsi – non facendo uso dei lobbisti a Washington, ma pianificando un dialogo costruttivo con i suoi vicini.

Israele, le cui scelte strategiche hanno rafforzato il peso e la minaccia posti dai gruppi armati, avrà bisogno di riconsiderare il proprio approccio all’iniziativa di pace saudita. Il salvagente che tale iniziativa offre può dissolvere la minaccia di questi gruppi, se Israele comprende che essi minacciano i paesi arabi non meno di quanto minacciano lo stato ebraico. Israele ha bisogno dell’iniziativa saudita non perché abbia bisogno della sicurezza araba, ma perché deve aspirare ad accordi permanenti con gli stati, e non con gruppi o bande.

Se la Siria è lo stato che influenza Hamas e Hezbollah, se lo status dell’Egitto è ciò che determinerà il futuro della regione, se l’Arabia Saudita è il contrappeso dell’Iran, sono questi i partner con cui è necessario fare un accordo, non i loro “subappaltatori”. L’iniziativa saudita non è ancora svanita, ma non lo sono neanche le minacce. Senza adottare una nuova strategia che rafforzi l’iniziativa saudita, la guerra nella Striscia di Gaza rimarrà un episodio coronato da successo e niente più; una soluzione temporanea in attesa del prossimo round.

Zvi Bar’el è un analista politico israeliano; scrive abitualmente sul quotidiano “Haaretz”
Titolo originale:
A need for new strategic thinking

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20 gennaio 2009

La memoria unilaterale.

Sulla stessa falsariga di quanto scritto da Franco Berardi, si pone quest'articolo di Maurizio Blondet, che rilancio dalla lista di al-Awda Italia.


La memoria unilaterale

Maurizio Blondet - 18 gennaio 2009

L'Annunziata, ad «Anno Zero», ha attribuito a merito di Israele il fatto che si sia ritirato unilateralmente da Gaza. Oggi quindi, l'Annunziata e tutti gli altri lekka-kippà esalteranno il fatto che Israele abbia deciso una tregua «unilaterale».

Invece, la unilateralità della tregua configura in sé un ulteriore crimine contro l'umanità.

Con essa, Israele vuole ostentatamente dimostrare che spregia i palestinesi, non li ritiene esseri umani all'altezza di trattare; e Gaza, uno zoo pieno di belve. Per qualche motivo, Israele ha deciso di entrare nello zoo di sua proprietà per massacrare un certo numero di bestie che ritiene pericolose; finito il massacro, smette. Non c'è nessun bisogno di stringere trattati con animali, di prendere impegni giuridici verso le bestie.

Ovviamente, i capi israeliani dicono - e lo dichiarano - che con il ritiro unilaterale non vogliono riconoscere ad Hamas la dignità di entità governativa; ma questo è il meno. Decretando unilateralmente la tregua, Israele evita di impegnarsi a riaprire i valichi ai soccorsi alimentari e medici, arrogandosi la prerogativa di continuare ad affamare un milione e mezzo di palestinesi abbandonati fra le macerie.

Non si impegna a riconoscere il diritto della gente di Gaza a vivere con qualche sicurezza nei suoi angusti confini, né con qualunque altro diritto minimo.

Peggio e di più: Israele proclama implicitamente che anche quella minuscola striscia, in cui ha ammassato un milione e mezzo di sue vittime, è pur sempre terra «sua»; terra in cui si riserva di entrare a suo arbitrio, e che ha intenzione di riprendersi a piacere, quando lo riterrà opportuno, in ogni momento, senza farsi carico di quegli abitanti estranei, inferiori, senza voce umana - che per Giuda sono meno che nulla.

La tregua «unilaterale», come il ritiro unilaterale, è un modo per non firmare accordi che Israele vuole comunque violare, per non riconoscere il diritto internazionale e umanitario, e non ritenersi soggetta alle norme della umanità, riconfermate a Norimberga.

Questo atteggiamento è il risultato di un'educazione, quella del Talmud, che viene ai bambini ebrei insegnata nelle scuole ebraiche, agli studenti «religiosi» nelle yeshivoth, ai giovani adulti nelle università, come quella di Haifa: che i non-ebrei sono «animali parlanti».

Anche quando smette di sparare e di uccidere «unilateralmente», Israele commette un crimine contro l'umanità, perché non riconosce l'umanità del nemico, come di tutti gli altri esseri umani, alle cui proteste e ai cui rimproveri - ostentatamente - resta insensibile, come fossero strida di scimmie o di uccelli.

L'educazione talmudica stessa, in quanto insegna il suprematismo razzista e il disprezzo totale verso il prossimo, è un crimine contro l'umanità.

L'ideologia sionista, alimentata dal disprezzo talmudico per gli altri uomini, è essa stessa un crimine contro la pace, perché giustifica l'aggressione immotivata, ed incita alla crudeltà, allo scempio di cadaveri (1).

Ed uno Stato con questa ideologia, armato di 200 testate atomiche, è pericoloso per il mondo intero.

Ma noi, in questi giorni, abbiamo visto che il povero popolo di Gaza è una società umana; capace di far funzionare ospedali, di organizzare scuole per i suoi bambini, di curare i suoi feriti nelle condizioni più impossibili; ha i suoi medici e i suoi conduttori di ambulanze capaci di eroica abnegazione, ha i suoi maestri perché vuole che i suoi bambini imparino a leggere e scrivere, ha (aveva) una università; ha tutori dell'ordine e regolatori del traffico; è capace, nella disperazione, di aggrapparsi alla fede in Dio, e quando tutti i suoi figli sono uccisi, di gridare «non mi resta che Allah».

Anche senza Hamas, questa società così riconoscibilmente umana, che sa provvedere a se stessa (2), ha diritto a che il mondo le riconosca il diritto ad esistere. E che il mondo ingiunga all'aggressore di garantire il diritto alla vita di questa società, aprendo i valichi, lasciando che gli altri - non Israele, non certo Israele - li nutra e li curi dopo la distruzione.

Hamas «non riconosce il diritto all'esistenza di Israele?».

Se pur fosse vero, è la risposta reciproca, perfettamente simmetrica, al fatto che Israele non riconosce il diritto ai palestinesi ad esistere; non solo come Stato, ma come società umana.

«Hamas spara i razzi», e questo giustifica lo sterminio? Hamas «è armato dall'Iran»?

In queste atroci tre settimane, abbiamo avuto la prova che Hamas non aveva affatto quelle armi, che Giuda ci assicurava ottenute attraverso i tunnel di Rafah, causa pretesa della «guerra».

Non aveva missili anti-aerei, non aveva missili anticarro guidati a filo di cui disponeva Hezbollah nel 2006, e che seppe usare così bene contro l'aggressore.

Non aveva che qualche kalashnikov, qualche granata.

Quanto ai razzi Kassam, sono artifici fatti in casa, il cui propellente è fabbricabile con prodotti semplici e disponibili: qualche sacco di fertilizzante chimico al nitrato.

