29 aprile 2011

Sabato 14 maggio manifestazione nazionale a Roma per chiedere la fine dell'assedio di Gaza

Con il vento del sud


Con Vittorio e la Palestina nel cuore


Con la Freedom Flotilla per la fine dell’assedio di Gaza


Sabato 14 maggio manifestazione nazionale a Roma

Quello che viviamo non è un momento qualsiasi. Quello che viviamo è un momento di grandi lotte, grandi speranze, ma anche grandi oppressioni.

Il vento del sud, quello che si alza dalle sollevazioni che percorrono da mesi il mondo arabo, è destinato ad arrivare anche sulla nostra sponda del Mediterraneo. E’ un messaggio di liberazione che chiama all’unità, alla solidarietà, alla fratellanza, alla lotta contro l’ingiustizia.

Chi si riconosce in questi ideali è dunque chiamato all’azione.

C’è un luogo dove l’oppressione è concentrata come da nessun’altra parte, e dove massimo è il bisogno della solidarietà internazionale: questo luogo è la Palestina, ed in particolare la Striscia di Gaza sottoposta da anni al barbaro e disumano assedio di Israele.

Proprio per contribuire a porre fine a questo assedio, nella seconda metà di maggio una flotta composta da navi provenienti da più di 25 paesi si dirigerà verso Gaza per portare solidarietà ed aiuti umanitari al milione e mezzo di persone rinchiuse in quella immensa prigione a cielo aperto. E’ la Freedom Flotilla 2, che vuole continuare l’opera della prima flottiglia attaccata lo scorso anno dalla marina israeliana, con l’assassinio impunito di nove attivisti.

Affinché questa missione abbia pieno successo occorre una vasta mobilitazione, una continua pressione e vigilanza sui governi dei paesi coinvolti. Un’azione tanto più necessaria in Italia, con un governo che si distingue per il suo totale e acritico sostegno anche alle più feroci operazioni (vedi Piombo fuso) dei governi israeliani.

Il nord ed il sud del Mediterraneo devono unirsi in un’unica battaglia di liberazione.

Oggi, mentre i popoli arabi chiedono libertà, democrazia e giustizia sociale, le grandi potenze rispondono con i bombardamenti, con oscure manovre per osteggiare il cambiamento, con la criminalizzazione degli immigrati che fuggono dalla miseria e dalla guerra. Mentre la storia si muove davanti ai nostri occhi, i governi occidentali ripropongono la loro logica di sfruttamento neo-colonialista dei popoli e delle loro risorse.

Il 14 maggio manifesteremo per la Freedom Flotilla, ma manifesteremo anche per dimostrare che l’Italia non è né Berlusconi, né chi ha approvato la partecipazione alla guerra della Nato, perché c’è un popolo che si oppone all’oppressione ed alla guerra e che vuole la libertà per il popolo palestinese.

Per la fine dell’assedio di Gaza!

Per il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese!

Per il sostegno alle lotte dei popoli arabi per la libertà e la giustizia sociale!

ROMA, 14 MAGGIO

Manifestazione nazionale:

Coordinamento Nazionale della Freedom Flotilla Italia

Per adesioni, richiesta di manifesti e volantini scrivete a : roma@freedomflotilla.it

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27 aprile 2011

Nella Valle del Giordano una scuola intitolata a Vittorio Arrigoni



Come ha avuto modo di ricordare la mamma, Vittorio Arrigoni aveva un feeling particolare con i bambini, che erano incuriositi ed attratti oltremodo da quest'uomo forte e gentile.

E' bello dunque sapere dal blog Palaestina Felix che a Ras al-Oje, località a sud-est di Tobas, nella Valle del Giordano, è in fase di costruzione una scuola che verrà intitolata alla memoria del nostro Vik, grazie agli sforzi di una settantina di operai improvvisati tra Beduini della zona e volontari dell'ISM. Gli abitanti di Ras al-Oje ci tengono molto a far sapere che, quando si è diffusa la notizia della tragica morte di Arrigoni, la decisione di intitolargli la scuola è stata presa pressocché all'unanimità.

"Come segno tangibile del perpetuo legame tra l'edificio e la figura del volontario italiano, una piccola bandiera tricolore garrisce nelle raffiche del vento, ben più dignitosa e fiera degli stendardi di quanti, sotto gli stessi colori, si prestano a vergognose occupazioni militari. Una volta completata, la struttura potrà provvedere alle necessità educative di una settantina fra scolari e studenti, un numero più che sufficiente per la piccola comunità locale".

Questo sempre sperando che gli Israeliani non provvedano a demolire la struttura, nel quadro della strisciante pulizia etnica attuata ai danni delle popolazioni beduine della regione e come invocato, peraltro, da un certo rabbinato ferocemente razzista.

Giusto oggi si ha notizia che il rabbino capo della yeshiva di Kiryat Arba, il tristemente noto Dov Lior, ha chiesto che lo stato israeliano incentivi lo spostamento dei Beduini verso l'Arabia Saudita e la Libia, dove c'è molta terra "disponibile". Magari potrebbero pensare di andarsene loro da qualche altra parte...

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26 aprile 2011

Le "rappresaglie" israeliane contro i civili a Gaza

Il lavoro della temibile macchina della propaganda israeliana per nascondere e dissimulare i quotidiani crimini che l’esercito israeliano commette ai danni della popolazione civile di Gaza è molto semplice. Si tratta di modificare la realtà degli accadimenti e della loro cronologia, in tal modo ottenendo una narrazione dei “fatti” ben diversa dalla realtà.

E ciò si attua tirando una linea temporale ogni qual volta i “terroristi” che pullulano nella Striscia di Gaza pongono in essere un’azione militare di qualche tipo, ad esempio sparando i loro micidiali razzetti artigianali Qassam, linea temporale dalla quale ripartire per raccontare i fatti, in modo tale che i raid criminali di Tsahal che seguono possano essere definiti, di volta in volta, come una semplice “risposta” o “rappresaglia” o “autodifesa”.

Ma ciò è puramente e semplicemente arbitrario in un “conflitto” (molto impari, a dire il vero…) come quello israelo-palestinese, che non presenta soluzioni di continuità e per il quale è molto difficile indicare un “prima” e un “dopo”, ma il cui unico dato certo è che vi è un aggressore e una potenza occupante (Israele) e un aggredito e un popolo sotto occupazione (i Palestinesi).

La “risposta” israeliana, peraltro, assume sempre un carattere di rappresaglia dal sapore vagamente nazista, da un punto di vista sia quantitativo sia della “qualità” dei raid e delle azioni militari e degli strumenti bellici adoperati.

Così, ad esempio, nel solo arco temporale compreso tra il 30 marzo e il 12 aprile di quest’anno – il periodo più sanguinoso dall’operazione “Piombo Fuso” – i Palestinesi uccisi a Gaza sono stati ben 23 (tra cui 10 civili) e i feriti sono stati 65 (46 civili), a fronte di un ragazzino israeliano ucciso e di un altro civile lievemente ferito. Anche due degli uccisi e 15 dei Palestinesi feriti erano bambini e adolescenti (cfr. UN Office for the Coordination of Humanitarian Affairs, Protection of Civilians Weekly Report).

