21 novembre 2006

Una iniziativa a favore dei bambini palestinesi.

"Quando prendi la mano di un bimbo e lo avvicini ad uno strumento musicale, riconosci il diritto di ogni bambino a divertirsi, ad applicarsi in giochi e attività ricreative proprie della sua età, e a partecipare liberamente alla vita culturale e artistica".
Al Kamandjati (“il violinista”) è un’associazione no-profit francese creata nell’ottobre 2002 dal musicista palestinese Ramzi Aburedwan, cresciuto nel campo profughi di Al Amari, vicino a Ramallah, e diplomatosi presso il conservatorio di Angers, in Francia.
Scopo dell’associazione è quello di istituire scuole di musica destinate ai bambini palestinesi, in particolare per quelli che vivono in condizioni più disagiate, vale a dire i bambini dei campi profughi.
Al Kamandjati attualmente opera in numerosi campi profughi di Gaza, del West Bank e del Libano meridionale, in collaborazione con le istituzioni culturali locali e con varie ong palestinesi ed internazionali.
Qui di seguito riporto due appelli di questa benemerita associazione, uno relativo all’attività di raccolta di strumenti musicali e materiali didattici da destinare all’attività sociale, l’altro concernente una proposta di collaborazione con Al Kamandjati, diretta ad insegnanti di musica.
Resta inteso che, chi lo desidera, potrà sostenere finanziariamente l’associazione tramite il sito web della stessa (http://www.alkamandjati.com/).
Non facciamoci pregare!

1) A tutti gli amici, presenti e futuri, della Scuola di Musica Al Kamandjâti di Ramallah,
le attività proseguono incessantemente all'interno dei campi della Cisgiordania, di Gaza e del Libano.
Solo nell'ultimo anno 400 nuovi bambini si sono iscritti ai corsi gratuiti che insegnanti palestinesi e di varie nazionalità offrono loro.
Vicino alla sede di Ramallah sono stati concessi ad Al Kamandjâti due nuovi locali, dove si tengono le nostre lezioni e dove si stanno svolgendo attività di formazione di liutai che possano aiutare l'associazione a rimettere a punto gli strumenti che sono stati donati e possano contribuire alla loro conservazione.
Per continuare e sviluppare le nostre attività di formazione, continuiamo la raccolta di strumenti, che come avrete capito sono la base su cui costruire le iniziative di insegnamento gratuite.
Strumenti a corda e a fiato sono particolarmente preferibili, visto che la maggior parte degli insegnanti si sono formati con essi. Ma ovviamente non ci sono limitazioni in questo senso. Sono necessari inoltre spartiti, manuali di musica, CD e DVD musicali.
Vi sono diversi punti di raccolta coordinati dall’Università di Siena che, insieme all’associazione Prima Materia, si occupa di molte delle iniziative di supporto ad Al Kamandjâti in Italia. Singoli o istituzioni che desiderassero donare strumenti musicali nuovi o usati e materiale didattico (spartiti, leggii...), possono spedirli agli indirizzi indicati di seguito (le spese di spedizione sono a carico del donatore a cui è richiesto di inserire i propri dati anagrafici e l'indirizzo e-mail o il numero di telefono, affinché Al Kamandjâti possa informare direttamente i donatori sulla destinazione degli strumenti).
La raccolta andrà avanti fino al maggio 2007, quando tutti gli strumenti saranno spediti all'interno di un container. Vi saremmo grati se poteste diffondere il nostro progetto a tutti i vostri contatti, in particolare a scuole di musica e istituzioni musicali italiane che vogliano inviare musicisti in qualità di insegnanti all'interno dei workshops e dei corsi attivati da Al Kamandjâti, o che comunque siano interessate a stabilire contatti e rapporti di collaborazione.
Per l’anno 2006/2007 Al Kamandjâti cerca soprattutto nuovi professori di: Flauto traverso, Violino, Chitarra, Arpa, Percussioni occidentali, Pianoforte. Dettagli sull’offerta di lavoro sono disponibili sul sito www.alkamandjati.com o agli indirizzi e-mail che seguono.
Per tutti questi motivi vi preghiamo di diffondere questo messaggio il più possibile,
Cordiali Saluti,
Nicola Perugini e Marco Dinoi

