28 ottobre 2011

Di nuovo in Italia Noa, l'ipocrita e falsa "pacifista"

Al pari di una periodica calamità naturale, giunge in questi giorni in Italia la cantante israeliana Achinoam Nini, in arte Noa, per rappresentare ancora una volta la farsa ripugnante di un’artista che dedica la sua vita, oltre che alla musica, al dialogo e alla pacifica convivenza tra Israeliani e Palestinesi.

Sono previsti, infatti, concerti della cantante il 28 ottobre all’Abbazia di Staffarda a Revello (ore 20:45), il 30 ottobre all’Auditorium Santa Chiara di Trento (ore 21:00) e il 25 novembre al Teatro Duni di Matera.

A Revello, in particolare, Noa con il suo concerto chiuderà la rassegna “La Santità sconosciuta – Piemonte Terra di Santi”, e ciò in quanto – a detta degli organizzatori – “in un’edizione dedicata alla pace e al dialogo interreligioso, la presenza di Noa non può che essere una scelta logica e coerente, in base all’impegno sociale e civile di quest’artista”.

Ora, tutto questo sarà pure logico e coerente, ma io ho ben impressa nella mente – e difficilmente la dimenticherò – un’immagine ben diversa di Noa, quella di una falsa e ipocrita “pacifista” che, nel bel mezzo dell’operazione israeliana “Piombo Fuso”, esattamente l’8 gennaio del 2009, ebbe il coraggio di scrivere ai Palestinesi di Gaza, massacrati dai bombardamenti, di augurare loro non la fine dell’infame aggressione israeliana e un immediato cessate il fuoco, ma “che Israele faccia il lavoro che tutti noi sappiamo deve essere fatto, e VI LIBERI definitivamente da questo cancro … oggi chiamato Hamas”.

Oggi tutti sappiamo bene come è andata a finire, Israele non è riuscita a liberare la Striscia di Gaza dal “cancro” di Hamas, ma in compenso è riuscita a “liberarla” da oltre 1.400 Palestinesi, massacrati con ogni tipo di arma ivi incluse quelle proibite dal diritto umanitario; l’83,3% degli uccisi erano civili inermi e indifesi, tra essi 352 bambini (dati: Palestinian Centre for Human Rights e Defence for Children International).

E con incredibile faccia tosta, qualche giorno dopo, Noa assicurava la propria partecipazione ad un evento benefico in favore dei bambini di Gaza previsto a Tel Aviv per il 23 gennaio: dopo aver elogiato il massacro dei genitori si proponeva come cantante “benefica” per gli orfani di Gaza!

Mi piace ricordare che il compianto Juliano Mer Khamis (una vita la sua davvero dedicata alla pace!), nel promuovere una petizione contro la partecipazione di Noa all’evento di beneficenza, si era così rivolto a Noa: “Non c’è limite alla tua ipocrisia, Noa. Tu hai sostenuto la guerra che ha reso orfani questi bambini, e ora vuoi giocare a “Madre Teresa” ed aiutarli? Come puoi essere così cinica? Migliaia di bambini sono stati menomati fisicamente ed emotivamente per il resto della loro vita in una guerra che non solo non hai contestato, ma che hai apertamente giustificato. Forse riuscirai ad accrescere la tua popolarità e cercherai di lavarti le mani insanguinate facendo notizia sulle spalle di questi bambini, ma non sarai in grado di pulire la tua coscienza sporca”.

E, da allora e ancora adesso, Noa continua a riproporsi come alfiere del dialogo e della pace tra Israeliani e Palestinesi, al pari del “trio delle meraviglie” Grossman-Yehoshua-Oz e di quanti altri vanno in giro per il mondo a spacciare un’immagine di Israele come di un Paese che non vorrebbe altro che deporre le armi e vivere in pace con i suoi vicini, impossibilitato a farlo perché costantemente minacciato nella sua “sicurezza”.

Siamo stanchi di questi “pacifisti” che, in vita loro, non hanno mai criticato – ed anzi hanno sempre apertamente appoggiato – tutti i vari massacri che l’esercito israeliano ha compiuto in questi anni, da Gaza al Libano, limitandosi successivamente a battersi il petto e a invocare il cessate il fuoco, omettendo di denunciare i crimini dei valorosi soldati di Tsahal, mettendo sullo stesso piano l’occupante e l’occupato, gli assassini e le vittime massacrate.