Inoltre, i tunnel di Rafah sboccano in Egitto. Israele ci vuol far credere che l'Egitto, in combutta con Teheran, ha lasciato passare cannoni e missili destinati ad Hamas sul suo territorio?

Infatti non c'è altra via per il passaggio di armi; e i carichi devono essere stati grossi, voluminosi, impossibili da dissimulare. Israele implica una complicità dell'Egitto?

Pare di no, perché tratta il cessate il fuoco con l'Egitto, in modo che l'Egitto poi riferisca i suoi desideri ad Hamas, la bestia con cui non tratta.

E allora?

Israele mente, ora lo vediamo chiaramente. Come ha mentito sulle fantomatiche armi di distruzione di massa di Saddam, fornendo anche falsa intelligence. Come ha mentito quando fingeva di «far la pace» con Abu Mazen, e intanto il capo del governo di allora, l'attuale ministro della Guerra generale Ehud Barak, accelerava l'insediamento di coloni ebraici fanatici nel territorio cisgiordano, «riconosciuto» a parole come altrui.

Abbiamo dunque motivo di ritenere che menta anche quando assicura che deve bombardare l'Iran, perché Teheran si sta fabbricando la bomba atomica, nonostante che l'ente internazionale a ciò preposto e universalmente riconosciuto competente in materia di controllo nucleare, la AIEA, i cui tecnici esperti hanno accesso alle installazioni iraniane, dica il contrario.

Israele non crede alla AIEA. Perché? Forse perché non riconosce alcun organismo internazionale? O perché ritiene i tecnici AIEA solo «animali parlanti», e non esseri umani?

Ma passi. Cancelliamo tutto il ragionamento. Ammettiamo pure che Israele abbia politicamente ragione a voler rovesciare Hamas.

Anche in questo caso, ha commesso crimini disumani, atrocità vergognose, ha usato armi proibite, ha infranto norme internazionali, a cominciare dal diritto sancito a Norimberga.

Per disciplinare quel milione e mezzo di persone, la metà delle quali sotto i 16 anni, e l'80% già profughi di precedenti pulizie etniche talmudiche, chiusi da mesi con il 20% del cibo necessario in 40 chilometri di striscia, e comprovatamente privi di armi pesanti, il regno santo di Sion ha usato:

232 carri armati;
687 veicoli corazzati;
43 caccia-bombardieri e 105 elicotteri da battaglia;
221 pezzi d'artiglieria campale, e 346 mortai;
li ha spiati con 3 satelliti artificiali;
vi ha impegnato 10 mila soldati armati di tutto punto, con giubbotti antiproiettile, visori notturni e tutti i gadget della distruzione.

Dire che questo volume di fuoco è «sproporzionato», è essere indulgenti. Tanto armamento di grosso calibro, tanti bombardamenti dal cielo, da terra e dal mare, l'uso di bombe al fosforo e di bombe DIME che strappano arti, ci obbligano a denunciare: Israele non ha voluto colpire Hamas, ha voluto sterminare la società palestinese in quanto tale.

I suoi medici che s'affannano a cucire le orribili ferite, i suoi portantini che corrono qua e là con le ambulanze sotto il fuoco spietato, i suoi maestri elementari, i suoi giornalisti, i suoi impiegati civili (anche se sono di Hamas, gli impiegati civili sono tutelati dal diritto umanitario; possono anche non condividere l'ideologia di Hamas, e in ogni caso nel mondo civile non si ammazza gente per quel che pensa, o che noi crediamo pensi), i suoi magazzini alimentari.

E infatti ha colpito scuole, sale-stampa, magazzini dell'ONU, ambulanze; tutti oggetti ed edifici segnalati da sigle e croci che per tutto il resto del mondo significano: rispettate questi luoghi e queste cose, sono per i civili.

Questo è genocidio e punizione collettiva, da punire secondo le leggi di Norimberga.

Un così imponente attacco armato, non giustificato da motivi di autodifesa (quelli addotti si sono rivelati falsi e pretestuosi), è un crimine contro la pace secondo i principii di Norimberga accolti dall'ONU, risoluzione 95.

Se diciamo questo, è perché ci allarma il fatto che Sion abbia sì decretato «la tregua unilaterale», però «non si ritira» da Gaza, e Olmert promette:; «Se sparano, ricominciamo di nuovo».

Secondo le Convenzioni di Ginevra, dal momento stesso in cui Israele non si ritira dal territorio che ha incenerito, diventa responsabile del mantenimento degli occupati, della vita dei civili.

Poiché è certo che non si accollerà questo obbligo, anche il suo comportamento - da ora in poi - va esaminato come sospetto di ulteriore crimine contro l'umanità.

Se vieta il passaggio dei soccorsi europei, volonterosi di sostituirsi alle responsabilità che Israele non si accolla, il crimine contro l'umanità è dimostrato senza ulteriore esame. I soccorsi sono urgenti, e ogni ritardo aumenta la sofferenza e le morti di civili.

E per favore tacciano i «cattolici», se vogliono accusarci di non amare gli ebrei. Quando un tizio prende come ostaggi dei vicini e comincia di punto in bianco a sparare sui passanti dalla finestra, i cattolici non ritengono che la cosa più urgente sia chiedersi se hanno amato abbastanza quel tizio, se i passati dolori subìti da quel tizio giustificano la sua azione, se il tizio è un «fratello maggiore» degno di tutti i riguardi. Ritengono prima di tutto necessario bloccare quel tizio, catturarlo, legarlo e persino sparargli; ed ovviamente, anzitutto, trascinare via i feriti da lui provocati dal suo angolo di tiro, e salvare gli ostaggi che ha imprigionato.

Ora, Israele ha smesso temporaneamente di sparare; ma tiene ancora gli ostaggi sotto il suo tallone. Ed ha già dato prova di non avere alcuno scrupolo a massacrarli.

Richiamare Israele al rispetto delle norme umanitarie non è manifestazione di non so quale «antisemitismo»; al contrario, è persino fargli onore: significa presupporre che Israele abbia una coscienza, che sappia ragionare e si senta parte della comune umanità. Il che, purtroppo, non è affatto dimostrato dai suoi atti.

Né l'ordine internazionale può fermare Israele con la forza: la forza bruta è tutta, schiacciante, in mano sua.

In questi giorni, si celebra ufficialmente la giornata della shoah, che coincide con il sessantesimo anniversario della Carta universale dei diritti dell'uomo. Gli studenti di tutte le scuole italiane sono obbligati ad ascoltare «testimonianze di sopravvissuti» dei lager, a fare temi e cosiddette ricerche sul patimento degli ebrei, e sulla necessità di «ricordare»; due studenti per scuola vinceranno, come premio per le loro ricerche, un viaggio ad Auschwitz, a spese ovviamente di noi contribuenti.