Punti di raccolta di strumenti nuovi e usati:
§ Siena: Università degli Studi di Siena,
Facoltà di Lettere, via Roma 47, 53100 - Siena (all’att. di Marco Dinoi)
§ Milano: Lorenzo Rossi, Accordi - via Maddalena 20122; tel.: 334 6004157
§ Firenze: Paolo Sorgentone - Via Montebello 70 rosso, tel.: 055 287363
§ Arezzo: Marco Anedda - Via dell’ospedale, 6 Monterchi; tel.: 349 1456018
§ Napoli: Jens Norskov - Via Pasquale Scura, 45; tel.: 081 5513293
§ Roma: Punto Erbe - Via Illiria 16, 00183, Roma; tel.: 06 7008133 il.erbe@libero.it (Claudia e Alessandro).
Info Italia (sulla raccolta strumenti e le altre iniziative):tel.: 340 2798565
dinoi@unisi.it
Musicaperlapalestina@libero.it
Contatti Palestina-FranciaCeline: alkamandjati@yahoo.fr (risponde in francese e in inglese)http://www.alkamandjati.com/


2) Insegnare con Al Kamandjâti

L’associazione Al Kamandjâti, fondata nel 2002, ha come obiettivo la diffusione della musica nei campi di rifugiati palestinesi.(Informazioni: http://www.alkamandjati.com/)

Per l’anno 2006/2007 l’associazione Al Kamandjâti cerca nuovi professori di:

Flauto traverso, Violino, Chitarra, Arpa, Percussioni occidentali, Pianoforte

Descrizione degli impegni lavorativi:
- Orario di lavoro: 22 ore di lavoro settimanale (indicativo)
- Salario: 600 euro al mese (indicativo)
- Luogo: Territori palestinesi :
§ Centro Al Kamandjâti (Ramallah)
§ Locali dei partners dell’associazione
- Date: A partire da settembre 2006 - il musicista che sarà responsabile del workshop potrà stabilire con Al Kamandjâti la durata dello stesso: vi è la possibilità di organizzare seminari brevi e intensivi (durata due o tre settimane) o corsi più lunghi fino a tre mesi.

Formazione richiesta:
- Titolari di un diploma di Conservatorio riconosciuto a livello nazionale che abiliti all’insegnamento.

Informazioni supplementari:
- Biglietto aereo andata e ritorno: a carico dell’associazione
- Alloggio: a carico dell’associazione
- Spese di vita in loco: a carico del professore


Informazioni e contatti (in lingua inglese o francese)

Associazione Al Kamandjâti

Tel : 0033 06 32 90 57 71
Mail : alkamandjati@yahoo.fr
Contatti italiani:
Nicola Perugini: 338 4005751 - niper26@libero.it
Marco Dinoi: 340 2798565 - dinoi@unisi.it

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14 novembre 2006

Abbattiamo il Muro!

Riceviamo e pubblichiamo volentieri.

Il 9 novembre 1989 cadeva il Muro di Berlino, segnando un passaggio storico nel processo di integrazione europea che ha permesso lo sviluppo di una cooperazione reciproca nella politica, nell’economia e nella sicurezza. E’ stato scelto per questo come giorno di mobilitazione globale contro la strategia della separazione imposta dalla forza militare.

Nel giugno 2002 il governo di Israele ha avviato la costruzione di un Muro allo scopo di “ridurre il numero degli attentati terroristici” (1) di origine palestinese. Fonti ufficiali israeliane sostengono che il Muro, che sarà lungo 703 km. nella versione aggiornata al 30 aprile 2006, “non annette alcun territorio a Israele e non stabilisce alcun confine (…). La nostra speranza è che grazie alla costruzione della Barriera, la sua stessa funzione diventi irrilevante e che un giorno possa essere smantellata” (2).

D’altra parte, la presunta natura temporanea del Muro viene seriamente messa in discussione dal suo costo – almeno 3,4 miliardi di dollari secondo le stime della Commissione economica della Knesset (3) – oltre che dalle dichiarazioni ufficiali di autorità israeliane come il Primo Ministro Ehud Olmert (4) e l’ex Ministro della Giustizia Haim Ramon (5).