Nei primi tre mesi del 2011 – senza contare dunque i morti e i feriti di aprile – Israele aveva ucciso a Gaza e in Cisgiordania 30 Palestinesi (la metà dei quali civili) e ne aveva feriti 481 (460 civili), mentre le azioni palestinesi avevano causato il ferimento di 21 Israeliani (6 civili) (cfr. UN OCHA, The Monthly Humanitarian Monitor, march 2011).

Purtroppo le dichiarazioni ufficiali di politici e capi di stato (soprattutto Usa) e i media di regime hanno spazio soltanto per la riprovazione e la condanna per i morti israeliani, mentre i morti e i feriti palestinesi non hanno volto e non fanno notizia.

Gli analisti politici e quanti si cimentano nel trovare possibili soluzioni al conflitto israelo-palestinese si concentrano sempre e soltanto sul problema dei confini, delle colonie, di Gerusalemme est e quant’altro. E, tuttavia, non si può ignorare quanto peso e quale impatto abbia ogni assassinio di civili innocenti nell’opinione pubblica palestinese e del mondo arabo in generale. La cui rabbia si accresce ancor più nel vedere che ogni crimine commesso dall’esercito israeliano – anche il più efferato – è destinato a restare senza alcun colpevole ed alcuna punizione.

Di questo ed altro tratta l’articolo che segue, scritto l’11 aprile da Samah Sabawi per il sito web The Palestine Chronicle e qui proposto nella traduzione offerta da Medarabnews.

La verità su Gaza
di Samah Sabawi – 11.4.2011

La copertura mediatica dei bombardamenti israeliani che hanno recentemente colpito Gaza, i quali hanno provocato numerosi morti e un numero ancora più alto di feriti, riecheggia la pretesa di Israele secondo cui tali bombardamenti sarebbero parte di un’escalation cominciata giovedì 7 aprile, quando militanti di Hamas hanno sparato un missile anti-carro contro uno scuolabus israeliano, ferendo in modo grave un adolescente (poi deceduto, n.d.r.) e in modo lieve l’autista. Simili affermazioni tuttavia ignorano la realtà che la violenza sistematica contro i palestinesi non è mai cessata.

In effetti, nelle settimane precedenti l’episodio dello scuolabus, tra il 16 e il 29 marzo, secondo l’Ufficio dell’ONU per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA) Israele ha ucciso un totale di 14 palestinesi, tra cui 6 civili, e ne ha ferito 52, tra cui almeno 40 civili (19 bambini). In quello stesso periodo, sono stati feriti 3 civili israeliani. Il rapporto dell’OCHA chiarisce che tutte le vittime civili, e 19 tra i feriti palestinesi, sono stati il risultato di bombardamenti dei carri armati e di colpi di mortaio israeliani. Dunque, sebbene sia Hamas che Israele abbiano preso di mira i civili, Israele ha usato una forza di gran lunga più letale contro la popolazione civile. E per quanto tragico sia il ferimento di un ragazzo israeliano su un autobus, non è stato questo incidente a scatenare il bombardamento israeliano contro i palestinesi di Gaza, che è proseguito in maniera intermittente per gran parte di quest’ultimo decennio, e di certo non è ciò che ha iniziato la recente escalation.

Purtroppo, i morti e i feriti palestinesi, e le incursioni israeliane, non fanno notizia. Ma la morte di ogni bambino, di ogni uomo, e di ogni donna è sentita profondamente nella comunità di Gaza e nel resto della Palestina. Non riuscire a capire questo significa non riuscire a comprendere l’impatto delle tragedie umane su questo conflitto. Sul piano politico, questa incapacità di comprendere le tragedie umane, e come esse infiammano l’opinione pubblica araba e musulmana, ha (e continua ad avere) conseguenze disastrose per la pace e la sicurezza mondiale. All’opinione pubblica occidentale vengono risparmiate le immagini di lutto delle madri e dei padri palestinesi, ma nel mondo arabo e musulmano, queste immagini sono un costante richiamo della brutalità dell’occupazione israeliana e dell’ipocrisia delle potenze mondiali che la sostengono.

Questo squilibrio nell’informazione lascia in molti la falsa impressione che, dopo l’Operazione Piombo Fuso condotta da Israele, vi sia stata “calma” tra Israele e i palestinesi. Ma la realtà racconta una storia diversa. Infatti, dopo “Piombo Fuso” e fino al febbraio di quest’anno, l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem ha registrato un totale di 151 palestinesi uccisi nei Territori occupati, 19 dei quali erano minorenni. Durante questo stesso periodo 9 civili israeliani sono stati uccisi dai palestinesi, tra cui un minorenne. Queste statistiche, orride come sono, non descrivono nemmeno in parte la violenza quotidiana dell’occupazione israeliana nei confronti dei palestinesi, che comprende fra l’altro le restrizioni di viaggio, l’impossibilità di accedere alle cure mediche, l’assenza di acqua potabile e di elettricità.

In effetti, la violenza dell’occupazione israeliana si presenta in molte forme. Forse la più straziante di queste forme è la punizione collettiva dei palestinesi di Gaza da parte di Israele. Mantenere l’economia “sull’orlo del collasso” – una strategia confermata dai dispacci diplomatici USA rivelati da Wikileaks come una politica israeliana sistematica – è l’obiettivo dell’assedio disumano che ha reso il 55% della popolazione di Gaza vittima dell’insicurezza alimentare e il 10% dei bambini di Gaza preda di disturbi della crescita e della malnutrizione. Gli attacchi, le incursioni e le invasioni periodicamente condotte da Israele, che comportano l’uccisione di un gran numero di civili e la distruzione sistematica dei terreni agricoli, la demolizione delle case e la distruzione delle infrastrutture civili, non sono cessate un solo giorno dopo che l’assedio fu intensificato nel 2007. Limitare la circolazione delle persone, impedire ai malati e agli studenti di lasciare Gaza, negare a parenti e persone amate il diritto di visitare la più grande prigione a cielo aperto del mondo, è una forma di violenza e di estrema punizione collettiva che colpisce l’intera popolazione.

Non dimentichiamo che il 75% della popolazione di Gaza è composta da rifugiati a cui è stato negato per 63 anni il diritto di tornare alle proprie case, all’interno di quella che oggi è Israele. La negazione da parte di Israele dei diritti dei rifugiati e la sua occupazione e colonizzazione di Gaza e della Cisgiordania, protrattasi per 43 anni, è alla radice di tutta la violenza di questo conflitto. Coloro che puntano il dito sull’ultima serie di incidenti, indicandoli come la causa della violenza, stanno semplicemente perdendo di vista il quadro generale.

Samah Sabawi è una scrittrice e attivista palestinese di nazionalità australiana; è rappresentante di Australians for Palestine

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25 aprile 2011

Ciao, anzi "bella ciao", Vik!




Alla fine sono venuti in tantissimi a salutare per l'ultima volta Vittorio Arrigoni nella sua Bulciago, oltre duemila persona da tutta Italia e da vari paesi europei, era presente anche una delegazione proveniente dalla Striscia di Gaza.