Non è un caso che Israele mandi in giro per il mondo questi “alfieri” – non della pace ma della più becera propaganda sionista – a lustrare al meglio la propria immagine, mentre personalità del calibro di Ilan Pappe o di Norman Finkelstein vengono trattati alla stregua di appestati o di pericolosi “infiltrati”, creando per loro una categoria unica al mondo, quella degli Ebrei “che odiano sé stessi”!

E’ per questo che concordo pienamente con l’iniziativa prevista oggi a partire dalle ore 19:00, con un presidio con volantini e striscioni davanti all’Abbazia di Staffarda a Revello (circa un’ora e mezzo da Torino), promossa da Indymedia Piemonte.

Chi non si trovasse esattamente da quelle parti, potrà ripiegare sull’iniziativa promossa su Facebook dall’International Solidarity Movement – Italia, dal titolo “Manifestazione elettronica a Noa che non è benvenuta in Italia!”. Ricordo che, sul “caso Noa”, l’ISM ha anche pubblicato un apposito documento che vale la pena di leggere, per non dimenticare mai qual è il vero volto di questa “pacifista”.

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26 ottobre 2011

Il maggior sindacato degli insegnanti del Regno Unito chiede la scarcerazione dei minori palestinesi


Dal giorno in cui è avvenuto lo scambio di prigionieri che ha portato alla liberazione del soldato israeliano Gilad Shalit, si moltiplicano gli appelli ad Israele e alla comunità internazionale affinché venga assicurata la liberazione anche dei 164 Palestinesi di età inferiore ai 18 anni attualmente detenuti nelle carceri israeliane.

In prima fila in questa battaglia per la riaffermazione dei diritti violati dei giovani palestinesi vi è senza dubbio una parte rilevante della politica e della società civile del Regno Unito.

Il 18 ottobre scorso, alcuni parlamentari della Camera dei Comuni hanno presentato una mozione di sostegno all'appello che l'Unicef ha rivolto al governo israeliano affinché liberi i minori palestinesi attualmente in regime di detenzione militare, ricordando come la Convenzione sui Diritti del Fanciullo preveda che "la detenzione dei minori dovrebbe essere utilizzata solo come misura di ultima istanza e per l’appropriato periodo di tempo più breve”. La mozione è stata sottoscritta ad oggi da ben 34 parlamentari, in gran parte militanti nelle fila del Labour.

Il 19 ottobre, la National Union of Teachers (NUT), il maggiore tra i sindacati degli insegnanti del Regno Unito con oltre 250.000 tesserati, ha rilanciato il medesimo appello per il rilascio di tutti i detenuti palestinesi di minore età attualmente rinchiusi nei centri di detenzione israeliani.

Alla data del 1° ottobre di quest'anno, nelle carceri israeliane si trovano 164 ragazzi palestinesi di età compresa tra i 12 e i 17 anni. La maggior parte di questi ragazzi sono accusati di lancio di pietre. Frequenti sono i rapporti che continuano ad essere ricevuti circa i maltrattamenti e le torture inflitti ai minori nel sistema giudiziario militare israeliano, così come riguardo alla negazione di diritti fondamentali, quali il rapido accesso all'assistenza di un avvocato, all'essere informati del diritto a rimanere in silenzio e di ottenere che un genitore sia presente durante l'interrogatorio. Christine Blower, Segretario Generale della NUT, ha accolto con favore la recente decisione delle autorità militari israeliane di elevare il limite della maggiore età nei tribunali militari da 16 a 18 anni, in linea con gli standard internazionali, ma ha osservato come nessun minore sia stato incluso nel recente rilascio di prigionieri del 18 ottobre 2011.

L'appello della NUT ai propri associati segue gli appelli similari lanciati dall'Unicef e da membri del Parlamento europeo e di quello del Regno Unito.

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20 ottobre 2011

I 164 minori palestinesi prigionieri nelle carceri israeliane devono essere immediatamente rilasciati

Quella che segue è la dichiarazione ufficiale dell'eurodeputato laburista di Dublino Proinsias De Rossa, ove si chiede l'immediata scarcerazione dei minori palestinesi ancora vergognosamente detenuti, e torturati, in carceri situate all'interno di Israele.

Martedì, 17 ottobre 2011. L'europarlamentare laburista irlandese Proinsias De Rossa, Presidente della Delegazione per la Palestina del Parlamento Europeo (DPLC), ha ribadito il suo appello per il rilascio di tutti i prigionieri palestinesi minorenni detenuti nelle carceri israeliane. Secondo le statistiche dell'amministrazione carceraria israeliana vi sono attualmente 164 ragazzi detenuti di età compresa tra i 12 e i 17 anni, trentacinque dei quali hanno meno di 15 anni. Settantasei di questi ragazzi stanno scontando una condanna e i rimanenti 88 sono detenuti in regime di carcerazione preventiva. I giovani sono accusati per lo più di lancio di pietre.