Di fatto, l’80% del tracciato del Muro penetra all’interno della Cisgiordania, attraversando città, tagliando villaggi, dividendo famiglie e separando intere comunità dai loro mezzi di sostentamento, dagli ospedali, dalle scuole, dai luoghi di culto. Più del 10% del territorio della West Bank, sul quale risiedono oltre 60.000 cittadini palestinesi, rimane ad ovest del Muro (6). Nel complesso, l’organizzazione non governativa israeliana B’tselem stima in 498.000 il numero dei Palestinesi danneggiati dalla costruzione del Muro (7).

Al 5 ottobre 2006, 406 km. di Muro sono stati edificati e resi operativi: il 58% del totale. Laddove attraversa aree urbane – circa il 10% del percorso, ma con la più alta densità demografica – il Muro è composto da blocchi di cemento armato alti da 6 a 9 metri. Nelle aree rurali, invece, il Muro assume la forma di una barriera larga da 50 a 80 metri e composta da vari elementi: filo spinato, trincea, rete metallica, sensori di movimento, pista di pattugliamento e striscia di sabbia per il rilevamento delle impronte (8).

Il 9 luglio 2004 la Corte Internazionale di Giustizia ha rilasciato un parere consultivo richiesto dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel quale conclude che “la costruzione del Muro da parte di Israele, potenza occupante, nei Territori Palestinesi Occupati, ivi compresa Gerusalemme Est, e il regime ad essa associato, sono contrari al diritto internazionale. (…) Israele è obbligato a porre fine alle violazioni del diritto internazionale di cui è responsabile; è tenuto a cessare immediatamente i lavori di costruzione del Muro sui Territori Palestinesi Occupati, ivi compresa Gerusalemme Est; (è inoltre tenuto) a smantellare senza ritardo l’opera situata in questo territorio e ad abrogare immediatamente, o privare di effetti, l’insieme degli atti legislativi e regolamentari che vi si riferiscono (9).

Le organizzazioni non governative che lavorano da anni per una soluzione pacifica del conflitto, l’assistenza umanitaria e lo sviluppo sostenibile, sono dirette testimoni dei gravi problemi sociali, politici, economici e culturali inflitti dal Muro, in maniera assolutamente indiscriminata, alla società civile palestinese.

In questa occasione le ONG italiane che lavorano nei Territori Occupati, accanto a quelle degli altri Paesi, tornano a chiedere agli Stati membri delle Nazioni Unite di rendere effettivo il parere reso dalla Corte Internazionale di Giustizia il 9 luglio 2004, vale a dire di:

a) riconoscere l’illegalità rappresentata dalla costruzione del Muro nei Territori Occupati Palestinesi, compresa Gerusalemme Est;
b) non fornire aiuto o assistenza per mantenere la situazione creata da tale costruzione;
c) assicurare il rispetto da parte di Israele del diritto internazionale codificato nella Quarta Convenzione di Ginevra.

Le ONG chiedono inoltre agli Stati membri delle Nazioni Unite e, in particolare, al governo italiano:

a) di mobilitarsi nelle sedi e nelle forme opportune per lo smantellamento di tutte le sezioni del Muro costruite all’interno dei Territori Palestinesi, per la revoca del regime discriminatorio di residenza e di passaggio stabilito dal governo israeliano e per il rispetto della legalità internazionale;
b) di affrontare i problemi sollevati dal Muro come un caso politico che richiede interventi strutturali a livello diplomatico, oltre che umanitario;
c) di opporsi con maggiore fermezza al metodo unilaterale adottato dal governo israeliano nella definizione del confine tra Israele e i Territori Palestinesi, proponendo opportunità di dialogo che riconoscano i ruoli di tutte le parti in causa.

Sottoscrivono:
ICS
– Consorzio Internazionale di Solidarietà Overseas
Movimondo
AISPO
GVC
– Gruppo di Volontariato Civile Ricerca e Cooperazione
EducAid Terres des Hommes ITALIA
VIS
– Volontariato Internazionale per lo Svilupo CIC – Centro Internazionale Crocevia
Centri Rousseau / Vento di Terra UCODEP
COOPI
– Cooperazione Internazionale ACS – Associazione di Coop.ne Sv.
CRIC – Centro Regionale Cooperazione Internazionale
COSPE – Cooperazione per lo Sviluppo dei Paesi Emergenti