Don Nandino Capovilla, coordinatore nazionale di Pax Christi Italia, ha dichiarato: "Ci inquieta l'assenza totale del nostro governo nazionale a questa cerimonia. Ci inquieta ma non ci sorprende più".

E allora sono andato a rileggermi la cronaca dei funerali di un altro italiano, per ironia della sorte morto come Vik il 14 aprile di alcuni anni fa.

Ai funerali di Fabrizio Quattrocchi, che non era certo andato in Iraq - dove ha poi trovato la morte - per motivi umanitari e per una scelta di attivismo pacifista e non violento, erano presenti il Presidente della Camera e numerosi altri esponenti politici, il Presidente della Repubblica aveva inviato una corona di fiori, il Papa aveva inviato un suo messaggio.

Ieri nessun politico ha presenziato ai funerali, eccezion fatta per alcuni rappresentanti delle istituzioni locali, nessuna corona di fiori, nessun messaggio del Papa, e tutto sommato credo che Vik avrebbe preferito così, un funerale con i suoi amici e insieme a coloro che ne condividevano passioni e ideali, lontano dalla retorica delle cerimonie ufficiali.

Ma a noi importa, perchè ci amareggia l'indifferenza dell'Italia istituzionale per la morte di un nostro concittadino, a prescindere dalle sue idee, e ci indigna, una volta di più, l'appiattimento italiano sulle posizioni di Usa e Israele e la totale mancanza di interesse per le sofferenze e le privazioni del popolo palestinese, a fianco del quale Vik lottava con metodi assolutamente non violenti.

E in realtà Vik è un vero eroe di questi nostri tempi in cui l'intervento "umanitario" viene incredibilmente e vergognosamente ricollegato solo a raid e bombardamenti.

L'amica Beatrice qualche giorno fa mi ha scritto questa email, a proposito del fatto che il Presidente della Repubblica Napolitano non ha ritenuto di essere presente a Fiumicino per accogliere la salma di Vittorio Arrigoni, come ha sempre fatto quando a morire sono stati soldati italiani all'estero in missioni "umanitarie".

"... Questa mattina io ho scritto una lettera aperta al Presidente della repubblica tramite il servizio web mail del Quirinale. L'ho pubblicata anche su Facebook e sta girando, spero che altri vorranno inoltrarla al Quirinale ...

Signor Presidente della Repubblica,

mi preme scriverle questa lettera, perchè trovo che qualcuno debba pur prendersi la briga di ricordarle il suo sgomento.

Ieri, 20 aprile 2011, è rientrata in Italia la salma di Vittorio Arrigoni, è rientrata con un volo di linea, completamente avvolta nel cellophane nero.

L'Italia, che lei rappresenta, non ha messo a disposizione un volo speciale per il rientro.

Ma questo va bene così. Vittorio è tornato così come era arrivato a Gaza, così come aveva trascorso gli ultimi anni della sua vita: in maniera Indipendente.

Non mi domando perchè non fossero presenti al suo arrivo altre autorità, non ha importanza l'assenza di figure istituzionali che rappresentano sempre una parte, siano esse di governo o di opposizione. (E vorrei capire perché la Pace in Italia è sempre un discorso “di parte”.)

Mi domando perchè fosse assente Lei, Presidente.

Lei che rappresenta anche me, insieme a ogni singolo cittadino italiano, a prescindere dalle idee e dai colori.

Non ho visto le sue mani aperte andare a poggiarsi sulla bara di Vittorio, gesto che sempre ho trovato commovente per l'intimo affetto che dimostra.

Vede Presidente, lei ha dimenticato il suo sgomento. Probabilmente lo ricorderà, come altri, il giorno dei funerali di Vittorio.

Ma ieri, quando Vittorio è arrivato su territorio italiano, ieri, Presidente, lei non c'era.

E allora è giusto citare le parole della Sig.ra Rita Pani: <<"Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi”. E questo stato ci fa beati, cancellando i nostri eroi, quelli veri.>>

Si ricordi allora, Presidente, che oggi io, cittadina italiana che trovava nella sua figura una forma di rappresentanza in uno Stato che nelle sue parti politiche non rappresenta più nessuno, io non mi sento più rappresentata da alcuno. Non per mia scelta, Signor Presidente, ma per Sua scelta.
E’ stato lei, con la sua assenza di ieri, a indicarmi che non intende rappresentarmi.

Me ne dolgo, Presidente, ma saprò farmene una ragione.

Beatrice Pietrangeli".

Sento di condividere in pieno lo spirito e il tenore di questa lettera, chi volesse farla propria potrà firmarla e inoltrarla qui:

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23 aprile 2011

Domani i funerali di Vittorio

I funerali di Vittorio Arrigoni si svolgeranno domani, 24 aprile, alle ore 16:30 a Bulciago, il paese di cui la mamma di Vittorio è sindaco dal 2004.

Sono stati organizzati due pullman da Roma per chi vorrà essere presente; per informazioni e prenotazioni è possibile telefonare ai numeri 347-6090366 e 339-6641600, oppure scrivere a p.cecconi@inwind.it o a ceciliadallanegra@g.mail.com.

La famiglia di Vittorio avrebbe piacere che gli amici e i compagni di Vik non inviassero fiori, ma donazioni per la Palestina sul conto sotto specificato, riportando nella causale che si tratta di un contributo per la causa palestinese.

Queste sono le coordinate del conto corrente:

Iban IT16Y0542851000000000000791

intestato a Egidia Beretta, Banca Popolare di Bergamo, Filiale di Bulciago.

Restiamo Umani.

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In Israele uno show tv offende indegnamente Gesù e Maria



Ecco come i nostri "fratelli maggiori" ebrei tengono in alta considerazione il nostro credo religioso, offendendo pesantemente e in maniera vergognosa Gesù e la Vergine Maria.

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22 aprile 2011

Vittorio Arrigoni, un vincitore



'Non voglio essere seppellito sotto nessuna bandiera, semmai voglio essere ricordato per i miei sogni. Dovessi morire, tra cento anni, vorrei che sulla mia lapide fosse scritto ciò che diceva Nelson Mandela: un vincitore è un sognatore che non ha mai smesso di sognare. Vittorio Arrigoni, un vincitore'.

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Restiamo Umani - II cap. - 29 dicembre 2008



RESTIAMO UMANI di Vittorio Arrigoni - II capitolo

"Un lento morire in vano ascolto - 29 dicembre 2008"


Lettura di Massimo Arrigoni

Musica di Paki Zennaro

Regia di Luca Incorvaia

Prodotto per Azione Sperimentale da Fulvio A.T. Renzi, Luca Incorvaia, Tommaso Melideo.


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20 aprile 2011

La squallida ipotesi del Giornale sulla morte di Vittorio Arrigoni

Ieri, come abbiamo visto, Hamas ha condotto un blitz alla ricerca dei tre salafiti sospettati dell’uccisione di Vittorio Arrigoni. Operazione conclusasi con la morte di due dei sospettati, mentre il terzo, Mahmoud Muhammad Nimir Salfiti, è rimasto ferito ed è stato arrestato dalle forze di sicurezza di Gaza.

Nel frattempo si moltiplicano le ipotesi e le speculazioni sui motivi che hanno portato alla tragica fine del pacifista italiano.