Il potenziale positivo dello scambio di prigionieri attualmente in corso potrebbe essere notevolmente aumentato qualora questi giovani venissero rilasciati senza condizioni. Per Israele questo costituirebbe non solo un ritorno al rispetto del diritto internazionale ma anche un generoso gesto umanitario che rafforzerebbe la sua reputazione a livello mondiale e nella regione.

Ogni anno circa 700 minori palestinesi della Cisgiordania vengono processati nei tribunali militari israeliani a seguito di un arresto da parte dell'esercito israeliano. Si stima che dal 2000 oltre 7.500 ragazzi palestinesi siano stati arrestati e processati. Inoltre esistono rapporti credibili su maltrattamenti durante l'arresto e la detenzione preventiva ( http://www.dci-palestine.org/content/child-detention).

Detenere i minori, processarli davanti a tribunali militari e maltrattarli è nettamente in contrasto con la Convenzione di Ginevra sul trattamento dei minori da parte di una potenza occupante.

Chiedo agli Stati membri dell'Unione europea e all'Alto Rappresentante della Ue Sig.ra Cathy Ashton di sollevare la questione con le autorità israeliane nel contesto dei contatti in corso per cercare di far ripartire i negoziati sullo status definitivo e invio in copia questo appello al Primo Ministro Netanyahu tramite l'ambasciatore israeliano presso la Ue a Bruxelles.

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18 ottobre 2011

Appello dell'Unicef per la liberazione dei minori palestinesi detenuti in Israele



Nei giorni in cui si viene a concretizzare la prima fase dello scambio di prigionieri tra Hamas ed Israele, che prevede la liberazione di Gilad Shalit e di 1.027 Palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, molti notano con rammarico come – quanto meno in questa prima fase – non sia previsto il rilascio di alcuno degli oltre 160 ragazzini palestinesi attualmente detenuti in Israele.

Sono esattamente 164, infatti, i Palestinesi minori di 18 anni rapiti (loro sì, altro che Shalit…) nel cuore della notte dai loro letti e dalle loro case e buttati a languire dentro le carceri israeliane, in violazione di svariate norme e convenzioni internazionali.

E ben 35 di loro hanno un’età compresa tra i 12 e i 15 anni

Gerusalemme, 17 ottobre 2011. Oggi l’Unicef, a seguito dell’annuncio del rilascio di prigionieri palestinesi come parte di un accordo per uno scambio di prigionieri, ha lanciato un appello al governo israeliano affinché liberi tutti i giovani palestinesi attualmente in stato di detenzione militare da parte di Israele.

Alla data del 1° ottobre, erano 164 i Palestinesi di età inferiore a 18 anni detenuti dalle autorità israeliane, la maggior parte dei quali con l’accusa di aver lanciato pietre. Non è chiaro se la lista dei 1.027 prigionieri palestinesi che verranno rilasciati in due fasi includa dei minori.

“L’Unicef chiede al governo israeliano di rilasciare i giovani palestinesi detenuti in modo che possano riunirsi alle loro famiglie”, ha dichiarato Jean Gough, Rappresentante Speciale dell’Unicef nei Territori palestinesi occupati. “Come stabilito dalla Convenzione sui Diritti del Fanciullo, la detenzione dei minori dovrebbe essere utilizzata solo come misura di ultima istanza e per l’appropriato periodo di tempo più breve”.

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Liberati Gilad Shalit e 477 prigionieri palestinesi






Dopo 1.941 giorni nelle mani di Hamas, Gilad Shalit è tornato a casa: le prime immagini di Gilad Shalit scortato dal personale della sicurezza presso un terminal in Egitto sono state trasmesse martedì dalla televisione egiziana. Lo si è visto camminare, apparentemente in buona salute.

“Gilad Shalit è a casa” ha detto il portavoce del comando dell’esercito israeliano poco dopo che le immagini erano state trasmesse. Il generale di brigata Yoav Mordechai ha fatto l’annuncio in diretta televisiva al valico di frontiera di Kerem Shalom, tra Israele e l’Egitto, mentre Shalit entrava in Israele.