Ho una modesta proposta:

I genitori degli scolari e degli studenti aiutino i loro figli nella «ricerca», copiando e incollando le foto dei bambini bruciati, sepolti sotto le macerie, e mutilati a Gaza; e aiutandoli a cogliere le analogie fra gli eventi di 63 anni orsono e quelli perpetrati oggi dal solo Stato oggi rimasto dove la cittadinanza è data su basi razziali (è israeliano solo chi può dimostrare di avere una nonna o una mamma ebrea), dove si spregia la Carta dei diritti dell'uomo, dove si pretende l'impunità per atti atroci e crimini razzisti di Stato.

A questo scopo, si potrà utilmente rifarsi a sir Gerald Kaufman, membro del Parlamento britannico, ebreo di origine polacca, che ha detto pubblicamente:

«Mia nonna fu uccisa da un soldato tedesco mentre era a letto malata. Mia nonna non è morta per fornire ai soldati israeliani la scusa storica per ammazzare le nonne palestinesi a Gaza. L'attuale governo israeliano sfrutta cinicamente e senza limiti il senso di colpa dei gentili per l'olocausto onde giustificare i suoi omicidii in Palestina» (3).

Raccontino gli studenti come sir Gerald Kaufman sia stato attaccato per questa sua dichiarazione, eppure coraggiosamente abbia tenuto il punto, dicendo: «Quando a Manchester l'IRA ha fatto esplodere una bomba che ha distrutto tutto il centro, noi non abbiamo mandato l'esercito a Belfast a massacrare oltre mille cattolici».

Raccontino gli studenti come numerose organizzazioni umanitarie rispettate, fra cui la Croce Rossa Internazionale, abbiano annunciato di star raccogliendo dati e prove sulle violazioni delle norme internazionali che hanno constatato nei giorni di questa aggressione, dall'uso di armi proibite agli impedimenti deliberati dei soccorsi, fino al bombardamento di scuole dell'ONU diventati rifugi di civili che speravano di salvarsi dai bombardamenti.

Riportino - prima che ce lo dimenichiamo tutti - che Amnesty International ha scritto ufficialmente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite reclamando «un'azione ferma» per accertare pienamente «la responsabilità in crimini di guerra ed altre gravi violazioni dei diritti umani e delle norme umanitarie nel conflitto di Gaza» (4).

Ricordino gli studenti il sito «Stop the International Solidarity Movement», che ha indicato all'esercito israeliano come bersagli da eliminare diversi volontari di pace, accorsi a Gaza per aiutare, con tanto di foto e generalità, fra cui quelle dell'italiano Arrigoni. E di come tale sito sia stato oscurato, e i suoi autori indiziati dall'Interpol per istigazione all'omicidio.

Riflettano gli studenti sul destino delle centinaia di bambini e giovani di Gaza atrocemente mutilati da bombe concepite apposta per provocare mutilazioni, e sul loro triste futuro, in una società che non ha certo i mezzi per assicurare ai suoi invalidi una vita decente nel futuro.

Esprimano un giudizio, gli studenti, sul fatto che il regime israeliano, avvertito dal procuratore generale di Israele Menahem Mazuz che si deve aspettare «un'ondata di denunce internazionali» per le atrocità commesse, abbia messo in piedi un gruppo di avvocati e periti legali (detto Incrimination Team) allo scopo di «formulare argomenti che possano essere usati per la difesa contro le accuse di crimini di guerra», cercando e presentando materiale filmato a discolpa.

Riflettano gli studenti sul fatto che - tranne eroiche eccezioni - la comunità ebraica italiana, come tutte le comunità ebraiche in Occidente, è insorta come un solo uomo a negare le accuse, ad accusare chi accusa come «antisemita» e a giustificare le atrocità come necessarie «per l'esistenza stessa di Israele».

Svolgano con parole loro utili considerazioni sul fatto che, agendo così, ebrei che non sono cittadini israeliani, si autodichiarano partecipi e favorevoli a tali atrocità, ossia «volontari carnefici».

Elaborino riflessioni su questa atteggiamento, che disonora il nome israeliano e quello israelita, e di come invece il pentimento per questi fatti, e l'accettazione della condanna morale che coinvolge Israele, è la sola via per scongiurare che Israele sia visto come il mostro fra le nazioni, lo Stato-canaglia, il «cane idrofobo» (è una definizione di Ariel Sharon) che ogni anno o due aggredisce con esili pretesti Paesi vicini, violando sovranità e uccidendo persone d'altri Stati, sicché si propone al mondo come un pericolo per tutti gli uomini, non solo per gli arabi.

Dibattano infine gli studenti sul fatto che la giornata della Memoria, se non è una vuota auto-adorazione dei giudei, deve diventare incitamento a vegliare a che le atrocità di 63 anni orsono non si ripetano oggi, e l'obbligo, che compete a ciascuno di noi, a denunciare crimini di questo genere quando avvengono sotto gli occhi della presente generazione.

E chiedano di essere portati in visita, piuttosto che ad Auschwitz (dove non si può più rimediare a nulla) nel carnaio di Gaza, dove il crimine è in corso e può essere ancora impedito.

Perché la Memoria, almeno quella, non sia «unilaterale».

1) Per esempio andrà accertato il seguente episodio, narrato dal giornalista Ola Attallah, corrispondente di IOL: un bambino di 9 anni, Ibrahim Awaga, già ferito da un missile, è stato usato come un bersaglio da esercitazione da soldati israeliani. «Un soldato s'è avvicinato al corpo del mio bambino, l'ha sollevato per le gambe ridendo, mentre un altro gli ha sparato alla testa. Sempre ridendo, hanno posto il corpo su un muretto e per una intera ora hanno gareggiato fra loro nel tiro al bersaglio» su quel corpo. Testimone della scena sarebbe stato il padre, Kamal Awaga, che giaceva a terra ferito al torace e s'è finto morto, riuscendo così a scampare. (Uruknet, 15 gennaio 2009). Sarebbe interessante sapere per esempio se questi soldati portavano la kippà o altro segno della loro religione; perché si ha notizia che atti del genere vengano commessi da studenti delle yeshivoth (scuole rabbiniche) fondamentaliste, che si arruolano volentieri proprio per adempiere all'obbligo biblico: «Babilonia, beato chi afferrerà i tuoi figli piccoli e spaccherà loro la testa sulla roccia».


2) La società di Gaza ha dimostrato di sapersi auto-organizzare, per esempio, meglio della cittadinanza napoletana o di quella di Vibo Valentia, che non è in grado di liberarsi da sé della 'ndrangheta che ha occupato l'ospedale e sta uccidendo i pazienti con operazioni chirurgiche. Con ciò, nessun politico riterrebbe legittimo, per liberare i vibonesi, di bombardare quell'ospedale.


3) «MP makes israeli troops nazi link», BBC, 16 gennaio 2009.


4) «Israel expects army officers to be prosecuted for war crimes», Irish Sun, 16 gennaio 2009

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Che dirò ai miei studenti nel giorno della memoria?

Tra qualche giorno, esattamente il prossimo 27 gennaio, cadrà come ogni anno il Giorno della Memoria, la ricorrenza che una legge approvata nel 2000 dal Parlamento italiano ha istituito “al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.