Il sito del Forum Palestina riprende una notizia del giornale Arab Times, secondo cui la mente del terzetto, il giordano Abdel Rahman al-Barizat (nome di battaglia Mohammed Hassan), morto suicida durante il blitz delle forze di sicurezza di Hamas, sarebbe in realtà un agente dei servizi segreti giordani.

Il che, naturalmente, aprirebbe la porta a nuovi ed inquietanti scenari sulla morte di Vittorio (per una analisi sulla presenza dei gruppi salafiti in Giordania vedi qui).

Il Giornale, invece, avanza la tesi dell’assassinio motivato dall’omofobia del mondo islamico, considerato che i rapitori di Vittorio Arrigoni lo avevano accusato di diffondere “vizi occidentali”. Nell’articolo di Francesco De Remigis si può leggere: “l’ipotesi (della pista omofoba) è arrivata fino a Gerusalemme e anche in Italia, confinata nelle stanze di alcune associazioni omosessuali, dove se ne parla e ci si interroga”. E ancora: la voce “circola con insistenza tra i cooperanti”.

Ora, probabilmente saranno le mie scarse capacità, ma non ho trovato riscontro a questa voce “insistente” che circolerebbe tra i cooperanti o all’interno di fantomatiche “associazioni omosessuali”.

L’unico riferimento alla ventilata omosessualità di Vittorio Arrigoni l’ho trovata in questo blog, il cui titolo non lascia adito ad alcun dubbio sull’orientamento del suo gestore. Nell’articolo in cui se ne parla, Aussie Dave riferisce di avere svolto alcune “indagini”, dalle quali è risultata incontrovertibile l’omosessualità di Vittorio. Perché? Perché così afferma l’autore di alcuni commenti ad un video su YouTube!

Non è qui il caso che ricordi come sia un leit-motiv della propaganda sionista il fatto che i gay vengano perseguitati in vari paesi islamici, mentre in Israele trovano rifugio, protezione e conforto (a parte qualche minaccia proveniente dal fanatismo ebraico in occasione dei gay pride, ma lasciamo perdere…).

Dunque il Giornale rilancia una notizia proveniente da un oscuro blog filoisraeliano, la cui “fonte” è a sua volta rappresentata da un anonimo commentatore su YouTube! E’ davvero incredibile e francamente indegno.

A meno che la fonte del Giornale, in realtà, non sia questa pagina di Facebook. Che squallore…

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Vittorio, mai vivo come ora


Dal sito de Il Manifesto, la bella lettera della mamma di Vittorio Arrigoni, Egidia Beretta.

Vittorio, mai vivo come ora
di Egidia Beretta Arrigoni

Bisogna morire per diventare un eroe, per avere la prima pagina dei giornali, per avere le tv fuori di casa, bisogna morire per restare umani? Mi torna alla mente il Vittorio del Natale 2005, imprigionato nel carcere dell'aeroporto Ben Gurion, le cicatrici dei manettoni che gli hanno segato i polsi, i contatti negati con il consolato, il processo farsa. E la Pasqua dello stesso anno quando, alla frontiera giordana subito dopo il ponte di Allenbay, la polizia israeliana lo bloccò per impedirgli di entrare in Israele, lo caricò su un bus e in sette, una era una poliziotta, lo picchiarono «con arte», senza lasciare segni esteriori, da veri professionisti qual sono, scaraventandolo poi a terra e lanciandogli sul viso, come ultimo sfregio, i capelli strappatagli con i loro potenti anfibi.

Vittorio era un indesiderato in Israele. Troppo sovversivo, per aver manifestato con l'amico Gabriele l'anno prima con le donne e gli uomini nel villaggio di Budrus contro il muro della vergogna, insegnando e cantando insieme il nostro più bel canto partigiano: «O bella ciao, ciao...»

Non vidi allora televisioni, nemmeno quando, nell'autunno 2008, un commando assalì il peschereccio al largo di Rafah, in acque palestinesi e Vittorio fu rinchiuso a Ramle e poi rispedito a casa in tuta e ciabatte. Certo, ora non posso che ringraziare la stampa e la tv che ci hanno avvicinato con garbo, che hanno «presidiato» la nostra casa con riguardo, senza eccessi e mi hanno dato l'occasione per parlare di Vittorio e delle sue scelte ideali.

Questo figlio perduto, ma così vivo come forse non lo è stato mai, che come il seme che nella terra marcisce e muore, darà frutti rigogliosi. Lo vedo e lo sento già dalle parole degli amici, soprattutto dei giovani, alcuni vicini, altri lontanissimi che attraverso Vittorio hanno conosciuto e capito, tanto più ora, come si può dare un senso ad «Utopia», come la sete di giustizia e di pace, la fratellanza e la solidarietà abbiano ancora cittadinanza e che, come diceva Vittorio, «la Palestina può anche essere fuori dell'uscio di casa». Eravamo lontani con Vittorio, ma più che mai vicini. Come ora, con la sua presenza viva che ingigantisce di ora in ora, come un vento che da Gaza, dal suo amato mar Mediterraneo, soffiando impetuoso ci consegni le sue speranze e il suo amore per i senza voce, per i deboli, per gli oppressi, passandoci il testimone. Restiamo umani.

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19 aprile 2011

Aggiornamento: uccisi due degli assassini di Vittorio Arrigoni

Secondo il sito web dell'Agenzia Ma'an News, le forze di sicurezza avrebbero circondato una casa, nella zona centrale di Gaza, in cui si nasconderebbero gli assassini di Vittorio Arrigoni.

Secondo quanto riferito da testimoni, il proprietario della casa, Amer Abu Ghulah, si sarebbe arreso alla polizia. Le forze di sicurezza starebbero intimando ai sospetti nascosti all'interno dell'abitazione di arrendersi, mentre cecchini sono posizionati sui tetti delle case circostanti.

Un comunicato del Ministro degli Interni di Hamas ha dichiarato l'area zona chiusa per motivi di sicurezza "a causa del sospetto della presenza dei fuggitivi". Secondo la Reuters, tutte le strade che conducono all'edificio sono bloccate.

Ieri il governo di Gaza aveva diramato le foto di tre sospettati dell'omicidio di Vittorio Arrigoni, Abdul-Rahman al-Breizat, Mahmoud Muhammad Nimir Salfiti e Bilal al-Umari.

Aggiornamento Reuters: due dei principali sospettati per l'omicidio di Vittorio Arrigoni sono stati uccisi oggi durante un raid compiuto dalle forze di sicurezza di Hamas, che hanno arrestato altri tre ricercati. Lo ha detto un ufficiale della sicurezza, aggiungendo che un altro uomo è rimasto ferito.

L'operazione è avvenuta nel campo profughi di Nuseirat, nel zona centrale della Striscia.

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Ma quali fatti nuovi mettono in dubbio il rapporto Goldstone?

Molto clamore ha suscitato un recente articolo apparso sul Washington Post in cui Richard Goldstone ha sostanzialmente rinnegato il rapporto della Missione Conoscitiva dell’UNHRC sul conflitto (rectius, massacro di Palestinesi) svoltosi a Gaza a cavallo tra il 2008 e il 2009, sostenendo sostanzialmente che gli attacchi indiscriminati dell’esercito israeliano contro i civili non erano “intenzionali” e che Israele ha condotto e sta conducendo investigazioni soddisfacenti sulla condotta delle operazioni militari.