Tra coloro che, nel video, accompagnavano Shalit vi era anche Ahmed Jabari, il capo dell’ala militare di Hamas. In precedenza, uno dei leader di Hamas nella Striscia di Gaza aveva confermato la consegna di Shalit all’Egitto da parte del gruppo, come parte dello scambio di prigionieri con Israele.

In un messaggio scritto, Mahmoud Zahar aveva dichiarato che il suo gruppo non deteneva più Shalit. Funzionari palestinesi a Gaza hanno dichiarato che nelle prime ore di martedì un Suv ha portato velocemente Shalit al di là della frontiera ed ha fatto subito ritorno a Gaza.

Il portavoce di Hamas Fauzi Barhoum ha dichiarato ad al-Jazeera che la prima fase dello scambio di prigionieri “è stata completata con successo”.

Dal lato israeliano del confine, tutti i 477 prigionieri che si era stabilito venissero rilasciati nell’ambito della prima fase dell’accordo su Shalit sono stati consegnati nei punti di incontro stabiliti con la Croce Rossa.

Gli autobus con a bordo i prigionieri che dovranno essere deportati in Egitto e all’estero sono entrati in territorio egiziano. Inoltre alcuni autobus hanno anche lasciato la prigione di Ofer, nei pressi di Gerusalemme, con a bordo i prigionieri destinati ad essere rilasciati in Cisgiordania.

Dei prigionieri rilasciati in questa prima fase, in particolare, 96 saranno autorizzati a tornare nelle loro case in Cisgiordania e 131 nella Striscia di Gaza; il resto purtroppo non godrà di questa possibilità e, tra loro, 40 verranno deportati in Qatar e in Turchia. Ventisette saranno le donne rilasciate, vale a dire tutte quelle detenute per motivi di sicurezza.

Parallelamente, al valico di Taba, dovrebbe avvenire lo scambio tra la spia israeliana Ilan Grapel e gli 81 prigionieri egiziani in atto detenuti nelle carceri israeliane.

La prima tappa di Gilad Shalit una volta tornato in Israele sarà presso la base dell’Idf ad Amital, dove potrà finalmente contattare la sua famiglia e sottoporsi ad esami medici. Successivamente, verrà trasferito alla base aerea di Tel Nof, dove Shalit incontrerà il primo ministro Benjamin Netanyahu, il ministro della difesa Ehud Barak e il capo di stato maggiore dell’Idf Benny Gantz e, infine, potrà riabbracciare la sua famiglia.

(fonte: Ynet e Jpost)

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13 ottobre 2011

Sostegno ai prigionieri palestinesi in sciopero della fame

Naturalmente quella dell’accordo concluso tra Israele e Hamas per la liberazione di Gilad Shalit è una notizia che non può non essere accolta con gioia da tutti (o quasi tutti, visto che qualcuno avrebbe voluto che venisse dichiarato morto…), sia perché Shalit tra pochi giorni ritornerà libero dopo più di cinque anni di prigionia, sia perché – in fasi successive – verranno anche liberati 1.027 degli oltre 5.200 prigionieri palestinesi che, alla data del 31 agosto di quest’anno, ancora languivano nelle carceri israeliane (fonte: B’Tselem).

E, tuttavia, da’ un certo senso di fastidio la copertura mediatica fornita alla liberazione del soldato “rapito” dai cattivi di Hamas, l’enfasi sulla durata della sua prigionia, indicata in giorni – 1.935 – così fa più effetto, l’entusiasmo declinato persino nei comunicati ufficiali di governi e istituzioni sovranazionali, a cominciare dalla Ue.

Perché altrettanta copertura mediatica e altrettanta trepidazione non si è avuta mai per la sorte delle migliaia di prigionieri palestinesi che languono anche da diversi decenni nelle carceri israeliane, per i 272 prigionieri in detenzione amministrativa – senza alcuna accusa né alcun processo, per i 164 minori rapiti nel cuore della notte e sbattuti nelle galere israeliane, 35 dei quali di età compresa tra i 12 e i 15 anni.

E, del pari, quasi nessuna copertura mediatica – in Israele come in tutto il mondo occidentale – ha ricevuto lo sciopero della fame iniziato il 27 settembre da poco più di cento prigionieri palestinesi e oggi portato avanti da oltre trecento di essi, per protestare contro le condizioni di detenzione, indegne di un paese civile quale si picca di essere Israele.

Uno sciopero volto soprattutto a esigere la fine della detenzione in regime di isolamento di tutti i prigionieri politici palestinesi e, in particolare, di Ahmad Sa’adat, il Segretario generale del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, rapito illegalmente (lui sì!) da un carcere dell’Anp il 13 marzo del 2006.