Non è difficile immaginare che, a così breve distanza dalla conclusione dell’operazione militare israeliana denominata “Piombo Fuso”, una vera e propria mattanza di civili inermi propagandata per “guerra” contro Hamas, le celebrazioni connesse a questa data diverranno occasione per polemiche e recriminazioni.

Perché a molti, me compreso, riesce davvero difficile capire ed accettare che un popolo che ha così tanto sofferto possa, a sua volta, diventare il carnefice di un altro popolo inerme e indifeso. Perché davvero suscita sentimenti di ripulsa e di disgusto la brutalità e la ferocia dei crimini contro l’umanità commessi dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza, degni delle pagine peggiori delle fanatiche milizie naziste.

Su questo e altro verte questo interessante scritto di Franco Berardi tratto dal sito
http://www.carta.org/.

Che dirò ai miei studenti nel giorno della memoria?
Franco Berardi "Bifo"
[15 Gennaio 2009]

“Hai fatto una strage di bambini e hai dato la colpa ai loro genitori dicendo che li hanno usati come scudi. Non so pensare a nulla di più infame […] li hai chiusi ermeticamente in un territorio,e hai iniziato ad ammazzarli con le armi più sofisticate, carri armati indistruttibili, elicotteri avveniristici, rischiarando di notte il cielo come se fosse giorno, per colpirli meglio. Ma 688 morti palestinesi e 4 israeliani non sono una vittoria, sono una sconfitta per te e per l’umanità intera». [Stefano Nahmad, la cui famiglia ha subito le persecuzioni naziste]

Insegno in una scuola serale per lavoratori, in gran parte stranieri.

E’ un ottimo osservatorio per capire quel che accade nel mondo. L’anno scorso, avvicinandosi il giorno della memoria che ogni anno si celebra nelle scuole, leggemmo brani dal libro Se questo è un uomo di Primo Levi. Avevamo parlato molto della questione ebraica, e della storia del popolo ebreo dalle epoche lontane al ventesimo secolo. Proposi che tutti scrivessero un breve testo sugli argomenti di cui avevamo parlato.

Claude D, un ragazzo senegalese di circa venti anni, piuttosto pigro ma dotato di vivacissima intelligenza concluse il suo lavoro con queste parole: «Ogni anno si fanno delle cerimonie per ricordare lo sterminio degli ebrei, ma gli ebrei non sono i soli che hanno subito violenza. Perché ogni anno dobbiamo stare lì a sentire i loro pianti quando altri popoli sono stati ammazzati ugualmente e nessuno se ne preoccupa?»

Questa frase mi colpì, e decisi di proporla alla discussione della classe, in cui oltre Claude c’erano cinque italiani due marocchini un peruviano una brasiliana, un somalo, due ragazze romene una ucraina e due russi. L’opinione di Claude era quella di tutti. Sia ben chiaro: nessuno mise in dubbio la verità storica dell’Olocausto, neppure Yassin, un ragazzo marocchino appassionato alla causa palestinese e sempre pronto a criticare con durezza Israele. Tutti avevano seguito con attenzione e partecipazione la lettura delle pagine di Primo Levi.

Però tutti mi chiedevano: perché non si fanno cerimonie pubbliche dedicate allo sterminio dei rom, dei pellerossa, o allo sterminio in corso dei palestinesi? Claude a un certo punto uscì fuori con unafrase che non potevo contestare: perché nessuno ha pensato a un giorno della memoria dedicato all’olocausto africano? Pensai ai milioni di suoi antenati deportati da negrieri schiavisti, pensaiall’irreparabile danno che questo ha prodotto nella vita dei popoli del golfo d’Africa occidentale, e conclusi il discorso in maniera che a tutti apparve risolutiva [vorrei quasi dire salomonica]: «Nel giorno della memoria si ricorda l’Olocausto ebraico perché attraverso questo sacrificio si ricordano tutti gli Olocausti sofferti dai popoli di tutta la terra».

Ammesso che la parola «identità» significhi qualcosa, e non lo credo, per me l’identità non è definita dal sangue e dalla terra, blut und boden come dicono i romantici tedeschi, ma dalle nostre letture, dalla formazione culturale e dalle nostre mutevoli scelte. Perciò io affermo di essere ebreo. Non solo perché ho sempre avuto un interesse fortissimo per le questioni storiche e filosofiche poste dall’ebraismo della diaspora, non solo perché ho letto con passione Isaac Basheevis Singer e Abraham Jehoshua, Gerhom Sholem, Akiva Orr, Else Lasker Shule e Daniel Lindenberg, ma soprattutto perché mi sono sempre identificato profondamente con ciò che definisce l’essenza culturale dell’ebraismo diasporico. Nell’epoca moderna gli ebrei sono stati perseguitati perché portatori della Ragione senza appartenenza. Essi sono l’archetipo della figura moderna dell’intellettuale. Intellettuale è colui che non compie scelte per ragioni di appartenenza, ma perragioni universali. Gli ebrei, proprio perché la storia ha fatto di loro degli apatridi, hanno avuto un ruolo fondamentale nella costruzione della figura moderna dell’intellettuale ed hanno avuto unruolo fondamentale nella formazione dell’Illuminismo e della laicità, e anche dell’internazionalismo socialista.

Come scrive Singer, nelle ultime pagine del suo Meshugah, «La libertà di scelta è strettamente individuale. Due persone insieme hanno meno libertà di scelta di quanto ne abbia una sola, le masse non hanno virtualmente nessuna possibilità di scelta».
Per questo io sono ebreo, perché non credo che la libertà stia nell’appartenenza, ma solamente nella singolarità. So bene che nel ventesimo secolo gli ebrei sono stati condotti dalla forza dellacatastrofe che li ha colpiti, a identificarsi come popolo, a cercare una terra nella quale costituirsi come stato: stato ebraico. E’ il paradosso dell’identificazione. I nazisti costrinsero un popolo cheaveva fatto della libertà individuale il valore supremo ad accettare l’identificazione, la logica di appartenenza e perfino a costruire uno stato confessionale che contraddice le premesse ideologiche che proprio il contributo dell’ebraismo diasporico ha introdotto nella cultura europea.In Storia di amore e di tenebra scrive Amos Oz: «Mio zio era un europeo consapevole, in un’epoca in cui nessuno in Europa si sentiva ancora europeo a parte i membri della mia famiglia e altri ebrei come loro. Tutti gli altri erano panslavi, pangermanici, o semplicemente patrioti lituani, bulgari, irlandesi slovacchi. Gli unici europei di tutta l’Europa, negli anni venti e trenta, erano gli ebrei. In Jugoslavia c’erano i serbi i croati e i montenegrini, ma anche lì vive una manciata di jugoslavi smaccati, e persino con Stalin ci sono russi e ucraini e uzbeki e ceceni, ma fra tutti vivono anche dei nostri fratelli, membri del popolo sovietico».