Ma Israele, in realtà, non è riuscito a trarre molto giovamento da questa sorta di “ravvedimento” dell’ex giudice sudafricano, perché l’enormità dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità commessi da Israele durante “Piombo Fuso” è di tale portata da non poter essere in alcun modo sovvertita o mistificata.

Va dato conto, comunque, delle numerose risposte ricevute dall’editoriale di Goldstone da parte di eminenti personalità e di varie organizzazioni per i diritti umani. Una sommaria raccolta di articoli e di editoriali può essere rinvenuta
qui, mentre quella che segue è la risposta data a Goldstone in un articolo dello scorso 6 aprile da parte di John Dugard, già Relatore Speciale dell’Onu per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati.

Where now for the Goldstone report?
di John Dugard – 6 aprile 2011

In un recente op-ed sul Washington Post Richard Goldstone, ex giudice della Corte costituzionale sudafricana e procuratore del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia, esprime perplessità sulla conclusione centrale del rapporto della Missione Conoscitiva del Consiglio Onu per i Diritti Umani sul conflitto di Gaza del 2008-9 (dal nome del suo Presidente, “il Rapporto Goldstone”) secondo cui gli attacchi indiscriminati da parte di Israele contro i civili furono intenzionali.

L’op-ed è singolare a leggersi.

Esso afferma che il rapporto Goldstone sarebbe stato un documento diverso ”se avessi saputo allora quello che so adesso”, ma manca di rivelare alcuna informazione che metta seriamente in dubbio le conclusioni del rapporto Goldstone.

Esso sostiene che le indagini rese pubbliche dai militari israeliani e riconosciute da un Rapporto supplementare di una Commissione (di Esperti Indipendenti, n.d.t.) dell’Onu presieduta dal Giudice Mary McGowan Davis, apparso a marzo, “indicano che i civili non sono stati intenzionalmente presi di mira come linea di condotta”, ma il rapporto McGowan Davis non contiene assolutamente alcuna “indicazione” di tal genere e invece mette seriamente in dubbio le indagini svolte da Israele, trovandole prive di imparzialità, tempestività e trasparenza.

Goldstone esprime “fiducia” sul fatto che l’ufficiale responsabile per quella che è forse la più grave atrocità dell’Operazione Piombo Fuso (il nome in codice israeliano per l’attacco a Gaza) – l’uccisione di 29 membri della famiglia al-Samouni – sarà adeguatamente punito da Israele, nonostante il fatto che il rapporto McGowan Davis fornisca una valutazione critica della gestione delle indagini su questo assassinio da parte di Israele.

Egli sostiene, infine, che il rapporto McGowan Davis ritiene che Israele abbia effettuato indagini “in misura significativa”, ma in realtà questo rapporto fa un quadro molto diverso delle indagini svolte da Israele su 400 incidenti, che hanno portato a due condanne, una per il furto di una carta di credito, con la conseguente pena di sette mesi di reclusione, e un’altra per aver usato un bambino palestinese come scudo umano, da cui è derivata una pena detentiva di tre mesi, sospesa!

In breve, non vi sono fatti nuovi che scagionino Israele e che avrebbero eventualmente potuto far cambiare idea a Goldstone. Ciò che gli ha fatto cambiare idea rimane dunque un segreto gelosamente custodito.

Il rapporto Goldstone non è stato l’unico rapporto d’inchiesta sull’Operazione Piombo Fuso. Amnesty International, Human Rights Watch e la Lega degli Stati Arabi (la cui missione è stata da me presieduta) hanno tutte presentato degli approfonditi rapporti sul conflitto.

In tutti i rapporti, incluso il rapporto Goldstone, vi erano resoconti dell’uccisione di civili in modo freddo, calcolato e deliberato da parte dell’esercito israeliano (IDF). Ma l’accusa principale rivolta ad Israele è stata che nel corso del suo attacco a Gaza ha usato indiscriminatamente la forza in aree densamente popolate ed è stato noncurante delle prevedibili conseguenze delle sue azioni, che hanno provocato la morte di almeno 900 civili ed il ferimento di altri 5.000.

Secondo le clausole dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale, costituisce crimine di guerra l’attacco intenzionale diretto contro una popolazione civile (articolo 8 (2)(b)(i)). Non è necessario che tale intenzione sia premeditata: è sufficiente che la persona coinvolta in tale azione intenda causare la conseguenza della sua azione o “sia consapevole che quest’ultima avverrà nel normale corso degli eventi” (articolo 30).

L’articolo di Goldstone può essere interpretato nel senso che egli ora è soddisfatto (sebbene non vi siano prove a sostegno di ciò) per il fatto che Israele non ha avuto come linea di condotta quella di prendere di mira i civili deliberatamente e in maniera premeditata, e che laddove si è verificato l’assassinio calcolato di civili, ciò è accaduto senza la benedizione della leadership politica e militare israeliana.

Ma egli non poteva assolutamente aver voluto dire che Israele non ha “intenzionalmente preso di mira civili come linea di condotta” nel senso giuridico di intenzione. Che l’attacco israeliano sia stato condotto in modo indiscriminato, con la piena consapevolezza che le sue conseguenze sarebbero state l’uccisione e il ferimento di civili è un fatto di dominio pubblico, pienamente confermato dal Rapporto Goldstone e da altri rapporti ugualmente credibili.

Nel suo articolo Goldstone dichiara che il lancio indiscriminato di razzi verso Israele da parte di Hamas, che ha causato l’uccisione di quattro civili, è stato un “intenzionale” prendere di mira i civili e conseguentemente un crimine di guerra. Ma come egli possa asserire che i bombardamenti indiscriminati e l’uso di armi da fuoco contro i Palestinesi a Gaza da parte dell’Idf - che hanno provocato quasi un migliaio di morti tra i civili – non siano stati “intenzionali” è un mistero.

Goldstone, contrariamente ai suoi critici, non descrive il suo articolo come una ritrattazione del rapporto Goldstone. Questo non sorprende. Goldstone è un ex giudice e sa benissimo che un Rapporto Conoscitivo redatto da quattro persone, di cui egli era soltanto una, al pari della sentenza di un tribunale, non può essere modificato dalle riflessioni successive di un singolo membro della commissione.

Ciò può essere fatto soltanto dalla commissione stessa nella sua interezza con l’approvazione dell’organismo che ha istituito la Missione Conoscitiva – il Consiglio Onu per i Diritti Umani. E questo è altamente improbabile in considerazione del fatto che gli altri tre membri della Commissione – la Professoressa Christine Chinkin della LSE, la Sig.ra Hina Jilani, avvocato della Corte Suprema del Pakistan, e il colonnello Desmond Travers, già ufficiale dell’esercito irlandese – hanno dichiarato di non condividere i dubbi di Goldstone circa il rapporto.

Lo scorso mese il rapporto Goldstone è stato inoltrato dal Consiglio per i Diritti Umani all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la richiesta che esso venga inoltrato al Consiglio di Sicurezza e che il Consiglio di Sicurezza sottoponga il caso al procuratore della Corte Penale Internazionale, come è stato fatto nei casi del Darfur e della Libia.