Negli ultimi anni, infatti, le condizioni in cui i prigionieri palestinesi vengono trattati all’interno delle prigioni israeliane è costantemente e sensibilmente peggiorato, fino al punto da configurare una vera e propria punizione collettiva. Tali condizioni di detenzione violano i diritti fondamentali dei prigionieri, riconosciuti dalle convenzioni internazionali e persino dalla stessa legge israeliana.

Rimandando agli aggiornamenti sullo sciopero al sito web dedicato alla campagna per la liberazione di Ahmad Sa’adat nonché, in italiano, alle belle pagine del blog “Da Gaza – boicotta israele”, qui di seguito riporto il testo dell’appello che le associazioni per i diritti umani Physicians for Human Rights – Israel, Adalah e Al-Mezan hanno pubblicato a sostegno dei diritti e delle istanze dei prigionieri palestinesi, denunciando le condizioni disumane della loro detenzione.

Physicians for Human Rights – Israel, Adalah e Al-Mezan sostengono le richieste dei prigionieri palestinesi in sciopero della fame – 29.9.2011

Martedì, 27 settembre 2011, più di cento prigionieri palestinesi hanno iniziato uno sciopero della fame a tempo indeterminato per protestare contro le politiche del governo israeliano intenzionalmente lesive nei loro confronti, tra cui le dure condizioni di detenzione ed il trattamento collettivamente ostile.

E’ previsto che lo sciopero della fame continui fino a che tutte le richieste dei prigionieri non saranno soddisfatte o “fino alla perdita della vita”. Al centro di queste richieste vi è l’abolizione della misura dell’isolamento prolungato, incluso quello di Ahmad Sa’adat, il Segretario generale del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP). Un gruppo a parte di prigionieri ha deciso di astenersi dal mangiare tre giorni alla settimana fino a quando queste richieste non saranno soddisfatte.

Le autorità e il governo israeliani negli ultimi anni hanno peggiorato le condizioni di detenzione dei prigionieri palestinesi. Le misure adottate hanno incluso pratiche di punizione collettiva, in violazione dei principi costituzionali fondamentali radicati nella legge israeliana e nel diritto internazionale. L’abuso collettivo dei prigionieri palestinesi si è intensificato, ed è stato ancorato a nuove leggi e disposizioni draconiane. Queste hanno portato i prigionieri a ritenere che uno sciopero della fame, che potrebbe mettere in pericolo le loro vite, costituisca la loro ultima possibilità di ottenere un cambiamento.

Le politiche adottate dalle autorità israeliane includono:

- L’isolamento prolungato, soprattutto dei leader politici. La detenzione in isolamento è un trattamento crudele, disumano e degradante che può causare gravi e in alcuni casi irreversibili danni fisici e psicologici.

- La violazione di diritti fondamentali come il diniego della assistenza legale durante gli interrogatori, la limitazione del sindacato giudiziario delle procedure di arresto e di interrogatorio.

- La detenzione dei prigionieri palestinesi provenienti dai Territori palestinesi occupati (Tpo) in strutture situate all’interno di Israele in violazione del diritto internazionale umanitario.

- L’impedimento negli ultimi cinque anni di tutte le visite dei familiari dalla Striscia di Gaza, e di alcune dalla Cisgiordania; l’imposizione di ostacoli burocratici alle visite dei familiari, che equivalgono a vessazioni.

- Le punizioni severe e sproporzionate durante il periodo di detenzione in carcere, tra cui l’isolamento punitivo, le multe, il diniego delle visite dei familiari, il diniego del diritto di acquistare cibi alla mensa della prigione, ed altro ancora.

- Le perquisizioni giornaliere nelle celle con l’uso della forza, le perquisizioni effettuate facendo spogliare completamente le persone e le umilianti perquisizioni corporali, nonché le perquisizioni similari dei familiari in visita.

- L’incatenamento di mani e gambe dei prigionieri durante le visite di familiari e avvocati, e durante le cure mediche negli ospedali.

- Il diniego del diritto di istruzione durante la detenzione in carcere.

- Il blocco di canali televisivi, il diniego di libri, giornali e altre pubblicazioni.

- L’imposizione delle divise nonostante i prigionieri si definiscano come prigionieri politici e non criminali.

Le sottoscritte organizzazioni per i diritti umani esprimono la loro preoccupazione per il deterioramento delle condizioni dei prigionieri palestinesi e sono del parere che le loro richieste siano giustificate. Il loro diritto all’autonomia del proprio corpo e della propria vita non dovrebbe essere negato in conseguenza della reclusione, una pena detentiva non può servire come scusa per la negazione di diritti fondamentali.