(1) http://www.securityfence.mod.gov.il/Pages/ENG/default.htm Consultato il: 3 novembre, 2006.
(2)
http://www.securityfence.mod.gov.il/Pages/ENG/questions.htm Consultato il: 3 novembre, 2006.
(3) UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (UN-OCHA), The Humanitarian impact of the West Bank Barrier on Palestinian Communities, Update 5, March 2005.
(4) 10 marzo 2006 - “Credo che in quattro anni Israele si sarà disimpegnato dalla maggioranza della popolazione palestinese, all’interno di nuovi confini e con il percorso della Barriera - che finora è stata una Barriera di sicurezza – allineato al confine permanente” ha detto (il premier).
http://www.eurojewcong.org/ejc/news.php?id_article=390 Consultato il: 4 novembre2006.
(5) 11 luglio 2005 – La Barriera di Separazione a Gerusalemme è destinata ad assicurare una maggioranza ebraica nella città e non solo a prevenire attentati suicidi. E’ quanto ha ammesso lunedì scorso un membro del governo israeliano. Haim Ramon, Ministro per la Questione di Gerusalemme, ha confermato alla radio israeliana le affermazioni palestinesi che il tracciato della Barriera è frutto di considerazioni demografiche, e non solo di sicurezza.
http://www.sfgate.com/cgi-bin/article-cgi?file=/n/a/2005/07/11/international/i073139D24.DTL
http://aljazeera.com/me.asp?service_ID=9208
(6) UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (UN-OCHA), Preliminary Analysis of the Humanitarian Implications of the April 2006 Barrier Projections, Update 5, July 2006.
(7)
http://www.btselem.org/english/Separation_Barrier/Statistics.asp Consultato il: 4 novembre, 2006.
(8) UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (UN-OCHA), The West Bank Barrier, October 2006.(9) Corte Internazionale di Giustizia, Parere Consultivo reso il 9 luglio, 2004, Par.163.

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7 novembre 2006

Gli ipocriti appelli per la pace in Palestina.