Il mio punto di vista sulla questione mediorientale è sempre stato lontano da quello dei nazionalisti arabi. Avrei mai potuto sposare una visione nutrita di autoritarismo e di fascismo? E oggi potrei forse sposare il punto di vista dell’integralismo religioso che pervade la rabbia dei popoli arabi e purtroppo ha infettato anche il popolo palestinese nonostante la sua tradizione di laicismo? Proprio perché non ho mai creduto nel principio identitario non ho mai provato particolare affezione per l’idea di uno stato palestinese. I palestinesi sono stati costretti all’identificazione nazionaledall’aggressione israeliana che dal 1948 in poi si è manifestata in maniera brutale come espulsione fisica degli abitanti delle città, come cacciata delle famiglie dalle loro abitazioni, come espropriazione delle loro terre, come distruzione della loro cultura e dei loro affetti. «Due popoli due stati» è una formula che sancisce una disfatta culturale ed etica, perché contraddice l’idea -profondamente ebraica – secondo cui non esistono popoli, ma individui che scelgono di associarsi. E soprattutto contraddice il principio secondo cui gli stati non possono essere fondati sull’identità, sul sangue e sulla terra, ma debbono essere fondati sulla costituzione, sulla volontà di una maggioranza mutevole, cioè sulla democrazia.

Pur avendo un interesse intenso per l’intreccio di questioni che la storia ebraica passata e recente pone al pensiero, non ho mai scritto su questo argomento neppure quando l’assedio di Betlemme o il massacro di Jenin o l’orribile violenza simbolica compiuta da Sharon nel settembre del 2000 o i bombardamenti criminali dell’estate 2006 provocavano in me la stessa ribellione e lo stesso orrore che provocavano gli attentati islamici di Gerusalemme o di Netanja o gli omicidi casuali di cittadini israeliani provocati dal lancio di razzi Qassam.

Non ho mai scritto nulla, mi dispiace doverlo dire, perché avevo paura. Come ho paura adesso, non lo nascondo. Paura di essere accusato di una colpa che considero ripugnante – l’antisemitismo. So di poter essere accusato di antisemitismo a causa della convinzione, maturata attraverso la lettura dei testi di Avi Shlaim, e di cento altri studiosi in gran parte ebrei, che il sionismo, discutibile nelle sue scelte originarie, si è evoluto come una mostruosità politica. Pur avendo paura non posso però più tacere dopo aver discusso con lo studente Claude.

Considero il sionismo causa di infinite ingiustizie e sofferenze per il popolo palestinese, ma soprattutto lo considero causa di un pericolo mortale per il popolo ebraico. A causa della violenza sistematica che il sionismo ha scatenato negli ultimi sessant’anni, la bestia antisemita sta riemergendo, e sta diventando maggioritaria se non nel discorso pubblico nel subconscio collettivo.Dato che non è possibile affermare a viso aperto che il sionismo è una politica sbagliata che produce effetti criminali, molti non lo dicono, ma non possono impedirsi di pensarlo.Aprendo la discussione sulle parole dello studente Claude, ho scoperto che gli altri studenti, italiani e marocchini, romeni e peruviani, che pure nel loro svolgimento avevano trattato la questione secondo gli stilemi politicamente corretti, costretti ad approfondire il ragionamento e a far emergere il loro vero sentimento, finivano per identificare il sionismo con il popolo ebraico e quindi a ripercorrere la strada che conduce verso l’antisemitismo. Considerando criminale e arrogante il comportamento dello stato di Israele, identificandosi spontaneamente con il popolo palestinese vittimizzato, finivano inconsapevolmente per riattivare l’antico riflesso anti-ebraico.

Proprio la rimozione e il conformismo che si coltivano nel giorno della memoria stanno producendo nel subconscio collettivo un profondo antisemitismo che non si confessa e non si esprime. Perciò credo che occorra liberarsi della rimozione e denunciare il pericolo che il sionismo aggressivo rappresenta soprattutto per il popolo ebraico.

Trasformare la questione ebraica in un tabù del quale è impossibile parlare senza incorrere nella stigmatizzazione benpensante sarebbe [anzi è già] la condizione migliore per il fiorire dell’antisemitismo.

Si avvicina il 27 gennaio, che sarà anche quest’anno il giorno della memoria. Come potrò parlarne nella classe in cui insegno quest’anno? Non c’è più Claude, ma ci sono altri ragazzi africani e arabi e slavi ai quali non potrò parlare dell’immane violenza che colpì il popolo ebraico negli anni Quaranta senza riferirmi all’immane violenza che colpisce oggi il popolo palestinese. Se tacessi questo riferimento apparirei loro un ipocrita, perché essi sanno quel che sta accadendo.

E come potrò tacere le analogie tra l’assedio di Gaza e l’assedio del Ghetto di Varsavia del quale abbiamo parlato recentemente? E’ vero che gli ebrei uccisi nel ghetto di Varsavia nel 1943 furono 58.000 mentre i morti palestinesi sono per il momento solo mille. Ma come dice Woody Allen i record sono fatti per essere battuti. La logica che ha preparato la ghettizzazione di Gaza [che un cardinale cattolico ha definito «campo di concentramento»] non è forse simile a quella che guidò la ghettizzazione degli ebrei di Varsavia?

Non vennero forse gli ebrei di Varsavia costretti ad ammassarsi in uno spazio ristretto che divenne in poco tempo un formicaio? Non venne forse costruito intorno a loro un muro di cinta della lunghezza di 17 chilometri di tre metri di altezza esattamente come quello che Israele ha costruito per rinchiudere i palestinesi? Non venne agli ebrei polacchi impedito di uscire dai valichi che erano controllati da posti di blocco militari? Per motivare la loro aggressione che uccide quotidianamente centinaia di bambini e di donne, i dirigenti politici israeliani denunciano i missili Qassam che in otto anni hanno causato dieci morti [tanti quanti l’aviazione israeliana uccide in mezz’ora]. E’ vero: è terribile, è inaccettabile che il terrorismo di Hamas colpisca la popolazione civile di Israele. Ma questo giustifica forse lo sterminio di un popolo? Giustifica il terrore indiscriminato, la distruzione di una città? Anche gli ebrei di Varsavia usarono pistole, bombe a mano, bottiglie molotov e perfino un mitra per opporsi agli invasori. Armi del tutto inadeguate, come lo sono i razzi Qassam. Eppure nessuno può condannare la difesa disperata degli ebrei di Varsavia.

Cosa posso dire, dunque, nel giorno della memoria? Dirò che occorre ricordare tutte le vittime del razzismo, quelle di ieri e quelle di oggi. O questo può valermi l’accusa di antisemitismo?