Le tre organizzazioni invitano il Servizio delle Carceri israeliano (IPS) a non danneggiare o punire i prigionieri in sciopero. Sottolineano che la responsabilità professionale ed etica di coloro i quali sono incaricati dei servizi medici all’interno dell’IPS è di prendersi cura della salute dei loro pazienti – i prigionieri. I medici che assistono i prigionieri in sciopero della fame devono monitorare le loro condizioni di salute su base individuale e prendersi cura di ogni prigioniero quando necessario, sulla base del consenso del paziente. Inoltre, deve essere concesso il permesso di entrata a medici indipendenti che godono della fiducia dei prigionieri e delle loro famiglie, al fine di poterli visitare – secondo le istruzioni della WMA (World Medical Association, n.d.t.).

Progetto finanziato dall’Unione Europea

Progetto comune di Adalah, Al-Mezan (Gaza) e Physicians for Human Rights – Israel

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12 ottobre 2011

Contro l'islamofobia, a sostegno degli 11 di Irvine

La grande democrazia americana – secondo quanto ci raccontano – dovrebbe essere il luogo, più di tutti gli altri al mondo, in cui la libertà di espressione assume un valore quasi sacrale. Ma non sempre è così, quanto meno non è così quando ci si trova ad avere a che fare con Israele e quando si professa una certa religione.

Come forse pochi sanno, lo scorso 8 settembre è iniziato il processo agli undici studenti le cui proteste interruppero il discorso che l’ambasciatore israeliano negli Usa stava tenendo alla University of California di Irvine.

Gli undici ragazzi – ormai noti come gli “11 di Irvine” – oltre ad essere stati espulsi dall’ateneo, sono stati incriminati per avere ripetutamente interrotto per protesta il discorso che Michael Oren stava tenendo al campus della loro università l’8 febbraio del 2010. Secondo l’accusa, gli studenti avrebbero violato il diritto di espressione di Oren, interrompendone il discorso con una azione premeditata e concertata.

Naturalmente, in ogni altra controversia di questo tipo, gli avvocati difensori avrebbero avuto buon gioco ad affermare che anche gli studenti incriminati godono dello stesso diritto di espressione, che essi non intendevano affatto interrompere il discorso dell’ambasciatore, che infatti è stato sospeso solo per una ventina di minuti, che forme di protesta analoghe sono usuali all’università di Irvine come in altre università in tutto il mondo.

Gli studenti, infatti, si erano limitati ad alzarsi, uno per volta, e a scandire slogan del tipo “Michael Oren, propagandare l’assassinio non è un’espressione della libertà di parola”. Va ricordato, in proposito, che il 2 giugno Oren aveva scritto un “op-ed” per il New York Times, nel quale aveva pienamente giustificato il massacro dei nove attivisti turchi a bordo della Mavi Marmara ad opera delle forze d’assalto israeliane. Eppure, per questa azione dimostrativa non violenta, dieci ragazzi (le accuse nei confronti dell’undicesimo sono state in seguito lasciate cadere) – tutti di fede islamica – sono stati condannati a 56 ore di servizio civile e a tre anni di libertà vigilata.

Si tratta, a ben vedere, di una clamorosa ingiustizia poichè, in altre analoghe occasioni e addirittura quando ad essere interrotto è stato lo stesso primo ministro israeliano Netanyahu, non si è avuta alcuna incriminazione e alcuna condanna, perché gli autori del “crimine” non erano di fede islamica…

E’ questo il tema della lettera che segue, diffusa dal gruppo Jewish Voice for Peace, che ha creato appositamente un blog affinché ciascuno possa esprimere il proprio sostegno agli “11 di Irvine” e, più in generale, alla lotta per la libertà di espressione e la tutela dell’uguaglianza dei diritti, contro ogni forma di discriminazione e di razzismo.

Riuscite a individuare la differenza?

Caro lettore,

quando abbiamo interrotto il discorso del primo ministro Benjamin Netanyahu all’assemblea generale annuale delle Federazioni ebraiche del Nord America a New Orleans lo scorso novembre, siamo stati accolti con fischi, grida di disapprovazione, molestie verbali e persino aggressioni fisiche da parte di altri membri del pubblico. Ma le accuse penali non sono state mai nemmeno menzionate. Eppure, solo poche settimane fa, dieci studenti che avevano interrotto il discorso dell’ambasciatore israeliano Michael Oren all’Università della California di Irvine nel febbraio del 2010 sono stati condannati per due illeciti a causa della loro partecipazione alla protesta.