Fino a ieri mattina, l’offensiva dell’esercito israeliano nella Striscia di Gaza denominata “Nubi d’autunno” (che fa seguito alle “Piogge estive”, che fantasia questi assassini!) aveva fatto ben 45 morti (ma già oggi, secondo Ha'aretz, i morti sono saliti a 62), di cui almeno 27 civili disarmati e, tra questi, due donne e dieci bambini; in aggiunta, almeno 184 Palestinesi sono rimasti feriti, tra cui 46 donne e 50 bambini.
Un massacro di questa portata – se fosse stato compiuto da soldati diversi dai macellai ebrei in divisa – avrebbe senz’altro provocato vibrate proteste e denunce da parte della comunità internazionale.
Trattandosi di Israele, invece, il bagno di sangue di Beit Hanoun e dintorni ha suscitato delle reazioni incredibilmente blande ed ipocrite, se non al limite della giustificazione, ma a tutto questo, alla ferocia dei lanzichenecchi di Tsahal e alla totale impunità di Israele, siamo ormai purtroppo abituati.
Certamente non può sorprendere la posizione dell’Amministrazione Bush, tra criminali ci si comprende benissimo; così il portavoce del Dipartimento di Stato, Sean McCormack, ha potuto tranquillamente dichiarare che la colpa di quanto sta accadendo ricade in primo luogo sui Palestinesi stessi, a causa dei “continui attacchi ad Israele dalle aeree controllate dall’Autorità Palestinese”: dunque si lascino massacrare senza lamentarsi!
Sorprende molto più, e dispiace, la posizione dell’Unione europea per voce della Presidenza di turno finlandese (ma dichiarazioni ufficiali del medesimo tenore sono state rilasciate anche da singoli Paesi della Ue), dove si riconosce il diritto di Israele a difendersi, “anche se ciò non giustifica l’uso sproporzionato della violenza o le azioni contrarie al diritto umanitario internazionale”, e si richiama la leadership palestinese a “porre fine alle attività terroristiche, incluso il lancio di razzi sul territorio israeliano”.
C’è davvero da rimanere sbigottiti!
Vi è un Paese che manda il proprio esercito di assassini super-armati a porre sotto stato d’assedio una cittadina di 30.000 abitanti, concedendo solo un paio d’ore ai civili per rifornirsi di cibo e di acqua, a compiere arresti di massa assolutamente ingiustificati, a trucidare decine di persone innocenti, compresi donne e bambini, e anziché chiedere ad Israele di ritirare subito i suoi macellai e imporre sanzioni internazionali a questo Stato fuorilegge, si chiede all’Anp di “porre fine alle attività terroristiche”?
Come possono mettersi minimamente a confronto il lancio di pochi razzi artigianali con i raid aerei, i bombardamenti indiscriminati e le azioni terrestri di Tsahal?
Al proposito, basterà ricordare i dati presentati dal Commissario generale dell’UNRWA, Karen Koning Abuzayd, all’ultima riunione del Quarto Comitato dell’Onu, secondo cui – nel periodo compreso tra il mese di luglio e la fine di settembre – la Striscia di Gaza ha sostenuto ben 5.300 colpi d’artiglieria e oltre 290 raid aerei, contro 424 razzi Qassam sparati contro Israele, razzi che, giova ricordare, non hanno provocato alcuna vittima.
Ma in quale pianeta vivono tutti costoro? Come si può essere determinato un così diabolico ribaltamento della realtà per cui i civili innocenti non solo non vengono difesi, ma sono persino rimproverati per essere causa della loro stessa disgrazia?
Persino il Papa, durante l’Angelus, ha fatto cenno alla tragedia palestinese, ma con parole insopportabilmente generiche ed “equidistanti”, esprimendo “la propria vicinanza alle popolazioni civili che soffrono le conseguenze degli atti di violenza” e chiamando Israeliani e Palestinesi alla “ripresa di un negoziato diretto, serio e concreto”.
Ma che parole sono queste? Quali sono le “popolazioni civili” che soffrono?
Perché nemmeno il Papa non può o non vuole chiamare le cose con il loro nome, e condannare con fermezza i crimini di Israele e del suo esercito di infami?
Perché parlare genericamente di “popolazioni civili” quando a morire sono solo i Palestinesi, donne, scolaretti, ragazzine, infermieri, anziani, civili innocenti e indifesi, eroici militanti male armati chiamati a difendere la propria terra e a morire davanti ad uno degli eserciti meglio armati del mondo?
E come dimenticare che sono proprio Israele ed il suo premier Olmert a rifiutare ogni dialogo con i Palestinesi, con la solita scusa che non vi è un “partner” con cui discutere di pace?
Certo che non esiste un partner che sappia parlare di pace, ma in campo israeliano, dove prevalgono i predoni e gli assassini!
In casa nostra, invece, sulla tragedia del popolo palestinese è calato un silenzio di tomba.
E’ ben noto a tutti che nell’eterogenea coalizione di centro-sinistra che sostiene Prodi vi sono forze politiche non irrilevanti che continuano a sostenere e ad appoggiare Israele, ed alcuni non si sa bene come riescano a conciliare la propria ispirazione cattolica con i massacri perpetrati da questo Paese “amico”.
Ma come è possibile che si sia passati dalla proposta di D’Alema, sia pure estemporanea, di inviare anche a Gaza una forza di interposizione Onu al nulla più assoluto?
Eppure le azioni possibili e le pressioni attuabili vi sono, eccome.
Esiste un trattato commerciale tra la Ue e Israele, che impegna le parti contraenti – in base a quanto disposto dall’articolo 2 - al “rispetto dei diritti umani … cui si ispira la loro politica interna ed internazionale e che costituisce elemento essenziale dell’accordo”: si potrebbe cominciare con il denunciare tale trattato, per manifesta violazione del citato articolo 2.
Esiste, soprattutto, un accordo militare tra Italia ed Israele che rende il nostro Paese, di fatto, complice di uno potenza occupante barbara e spietata, in spregio al ripudio generale della guerra che pure informa la nostra Costituzione: si potrebbe cominciare con il denunciare tale accordo.
Abbiamo bisogno di vedere fatti concreti, abbiamo bisogno di vedere all’opera quei tanti deputati della sinistra che pure, a parole, si dichiarano a fianco del popolo palestinese e della sua lotta di liberazione.
Gli equilibrismi dialettici e gli appelli alla pace generici e, per ciò stesso, ipocriti, lasciamoli pure al Papa.

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