Senza dubbio l’Assemblea Generale inoltrerà il rapporto Goldstone al Consiglio di Sicurezza, nonostante l’articolo di Goldstone, ma lì morirà poiché il consueto veto degli Stati Uniti farà sì che Israele non venga chiamato a rispondere.

Il rapporto Goldstone rappresenta una storica pietra miliare. Si tratta di un credibile, motivato e accuratamente studiato resoconto delle atrocità – crimini di guerra e crimini contro l’umanità – commesse da Israele nel corso dell’Operazione Piombo Fuso e dei crimini di guerra commessi da Hamas nell’indiscriminato lancio di razzi verso Israele. Esso è un serio tentativo di assicurare la responsabilità di uno stato a cui per troppo tempo l’Occidente ha permesso di comportarsi in maniera illegale.

Non si può negare che la credibilità del rapporto Goldstone sia stata minata dallo strano articolo di Richard Goldstone sul Washington Post.

Sebbene il rapporto sia stato scritto da quattro esperti con il supporto di un team dell’ufficio dell’Alto Commissario per i Diritti Umani, esso è indubbiamente finito per essere associato al nome di Richard Goldstone. Inevitabilmente le perplessità che egli ha espresso sul suo proprio ruolo nel Rapporto indebolirà il suo impatto come documentazione storica dell’Operazione Piombo Fuso.

Già il governo israeliano ha espresso soddisfazione per quello che interpreta come una ritrattazione del Rapporto e ha chiesto sia delle contrite scuse da parte di Goldstone sia il rigetto del Rapporto da parte delle Nazioni Unite. Come era prevedibile, il Dipartimento di Stato Usa ha accolto con favore l’articolo di Goldstone e c’è il timore che i governi europei vi trovino una scusa per giustificare il loro costante sostegno ad Israele.

Richard Goldstone ha dedicato gran parte della sua vita alla causa della ricerca della responsabilità per i crimini internazionali. E’ triste che questo campione della responsabilità e della giustizia penale internazionale debba abbandonare questa causa con un articolo così mal ponderato ma comunque estremamente dannoso.

John Dugard è Professore di Giurisprudenza all’Università di Pretoria, Professore Emerito all’Università di Leiden, ex Relatore Speciale dell’ONU per i Diritti Umani nei Territori Palestinesi Occupati.

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Un fiore e una kefiah per Vik

Dal sito del Forum Palestina.

UN FIORE E UNA KEFIAH PER VIK
Arriverà all’aeroporto di Fiumicino mercoledì 20 aprile, intorno alle 19,30, la salma di Vittorio Arrigoni.

Vittorio ha lasciato Gaza, per l’ultima volta, passando attraverso il valico di Rafah e non attraverso Israele, come chiesto dalla mamma e come avrebbe voluto Vik stesso.

Prepariamoci ad accogliere Vittorio Arrigoni con il dovuto affetto verso un pacifista che ha dedicato la sua vita ai diritti del popolo palestinese con l’impegno a rilanciare un imperativo che non dimenticheremo: Restiamo Umani!

APPUNTAMENTO ALLE 19 ALL'AEROPORTO DI FIUMICINO - TERMINAL CARGO CITY

Il Forum Palestina
http://www.forumpalestina.org/

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Jeff Halper ricorda Vittorio Arrigoni

Tra i tanti che hanno voluto onorare Vittorio Arrigoni dopo la sua morte assurda, probabilmente Jeff Halper – il co-fondatore e direttore dell'Israeli Committee Against House Demolitions (ICAHD) – è colui il quale ne ha fornito il ricordo più struggente.

E' per questo che riporto il suo saluto a Vittorio, nella traduzione di Daniela Filippin per il sito We Write What We Like.

Ricordando Vik
di Jeff Halper – 15.4.2011

Dopo aver perso un altro amico e compagno meno di due settimane fa, Juliano Mer-Khamis, mi tocca piangere e ricordare il mio compagno di viaggio di nave Free Gaza, Vittorio (Vik) Arrigoni, brutalmente assassinato ieri notte da estremisti religiosi a Gaza. In realtà, Vik ricordava fisicamente Juliano, per la personalità esuberante e la sua insistenza nell’”esserci” quando gli oppressi avevano bisogno di lui. Vik era davvero una persona che non potevi non notare. Era così pieno di energia, un misto di gioia, goliardia e impazienza entro i confini di barche e prigioni come Gaza, che all’improvviso ti avrebbe sollevato in aria, o si sarebbe messo a fare la lotta con te – era un ragazzo grosso, forte, bello, vivace e sorridente anche nelle situazioni più pericolose e oppressive, come a dirti: Yaala! A noi e ai pescatori palestinesi, queste navi israeliane che ci sparano, non possono prevalere sulla solidarietà, indignazione e la giustizia della nostra causa! (Vik fu ferito in uno di questi scontri). Ti arrivava da dietro dicendoti: L’occupazione cadrà esattamente così! (lottando con te fino a gettarti a terra, ridendo e giocando con te mentre lo faceva).

Vik, che come me ha ricevuto la cittadinanza palestinese e un passaporto quando abbiamo rotto l’assedio di Gaza salpando nel porto di Gaza nell’agosto 2008, era un esempio supremo di portatore di pace. Nonostante avesse una famiglia in Italia, si è dedicato ai palestinesi col cuore intero, come era solito fare. Sulla sua pagina facebook ha scritto: “Vive a Gaza”. Era conosciuto soprattutto perché accompagnava i pescatori che cercavano di fare il loro lavoro, nonostante gli spari quasi quotidiane della marina israeliana, che li confina alle acque già pescate fino all’esaurimento e sporche di fogna delle cose di Gaza. Almeno diciotto pescatori sono stati uccisi nell’ultimo decennio e circa 200 feriti, molte barche sono state distrutte e molto equipaggiamento danneggiato. Ma era intimamente coinvolto ovunque ci fosse bisogno di lui a Gaza, fra i contadini come fra i bambini traumatizzati, in tempi difficili – il suo libro, Gaza Stay Human, documenta le due esperienze fra la gente durante l’offensiva israeliana di tre settimane nel 2008-09 – e anche essendo semplicemente a contatto con la gente nelle caffetterie e nelle loro case.

Quando è stato appreso che era stato rapito sono spontaneamente sorti centinaia di appelli non solo dalla comunità pacifista internazionale, ma soprattutto dalla popolazione palestinese affranta di Gaza. Un memoriale sarà tenuto oggi a Gaza City e altre parti dei territori occupati.

Vik lavorava nella West Bank come a Gaza, ed è stato imprigionato tre volte prima di essere stato espulso da Israele. Ma il suo lavoro di pace non era solo sotto forma di attivismo. Vik era un maestro della comunicazione – fisica, verbale, scritta (il suo blog, Guerrilla Radio, era uno dei più seguiti in Italia), mischiando con naturalezza esperienze personali, reportage e analisi.