Oggi (martedì 11 ottobre, n.d.t.) è una giornata nazionale di azione per protestare contro queste condanne ingiuste. Abbiamo aperto un blog per mostrare il nostro sostegno agli 11 di Irvine. Pensiamo anche che questa giornata di azione sia un’occasione perfetta per valutare le similitudini e le differenze tra queste due proteste. Vedi se riesci a individuare la differenza:

In entrambe le proteste, ognuno che si è alzato in piedi per richiamare l’attenzione sull’occupazione israeliana e sulle altre violazioni del diritto internazionale commesse dal governo israeliano ha agito in modo non violento, ed ha pienamente collaborato con il personale della sicurezza e con la polizia. Allora perché noi non siamo stati arrestati, incriminati e processati e gli 11 di Irvine si? Da un punto di vista logico, avrebbe dovuto esser vero il contrario: il nostro obiettivo era più grosso – il primo ministro israeliano; il luogo era più grande – il maggiore evento ebraico del Nord America; e la nostra protesta è venuta dopo – in parte ispirata dalle coraggiose azioni degli 11 di Irvine. Ma c’è un’altra differenza, che si è rivelata essere quella cruciale: noi siamo ebrei e gli 11 di Irvine sono musulmani.

Con le condanne degli 11 di Irvine, il sistema giudiziario penale della Contea di Orange ha inviato il messaggio che il diritto dell’ambasciatore israeliano a parlare senza interruzioni è maggiormente degno di protezione del diritto dei cittadini americani di protestare contro le azioni illegali e ingiustificabili del governo di Israele.

Il fatto che gli 11 di Irvine siano stati accusati e processati mentre noi ce la siamo cavata senza una macchia (al pari di altri manifestanti non-musulmani nella Contea di Orange che in seguito interruppero Dick Cheney e George W. Bush) testimonia l’influenza della islamofobia, del razzismo anti-arabo e del cieco sostegno ad Israele sulla società americana contemporanea e sul dibattito politico. Questo palese prendere di mira una minoranza dovrebbe far scattare dei campanelli d’allarme per quelli di noi che aborrono il razzismo e lottano per la salvaguardia dell’uguaglianza dei diritti per tutti i cittadini, indipendentemente dalla religione o dall’etnia.

Ci uniamo all’amministrazione e al preside della facoltà di diritto dell’Università di Irvine, insieme ai sostenitori della libertà di espressione e dei diritti umani di tutto il paese, nel deprecare queste condanne. Questo prendere di mira gli studenti musulmani da parte dell’ufficio del procuratore distrettuale della Contea di Orange non durerà. Ogni individuo ha il diritto di esprimersi a favore della giustizia. Unisciti a noi oggi nel dire: “Noi siamo contro l’islamofobia, per la giustizia e con gli 11 di Irvine.

In solidarietà,

Amirah Mizrahi, Antonia House e Emily Ratner
membri di YJP, l’ala giovanile di Jewish Voice for Peace

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9 ottobre 2011

I valorosi soldati di Tsahal effettuano un arresto




"Abbiamo pianto, abbiamo pianto tanto. Piangere è l’unica cosa che si riesce a fare davanti a questo nuovo video diffuso nella rete e ripreso da Press TV che rivela l’amara verità che è la vita delle famiglie palestinesi. I soldati dell’esercito israeliano fanno irruzione in una casa, vogliono portar via il padre della famiglia; la moglie e la figlioletta tentano di opporsi disperate ma vengono picchiate brutalmente…

Piangi mondo, piangi…perchè questo è quello a cui tu assisti in silenzio…".

Questo è il commento al video qui sopra postato dalla redazione di Irib, il sito web della radio iraniana in Italia. Non è necessario aggiungere altro.

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8 ottobre 2011

Iniziative ISM Italia - Shlomo Sand a Torino

TORINO VENERDÌ 14 OTTOBRE ore 18.30
nell'ambito del FestivalStoria 2011:
Palazzo Lionello Venturi, Sala Lauree della Facoltà di Scienze Politiche – Via Verdi 25

Israele: inventare un popolo per costruire una nazione - Shlomo Sand conversa con Giorgio Frankel

Ma davvero esiste un popolo ebraico omogeneo, costretto all’esilio dai Romani nel primo secolo, un gruppo etnico la cui purezza è sopravvissuta a due millenni, una nazione finalmente tornata nella sua patria perduta? Con rigore e vis polemica, Shlomo Sand scuote una delle fondamenta dell’esistenza stessa dello Stato d’Israele e della sua politica identitaria, intraprendendo un viaggio a ritroso nella storia e nella storiografia ebraiche. Lo anima la speranza in una società israeliana aperta e multiculturale perché “se il passato della nazione è stato soprattutto un sogno perché non cominciare a sognare un nuovo futuro, prima che il sogno si trasformi in un incubo?".