Se qualcuno vuole accusarmi a questo punto non mi fa più paura. Sono stanco di impedirmi di parlare e quasi perfino di pensare ciò che appare ogni giorno più evidente: che il sionismo aggressivo, oltre ad aver portato la guerra e la morte e la devastazione al popolo palestinese, ha stravolto la stessa memoria ebraica fino al punto che nelle caserme israeliane sono state trovate delle svastiche, e fino al punto che cittadini israeliani bellicisti hanno recentemente insultatocittadini israeliani pacifisti con le parole «con voi Hitler avrebbe dovuto finire il suo lavoro».Proprio dal punto di vista del popolo ebraico il sionismo aggressivo può divenire un pericolo mortale. L’orrenda carneficina che Israele sta mettendo in scena nella Striscia di Gaza, come i bombardamenti della popolazione di Beirut due anni fa, sono segno di demenza suicida. Israele ha vinto tutte le guerre dei passati sessant’anni e può vincere anche questa guerra contro una popolazione disarmata. Ma la lezione che ne ricavano centinaia di milioni di giovani islamici che assistono ogni sera allo sterminio dei loro fratelli palestinesi è destinata a far sorgere un nuovo nazismo.

Israele può sconfiggere militarmente Hamas. Può vincere un’altra guerra come ha vinto quelle del 1948 del 1967 e del 1973. Può vincere due guerre tre guerre dieci guerre. Ma ogni sua vittoria estende il fronte dei disperati, il fronte dei terrorizzati che divengono terroristi perché non hanno alcuna alternativa. Ogni sua vittoria approfondisce il solco che separa il popolo ebraico da un miliardo e duecentomilioni di islamici. E siccome nessuna potenza militare può mantenere in eterno la supremazia della forza, i dirigenti sionisti aggressivi dovrebbero sapere che un giorno o l’altro l’odio accumulato può dotarsi di una forza militare superiore, e può scatenarla senza pietà, come senza pietà oggi si scatena l’odio israeliano contro la popolazione indifesa di Gaza.

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16 gennaio 2009

Con il consenso popolare.


"Ogni giorno sempre più bambini vengono colpiti, i loro piccoli corpi feriti, le loro giovani vite spezzate.Queste non sono solo fredde cifre. Parliamo di vite di bambini interrotte. Nessun essere umano può guardare a questo senza essere commosso. Nessun genitore può essere testimone di questo e non vedere il proprio bambino. Tutto questo è tragico. Tutto questo è inaccettabile" (dichiarazione di Ann Veneman, Direttore generale dell'Unicef, 14 gennaio).

Alla data di ieri, secondo l'ultimo rapporto dell'Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA Protection of civilians weekly report 9-15 gennaio), nel corso dell'operazione denominata "Piombo Fuso" l'esercito israeliano aveva ucciso 1086 Palestinesi e ne aveva feriti oltre 4900.

Quasi il 32% di tutti gli uccisi (346) erano bambini, così come sono bambini oltre 1700 dei feriti, dei quali centinaia in gravissime condizioni.

A fronte della dichiarazione sopra riportata del Direttore generale dell'Unicef, che non posso che condividere come uomo, come genitore e come cristiano, devo constatare che, secondo un sondaggio condotto dal giornale israeliano Ha'aretz, il 78% degli intervistati hanno definito "un successo" le operazioni militari in corso, mentre addirittura l'82% non ritiene che Israele abbia fatto ricorso ad un uso eccessivo della forza.

Un tale massiccio consenso popolare che si registra in Israele nei confronti del massacro perpetrato da Tsahal nella Striscia di Gaza, confermato da dati simili forniti da un altro sondaggio del giornale Maariv, non può che far riflettere.

Ognuno ne tragga le conclusioni che ritiene.

E però, di fronte alle devastazioni, alle sofferenze, ai corpi massacrati, ai crimini contro l'umanità commessi dall'esercito israeliano, le cui immagini sono state ampiamente diffuse in tutto il mondo, e anche in Israele, dalle televisioni e da internet, nessuno un giorno potrà dire "io non sapevo".

Come è accaduto in passato per altri crimini e altri massacri di pari ferocia.

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Bloccata nave di aiuti ai Palestinesi, la Grecia protesta.


Francesco Caruso è entrato nella delegazione del Free Gaza Movement "Spirit of Humanity" che ha tentato di raggiungere le coste palestinesi della Striscia di Gaza a bordo di una nave con attivisti e medici.

La missione aveva l’obiettivo di portare la solidarietà al popolo palestinese attraverso la donazione di oltre 40 kg di medicinali.

La Marina israeliana però ha bloccato, in acque internazionali, la nave carica di aiuti umanitari destinati alla popolazione di Gaza con a bordo medici, parlamentari e attivisti provenienti dall'Europa e dagli Stati Uniti.

Lo ha reso noto l'ex deputato di Rifondazione Comunista, Francesco Caruso, che si trova a bordo della nave salpata ieri dal porto di Larnaca, a Cipro.

Il governo greco ha reso noto oggi di avere presentato una "protesta" a quello israeliano, dopo che la nave di una Ong filo-palestinese che trasportava aiuti umanitari a Gaza è stata respinta ieri dalla marina di Gerusalemme.

Lo rende noto un comunicato del ministero degli Esteri, precisando che la protesta è stata presentata dall'ambasciatore greco in Israele. La nave, la Arion, batte bandiera greca e proveniente da Cipro, trasportava rifornimenti umanitari, soprattutto medicinali destinati alla popolazione palestinese.

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15 gennaio 2009

Il cimitero è pieno!


“I soldati stanno facendo un lavoro eccezionale, con numerosi successi nell’infliggere danni ad Hamas … Ma c’è ancora lavoro da fare” (Dichiarazione del comandante delle forze armate israeliane Gabi Ashkenazi davanti alla Knesset, The Guardian, 13 gennaio).

“Quello che ho visto oggi è stato scioccante. E’ inaccettabile vedere così tante persone ferite. Le loro vite dovrebbero essere risparmiate e la sicurezza di coloro i quali se ne prendono cura garantita” (Dichiarazione di Jakob Kellenberger, Presidente della Croce Rossa Internazionale, durante una visita nella Striscia di Gaza il 13 gennaio, OCHA Field Update, 14 gennaio).

“Non possiamo andare in ospedale (a causa dei bombardamenti, n.d.r.) … Non possiamo muoverci” (Telefonata di Mauro Dalla Torre, chirurgo della Croce Rossa Internazionale, in diretta al notiziario di rainews24 delle ore 15:00).

“Il cimitero è pieno. Per favore, non seppellite qui perché non c’è posto (da un avviso appeso al cancello di un cimitero a Gaza, La Repubblica, 14 gennaio).

Nel ventesimo giorno dell’operazione “Piombo Fuso”, una giornata di bombardamenti intensissimi, cresce ancora il tributo di sangue che i civili inermi di Gaza sono chiamati a rendere dai valorosi soldati dell’esercito israeliano: 1.080 sono i Palestinesi uccisi e oltre 4.900 i feriti.

Bombardati dall’esercito israeliano, come d’uso, edifici civili, moschee, ospedali: secondo un funzionario del ministero della salute del governo di Hamas, nella sola giornata di oggi sono andati distrutti 15 tra ambulatori e ospedali.