Vik era quello che chiamiamo un “testimone”, qualcuno che fisicamente si mette dalla parte degli oppressi e condivide con loro trionfi, tragedie, sofferenze e speranze. Eppure era uno che attraverso l’azione sperava di influenzare dei veri cambiamenti. Lui, come Juliano, Rachel e molti altri che si sono sacrificati per la pace e la giustizia in Palestina e in tutto il mondo, lasciano un grande vuoto nei nostri cuori, le nostre vite e nella lotta.

Mi mancherai, ragazzo mio. Ma ogni volta che mi sento stanco o scoraggiato, ti sentirò sollevarmi su in alto e sopra la tua testa e, col tuo enorme sorriso e la tua risata, minacciare di gettarmi fuori bordo se solo esito a coinvolgermi in una lotta. Tu eri e sei la forza terrena della lotta contro l’ingiustizia. Ci solleverai sempre su e ci ispirerai. Come i pescatori palestinesi che amavi tanto, noi e tutti gli altri che lottano per le fondamenta della vita in tutto il mondo ci impegneremo per realizzare la tua visione.

Ciao, amico.

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18 aprile 2011

I funerali di Vittorio

Oggi si sono svolti a Gaza City i funerali di Vittorio Arrigoni. All'uscita dell'obitorio del'ospedale as-Shifa, dove si trovava, la salma è stata trasportata per le vie principali di Gaza fino al valico di Rafah, da dove poi è stata trasferita in Egitto intorno alle 13:00.

Secondo Maria Elena D'Elia, amica di Vittorio, questa sera il corpo del pacifista sarà trasportato all'ospedale italiano del Cairo, mentre mercoledì è previsto il volo Alitalia che riporterà finalmente Vittorio in Italia.

Durante il funerale la folla, tra cui anche ministri e leader delle fazioni palestinesi, personalità della società civile, giornalisti e fotografi, ha sventolato bandiere italiane e palestinesi e immagini di Vittorio, e ha lanciato fiori e riso sulla salma.

La Repubblica ha pubblicato sul suo sito web una galleria fotografica dell'evento, con delle belle e commoventi immagini.

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16 aprile 2011

Vittorio Arrigoni Gaza will not forget you, brother RIP

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Per Vittorio ... che lavorava per cambiare questo volto

(Dal blog DesertPeace - 15.4.2011)

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R.I.P. Vittorio... Un invito a proseguire la strada di Vittorio

Un messaggio da Window into Palestine e Associati posted by Diego - 15.4.2011

Mi sono molto rattristato ieri nell’apprendere della morte di Vittorio. Si trattava di un uomo che aveva dedicato tanto alla causa e al popolo palestinese.
Esprimo rispetto e rendo onore a Vittorio Arrigoni, ucciso a Gaza il 14 aprile 2011 durante la sua lotta per l'umanità, la verità e la giustizia. Che Dio benedica lui, la sua famiglia e i suoi amici e possano pace e conforto arrivare a tutti in questo momento di grande smarrimento.

Il male è ovunque, e spero e prego che la sua morte non sarà stata vana e che altri sosterranno i Palestinesi, nonostante i torti di pochissimi che sono impegnati sul versante palestinese.

Ricordiamolo ed onoriamolo e continuiamo a lottare e a combattere per la verità e la giustizia.

In Solidarietà ... e una Palestina Libera nello spirito di Vittorio!

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15 aprile 2011

Per non dimenticare Vittorio


Ieri, tornato a casa, ho accesso il televisore solo molto tardi, e da Rainews24 ho appreso del rapimento e della morte di Vittorio Arrigoni.

Vittorio, un attivista dell’International Solidarity Movement, un amico, un fratello, è stato barbaramente ucciso – nelle circostanze che ormai tutti conoscono - da un gruppuscolo di estremisti filo al-Qaeda, la sconosciuta Brigata Mohammed Bin Moslama, a quanto pare già a breve distanza dal suo sequestro.

Voglio subire sgombrare il campo e dire che non sono molto d’accordo con le varie ipotesi “complottiste” che vorrebbero vi siano Israele e il Mossad anche dietro questo crimine, come quella esposta qui.

Ad esempio, il Forum Palestina adombra che l’assassinio di Vittorio sia da ricollegarsi alla campagna intimidatoria avviata già da tempo contro la nuova Freedom Flotilla in procinto di partire per Gaza il prossimo mese di maggio. “Riteniamo che il sequestro e l’uccisione di Vittorio” – si può leggere in un comunicato – “possa rientrare in un lavoro sporco realizzato dai gruppi islamici legati al network dell’Arabia Saudita oggi alleata di Israele. Il messaggio agli attivisti internazionali è chiaro e inquietante: ‘State lontani da Gaza, state lontani dalla Palestina’, ‘nessuna internazionalizzazione sulla questione palestinese verrà tollerata dalle autorità di Tel Aviv e dai suoi alleati”.

E’ pur vero che, qualche tempo addietro, Vittorio e altri attivisti dell’ISM erano stati messi nel mirino dal sito farneticante http://stoptheism.com/ che conteneva l’esplicito invito alla loro uccisione, ma si tratta naturalmente di cosa ben diversa.

Quasi sempre, le cose vanno in una maniera molto più semplice di quanto si possa pensare. I gruppi dell’estremismo salafita, attestati su posizioni fanatiche e oltranziste, più volte hanno tentato sollevazioni armate contro Hamas ed hanno ogni interesse a mettere in difficoltà il governo di Gaza. Se un gruppo di fanatici decide di organizzare un’azione eclatante, e a tale scopo intende rapire e/o uccidere uno straniero, non è che abbia molte scelte a disposizione nella Striscia di Gaza.

E, peraltro, il fanatismo che purtroppo infesta il mondo islamico non ha mai fatto distinzioni rispetto a chi porta avanti istanze pacifiste e umanitarie, ed anzi più di tutti ha in odio coloro i quali adoperano le armi della testimonianza e della non violenza, perché il fanatismo cresce e prospera – dovremmo saperlo – nei contesti caratterizzati da conflitti, miseria, oppressione.

Per questo, ho scelto di fare mie le parole di ricordo scritte da Alfredo Tradardi per conto dell’ISM, che qui di seguito riporto.

A me interessa ricordare Vittorio come un eroe della pace e della fratellanza, che aveva scelto Gaza come la sua seconda casa, combattendo la sua battaglia assolutamente pacifica in favore della popolazione palestinese oppressa e massacrata.

Vittorio scortava i contadini che entrano ogni giorno nella buffer-zone rischiando la vita per i colpi dei cecchini israeliani pur di coltivare la propria terra.

Vittorio, durante "Piombo Fuso", scortava i medici e i paramedici palestinesi fatti oggetto del fuoco dei criminali israeliani mentre andavano a soccorrere i feriti e a recuperare i corpi dei morti.

Vittorio accompagnava i pescatori nel loro tentativo di portare a casa qualcosa da mangiare, sfidando l'illegittimo blocco navale della marina israeliana.

Vittorio lottava contro l’isolamento e l’assedio di Gaza, contro i criminali raid dell’esercito israeliano, e a noi tutti tocca continuare la sua opera.

Perché solo la fine dell’embargo, l’apertura dei valichi, un accordo di pace equo e che risolva tutti i punti del contenzioso israelo-palestinese potrà assicurare alla regione un futuro di pace, progresso e prosperità.