Torino Associazione Frantz Fanon

Convegno 13-14 ottobre
Pensare con Frantz Fanon la postcolonia

Pisa 21 ottobre ore 12 Pisa Book Festival Sala Blu

Diana Carminati e Alfredo Tradardi presentano:
Non ci sarà uno Stato palestinese di Ziyad Clot, Zambon editore 2011
Palazzo dei Congressi in via Matteotti 1

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4 ottobre 2011

Una cittadinanza negata con motivazioni vergognose

Fadi Karajeh è un uomo di 33 anni figlio di profughi palestinesi della Striscia di Gaza, che risiede in Italia da dodici anni e che attualmente vive e lavora a Ravenna.

Riconosciuto rifugiato politico, Fadi – che non ha mai avuto una cittadinanza – nel 2009 ha avanzato istanza per la concessione della cittadinanza italiana, a buon diritto.

Nei dodici anni in cui ha vissuto in Italia, infatti, Fadi ha svolto diversi lavori (saldatore, fabbro, verniciatore e, attualmente, pizzaiolo), ha frequentato corsi di qualificazione professionale, ha collaborato e collabora in qualità di interprete con il Tribunale ed i Carabinieri di Ravenna, città dove ha una casa, una ragazza, degli amici, dei colleghi di lavoro: chi più di lui potrebbe aver titolo ad ottenere la cittadinanza italiana? E tuttavia…

Nel 2004 Fadi viene fermato alla guida di un’auto con un tasso alcolemico di poco superiore al consentito, e per questo motivo nel 2005 viene condannato al pagamento di una semplice sanzione pecuniaria. Pagata la sanzione, il reato adesso risulta estinto, perché nei successivi cinque anni egli non ha commesso alcun delitto o contravvenzione della stessa indole (art.460 c.p.p.).

La Commissione medica di Ravenna, peraltro, effettuati gli esami di rito, ha successivamente confermato la validità della patente di guida di Fadi per dieci anni, senza la necessità di ulteriori, periodici accertamenti medici.

Eppure quel vecchio decreto penale di condanna ad una sanzione pecuniaria, secondo il Ministero dell’Interno, Direzione Centrale per i diritti civili (sic!), la cittadinanza e le minoranze, costituisce un motivo sufficiente per negare a Fadi l’acquisto della cittadinanza italiana, poiché non consente di affermare che egli “abbia dato prova di aver raggiunto un grado sufficiente di integrazione che si dimostra anche attraverso il rispetto delle regole di civile convivenza e delle norme del codice penale”!

C’è davvero di che restare sbalorditi! Una semplice contravvenzione – che peraltro non è inclusa tra i reati preclusivi dell’acquisto della cittadinanza – ha il potere di vanificare anni e anni di lavoro onesto, di fatica, di affetti e di relazioni trascorsi in Italia, e consente ad un oscuro burocrate di affermare che Fadi non ha la volontà di volersi “integrare” in Italia né intende rispettare le “regole di civile convivenza”!

Laddove, naturalmente, non siamo in presenza solo di un semplice caso di ottusità burocratica, ma di uno dei frutti avvelenati della politica delle destre al governo del Paese, con i vari decreti “sicurezza” mediante i quali soprattutto la Lega ha costruito le sue fortune elettorali.

Mi scrive Fadi: “la condizione di incertezza in cui sono costretto a sopravvivere mi logora giorno per giorno, impotente e senza possibilità di confronto diretto con chi deve decidere del mio futuro e della mia libertà e dignità personale”.

Fadi non chiede né ha bisogno di assistenza o regalie, non chiede nulla di più del riconoscimento di un suo diritto, quello alla concessione di una cittadinanza che non ha mai avuto, e che anche le ragioni umanitarie e di solidarietà imporrebbero di riconoscergli.

Chi volesse mettersi in contatto con Fadi potrà farlo al seguente indirizzo email: fadixkarajeh@hotmail.it

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2 ottobre 2011

Freedom for Palestine



Ascoltare questa canzone ogni volta mi riempie il cuore di speranza...

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