Colpita anche la sede dell’UNRWA a Gaza, bersaglio di alcune delle micidiali granate al fosforo sparate in gran quantità dagli Israeliani: le macerie, nel momento in cui scrivo, bruciano ancora. Secondo Olmert (e quando mai…) da lì sparavano i miliziani di Hamas, ma gli ha risposto seccamente John Ging, presente nell’edificio al momento del raid: “commenti senza senso”.

Ci si interroga se esista una linea rossa, un limite umanitario e morale che nemmeno Israele è disposto a varcare, ma di fronte a tali devastazioni e a crimini di tale portata c’è da dubitarne fortemente.

L’unica cosa sicura e dimostrata dagli eventi di questi giorni è che la comunità internazionale non interverrà in alcun modo su Israele per evitare che la oltrepassi.

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Così si uccide la pace.

L'amico Angelo Saracini mi segnala questo intervento di Giulietto Chiesa al parlamento europeo a proposito del massacro in atto a Gaza. Lo sottoscriviamo in toto.
"Così si uccide la pace. Bisogna fermare Israele"
Strasburgo, 14 gennaio 2009

Un grande antifascista italiano, Piero Gobetti, disse che "quando la veritá è tutta da una parte, una posizione salomonica è completamente tendenziosa".

Così è per Gaza in questi giorni. Mi auguro che questo Parlamento sappia pronunciare parole adeguate. Se non lo farà si coprirà di vergogna di fronte alla storia, ai palestinesi, all'opinione pubblica europea e a quella araba.

Israele sta bombardando e decimando un ghetto. I figli di coloro che furono sterminati sono diventati sterminatori . Non c'è scusante per questo. Né vale la tesi che Israele ha diritto alla propria sicurezza. Chiunque è in grado di vedere che nessuno è oggi in grado di minacciare la sicurezza di Israele e la sua esistenza. Lo dice lo squilibrio delle forze in campo, lo dice il bilancio dei morti e dei feriti.

Lo dice l'appoggio che l'occidente continua a elargire a Israele. Questo eccidio non ha altro scopo che quello di impedire la creazione di uno stato palestinese. Così si uccide la pace. Per questo bisogna fermare Israele.

Giulietto Chiesa

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14 gennaio 2009

Vignetta del giorno.


Secondo l'organizzazione Save the Children, dal 27 dicembre al 12 gennaio l'esercito israeliano ha ucciso in media un bambino palestinese ogni due ore.

Il bilancio dell'operazione "Piombo Fuso" sale, al pomeriggio di oggi, a 1010 Palestinesi uccisi e a più di 4600 feriti, dei quali quasi 400 versano in gravissime condizioni: solo il garbo e la delicatezza dell'esercito israeliano potevano far sì che il nome a questa operazione di massacro di civili inermi fosse preso da una filastrocca per bambini ebraica.

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13 gennaio 2009

Consigliere comunale romano protesta contro il massacro di Gaza.


Dal sito forumpalestina riporto la notizia della protesta inscenata in Consiglio comunale a Roma dal consigliere Andrea Alzetta (Sinistra), espulso dall'aula dopo aver pacificamente protestato contro i crimini di guerra israeliani e il massacro della popolazione palestinese della Striscia di Gaza.

Il gesto dimostrativo di Alzetta merita un plauso e rappresenta senz'altro un esempio da seguire.

Sangue e bandiera palestinese in Campidoglio. Espulso un consigliere della sinistra perchè solidale con la popolazione di Gaza.


Roma
Il presidente del consiglio comunale di Roma, Marco Pomarici, subito dopo l'appello, per verificare la presenza in aula dei consiglieri, aveva appena dichiarato aperta la seduta che però è stata immediatamente sospesa perchè il consigliere Andrea Alzetta (Sinistra) ha chiesto ed ottenuto la parola per proporre, nel 17° giorno dell'operazione "piombo fuso", una mozione che affronti la questione sul massacro della popolazione palestinese ad opera dello Stato di Israele.


Imprescindibile per il consiglio comunale di "una città di pace - dice Alzetta - quale è Roma".


Il presidente Pomarici ha cercato subito di zittire l'irriverente consigliere richiamandolo più volte al rispetto dell'aula Giulio Cesare e facendo addirittura chiudere il microfono dal quale Tarzan (alias Andrea Alzetta) pronuncia le "sacrileghe parole". Niente da fare! Il consigliere "disobbediente" continua e, richiamato per la terza volta, viene espulso e invitato dallo stesso Pomarici ad abbandonare l'aula.


La seduta può riprendere ma a questo punto il leader di Action, censurato, decide di passare ai fatti: tra lo stupore dei consiglieri presenti in aula, versa alcune bottigliette contenenti del liquido rosso (probabilmente succo di pomodoro) sul pavimento dell'emiciclo, a simboleggiare il sangue dei palestinesi uccisi da Israele (ndr, ormai oltre 900), e avvolto nella bandiera palestinese si accovaccia al suolo.


Seduta che viene sospesa per l'ennesima volta per la convocazione di una riunione dei capigruppo sul da farsi. Dopo un'ora e mezza ( con il consigliere Alzetta che nel frattempo ha continuato la sua protesta pacifica) il presidente Pomarici riapre finalmente la seduta del consiglio comunale e annuncia che la seduta del successivo consiglio comunale (di giovedì 15 gennaio) sarà in parte dedicata alla questione mediorientale.


Una decisione che, con molta probabilità, non sarebbe mai stata presa se il consigliere Alzetta non avesse "turbato" gli scranni dell'aula Giulio Cesare.

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A morte gli amici di Hamas!


Dal blog amico di Miguel Martinez riporto una notizia che, peraltro, già da ore ha messo in allarme molti blogger italiani.

Un sito farneticante ha pubblicato sul web un cortese invito a rendere ogni notizia utile a far fuori gli attivisti dell'International Solidarity Movement (ISM) presenti nella Striscia di Gaza e, tra questi, anche il nostro Vittorio Arrigoni, alias guerrillaradio.

Accanto alla foto di Vittorio, che vedete, si può leggere: "Arrigoni è stato premiato da Hamas con una medaglia e attualmente sta facendo il lavoro di scudo umano per Hamas a Gaza. Forniamo questa foto in modo che l'Idf (l'esercito israeliano, n.d.t.) possa sperabilmente trovarlo e toglierlo di mezzo in modo permanente".

Forse cominciavano a scarseggiare i civili inermi da massacrare a Gaza, e queste brave persone hanno pensato bene di fornire all'esercito israeliano nuovi "terroristi" da eliminare.

I vaneggiamenti di un folle? Forse, o forse no.

Dopo le tante voci indignate per qualche simbolo di Israele bruciato o, nel recente passato, per le "liste di proscrizione" dei docenti ebrei in alcune università italiane, ci si aspetta identica indignazione in Italia per l'istigazione ad assassinare un nostro concittadino.

E ci si aspetta un intervento ed una ferma presa di posizione da parte del nostro ministro degli esteri; sempre che, nel frattempo, non sia andato nuovamente in vacanza...



Chiedono l'indirizzo di un cittadino italiano per ucciderlo

12.1.2009

Ewa Jasiewicz, giovane volontaria polacca dell'International Solidarity Movement (ISM), che ha avuto il coraggio di restare a Gaza per aiutare i feriti.

Il sito sionista Stop the ISM - messo in piedi da un certo Lee Kaplan [1] - ne pubblica la foto con questa spiegazione:

"A picture of Ewa is below. If you know of her exact location, please email us at info@StoptheISM.com so we can target and take her out once and for all."

In alternativa, sempre se volete farla uccidere, potete telefonare direttamente all'esercito israeliano:

"ALERT THE IDF MILITARY TO TARGET ISM

Number to call if you can pinpoint the locations of Hamas with their ISM members with them. From the US call 011-972-2-5839749. From other countries drop the 011."

Il sito presenta anche la foto del cittadino italiano, Vittorio Arrigoni.

Con questa precisazione, sostanzialmente corretta:

"WE DOUBT THE ITALIAN GOVERNMENT WOULD BE OVERLY CONCERNED BY THIS RECIVIDVIST ANARCHIST FOR HAMAS AND THE ISM AND HOPE HE BECOMES A TARGET FOR PERMANENT REMOVAL."

Il sito di Stop the ISM, forse per rendere più chiaro il messaggio, sottolinea come un sostenitore dell'ISM - Riad Hamad, un palestinese residente negli Stati Uniti - che era in lite con David Horowitz di Front Page Magazine, fosse stato trovato morto con le mani legate dietro la schiena.

[1] Lee Kaplan scrive per Front Page Magazine di David Horowitz - molto apprezzato negli ambienti della néoconnarderie italica - e dirige l'ufficio di comunicazioni di qualcosa che si chiama The United America Committee.

P.S. Il signore che invita a uccidere un cittadino italiano si autodefinisce così su Front Page Magazine:

"Lee Kaplan is an undercover investigative journalist and a contributor to Front Page Magazine. He is also a regular columnist for the Israel National News and Canada Free Press and a senior intelligence analyst and communications director for the Northeast Intelligence Network. He heads the organizations Defending America for Knowledge and Action (DAFKA) and Stop the ISM. He has been interviewed on over one hundred nationally and internationally syndicated radio shows and been a guest on Fox Cable TV’s Dayside with Linda Vester and Bill O’Reilly’s The Factor. He is a guest every Tuesday on the Jim Kirkwood Show on Utah's K-Talk Radio am630. He is currently working on a book about America's colleges in the War on Terror and the International Solidarity Movement."

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12 gennaio 2009

Non si può restare a guardare!


“Lo stato di Israele non ha mai accettato che fosse un organismo esterno a decidere del suo diritto di difendere la sicurezza dei propri cittadini”. “Le Forze di Difesa israeliane continueranno le operazioni volte a difendere i cittadini israeliani e per portare a termine gli obiettivi assegnati. (Ehud Olmert, in riferimento alla risoluzione 1860 del Consiglio di Sicurezza dell'Onu).

“Israele ha agito, agisce e agirà unicamente in base alle sue valutazioni, alla sicurezza dei suoi cittadini e al suo diritto all'autodifesa” (Tzipi Livni, ministro degli esteri di Israele).

E quando mai nella storia, Israele ha tenuto conto delle risoluzioni Onu? A parte quella che ne ha sancito la nascita, naturalmente...

Tra il momento in cui il Consiglio di Sicurezza ha preso in mano (si fa per dire...) la drammatica situazione nella Striscia di Gaza, a quello in cui ha partorito l'inutile risoluzione 1860, Israele aveva massacrato oltre 450 Palestinesi, in gran parte civili inermi.

Il bilancio sempre più drammatico dell'operazione "Piombo Fuso" - secondo quanto comunicato da fonti palestinesi - è salito oggi a 905 Palestinesi uccisi, tra i quali 277 bambini, 95 donne e 92 anziani; i feriti ammontano a oltre 3950
.


E l'obiettivo dei criminali nazisti israeliani, che all'inizio delle operazioni di "autodifesa" dichiaravano di voler soltanto interrompere il lancio di razzi qassam verso Israele, si è finalmente disvelato per quel che era fin dall'inizio, il rovesciamento della leadership di Hamas nella Striscia di Gaza, anche a costo di un bagno di sangue.
Bagno di sangue determinato dalle continue violazioni del diritto umanitario da parte dell'esercito israeliano, ivi incluso l'utilizzo di armamenti proibiti.

A fronte dell'inerzia della comunità internazionale e, in particolare, dell'incredibile, incondizionato appoggio fornito a Israele dal governo italiano, è sempre più urgente che l'opinione pubblica faccia sentire la sua voce per fermare quello che sempre più si va concretizzando come un vero e proprio genocidio del popolo palestinese.

Invito, quindi, i lettori del blog a firmare questa petizione-appello per Gaza.


NON SI PUO' RIMANERE A GUARDARE


C'è un modo per evitare il massacro di civili. C'è un modo per salvare il popolo palestinese. C'è un modo per garantire la sicurezza di Israele e del suo popolo. C'è un modo per dare una possibilità alla pace in Medio Oriente. C'è un modo per non arrendersi alla legge del più forte e affermare il diritto internazionale:

>CESSATE IL FUOCO IN TUTTA L'AREA


>RITIRO IMMEDIATO DELLE TRUPPE ISRAELIANE


>FINE DELL'ASSEDIO DI GAZA


>PROTEZIONE UMANITARIA INTERNAZIONALE


Facciamo appello a chi ha responsabilità politiche e a chi sente il dovere civile perché sia rotto il silenzio e si agisca. Le Nazioni Unite e l'Unione Europea escano dall'immobilismo e si attivino per imporre il pieno rispetto del diritto internazionale. L'Italia democratica faccia la sua parte.


Le nostre organizzazioni si impegnano, insieme a chi lo vorrà, per raccogliere e dare voce alla coscienza civile del nostro paese:


ACLI, ARCI, LEGAMBIENTE, CGIL, AUSER, LIBERA, RETE LILLIPUT, Associazione ONG Italiane - Piattaforma Medio Oriente, Fondazione Angelo Frammartino, Beati i Costruttori di Pace, FIOM, CGIL Funzione Pubblica, Un ponte per…, AIAB, CIES, GRUPPO ABELE, CIPAX - Centro Interconfessionale per la pace, Donne in Nero, A Sud, FAIR, Fairtrade Italia, Forum Ambientalista, UCODEP, Terres des Hommes International, Armadilla Onlus, SDL Intercategoriale, Tavola Sarda per la pace, Famiglia di Angelo Frammartino, Luigi Ciotti, Flavio Lotti, Luciana Castellina, Giuliana Sgrena, Enzo Mazzi - Isolotto Firenze, Luisa Morgantini, Vittorio Agnoletto, Giovanni Berlinguer, Sergio Staino, tanti gruppi locali, docenti, amministratori locali, pacifisti e pacifiste, cittadini e cittadine (un primo elenco è consultabile anche su www.arci.it)

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