Perchè più nessuno debba morire...

In morte di Vittorio Arrigoni.

Sono stato chiamato poco fa dagli Stati Uniti, da un giornalista della CNN con il quale avevo avuto un lungo colloquio in precedenza, che mi ha comunicato il ritrovamento del corpo di Vittorio Arrigoni.

La notizia è stata confermata da Haaretz e successivamente dall'ANSA.

Haaretz: “Hamas: Abducted pro-Palestinian activist found dead in Gaza Four suspects have reportedly been arrested in the alleged kidnapping and subsequent murder of Italian Vittorio Arrigoni, an activist in the International Solidarity Movement. By News Agencies”.

ANSA “Trovato a Gaza il corpo di Arrigoni Lo ha reso noto la sicurezza di Hamas. Era stato rapito ieri 15 aprile, 03:16 Trovato a Gaza il corpo di Arrigoni (ANSA)- GAZA, 15 APR -Il corpo di Vittorio Arrigoni, volontario e attivista italiano rapito ieri mattina, e' stato trovato nella notte in una casa a Gaza. Lo hanno annunciato fonti della sicurezza di Hamas, aggiungendo che due uomini sono stati arrestati. Il giovane era stato sequestrato da un gruppuscolo salafita ultra-estremista. I rapitori lo avevano mostrato in un video finito su Youtube, minacciando di ucciderlo entro le 17 di oggi (le 16 in Italia), se Hamas non avesse liberato detenuti salafiti.”

Avevamo scritto in precedenza: “La notizia del "rapimento" di Vittorio Arrigoni a Gaza da parte di un gruppo salafita è stata confermata da contatti avuti a Gaza. A Gaza si stanno muovendo governo, partiti e società civile per ottenerne la liberazione. E' d'obbligo la massima cautela. E allo stesso il massimo di ottimismo.”

Seguendo il poeta palestinese Mahmoud Darwish avevamo “coltivato la speranza”.

Vittorio Arrigoni è stato un non-eroe, mite e positivo, che ha percorso ogni luogo della Striscia di Gaza con la sua umanità densa e intensa.

Gaza. Restiamo umani deve diventare il breviario di ogni attivista per i diritti umani.

Il suo nome si iscrive nel solco dei martiri palestinesi e degli internazionali come Rachel Corrie e Tom Hurndall, come i nove attivisti turchi uccisi dall'esercito israeliano sulla Mavi Marmara il 31 maggio 2010, tra i quali il giovanissimo Furkan Doğan.

A noi tutte/i il compito di non lasciar cadere la eredità umana, morale, culturale e politica di Vittorio.

La responsabilità morale e politica della sua morte è del governo israeliano e dei suoi complici non solo occidentali, tra i quali brilla per cinismo e servilismo il governo italiano.

Siamo colpiti, non tanto e non solo come attivisti dell'International Solidarity Movement, ma come donne e uomini di coscienza che sono dalla parte dei mondi offesi e dei popoli oppressi. Dalla parte dei diritti umani.

Ora dobbiamo unirci al dolore dei genitori e dei familiari.

Il silenzio deve caratterizzare il nostro cordoglio.

La determinazione a proseguire il nostro dovere.

Alfredo Tradardi

ISM-Italia

Palestina News - voce di ISM (International Solidarity Movement) Italia

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Con Vittorio e la Palestina nel cuore: manifestazioni

A Roma appuntamento alle 16.00 al Colosseo


A Milano appuntamento alle 16.00 a Piazza del Duomo


A Genova presidio dalle ore 10,00 in Via Roma


A Napoli Sit-in davanti la Prefettura ore 17,00


Vicenza, Verona, Firenze


Freedom Flotilla Italia – Forum Palestina - Comunità Palestinese di Roma e del Lazio - Associazione Palestinesi in Italia – Unione Sindacale di Base – Unione Democratica Arabo Palestinese – Comitato con la Palestina nel Cuore – Comitato per non dimenticare Sabra e Chatila - Radio Città Aperta - Cantiere Sociale Camilo Cienfuegos (Campi Bisenzio) - Comitato Palestina Bologna - Comitato di Solidarietà con il Popolo Palestinese di Torino - Gruppi di appoggio alla Palestina (Parma) - Collettivo Politico Fanon (Napoli) - Collettivo Autorganizzato Universitario di Napoli – Italia dei Valori – Partito dei Comunisti Italiani – Partito della Rifondazione Comunista – Rete dei Comunisti - Comitato Ricordare la Nakba (Torino) – C.S.O.A. Askatasuna (Torino) – Net Antagonista Torinese – C.S.O.A. Murazzi (Torino) – C.U.A. Torino – Area Antagonista Ska Officina (Napoli) – Coordinamento 2° Policlinico (Napoli) – Coordinamento di Solidarietà con la Palestina (Napoli) Info: 338-1521278 e 333-5601759

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Ciao Vittorio, eroe della pace e della fratellanza

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12 aprile 2011

La spudorata propaganda israeliana: il falso "boom" delle costruzioni a Gaza

All’inizio della scorsa settimana, il portavoce dell’esercito israeliano ha annunciato una “estesa attività edilizia” nella Striscia di Gaza, dopo l’approvazione, da parte del Coordinatore delle Attività governative nei Territori, di 121 progetti finanziati da organizzazioni internazionali. Secondo il rapporto si ritiene che l’economia di Gaza, a seguito dell’approvazione, venga “rafforzata”.

Questo è sicuramente un passo positivo, ma sfortunatamente non vi è nulla di nuovo. I progetti di cui si parla erano già stati approvati durante l’ultimo anno e, di fatto, l’ultima volta che è stato approvato un progetto davvero “nuovo” è stata ai primi di febbraio. Inoltre, il valore totale dei progetti approvati rappresenta soltanto il 20% del budget complessivo per i progetti pianificato solamente dall’UNDP (United Nations Development Programme) e dall’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency).

Mettendo da parte la propaganda costituita dalle dichiarazioni ricorrenti di approvazione dei medesimi progetti, in ogni caso l’attività edilizia procede a passo di lumaca in quanto Israele mantiene operativo solo un unico valico per la Striscia di Gaza – quello di Kerem Shalom – attraverso cui vengono trasferite tutte le merci, lasciando poco spazio per i materiali da costruzione. La quantità media mensile di materiali da costruzione “proibiti” (acciaio, cemento e ghiaia) di cui Israele ha consentito l’ingresso nella Striscia di Gaza tra l’ottobre 2010 e il febbraio di quest’anno è stata pari a 20.000 tonnellate, che rappresenta appena il 7,6% della quantità media mensile (264.000 tonnellate) che entrava a Gaza prima del blocco, da gennaio a maggio del 2007.

I vertici della sicurezza israeliana hanno ammesso che la carenza di materiali da costruzione impedisce la ricostruzione di Gaza, ma sostengono di limitare l’importazione di questi materiali in quanto Hamas potrebbe usarli per scopi militari, come la costruzione di bunker e di tunnel. Per questa ragione, Israele ha messo in piedi un farraginoso sistema burocratico che, tra le altre cose, richiede alle organizzazioni internazionali che intendono importare materiali per i loro progetti una scrupolosa documentazione e dei requisiti di monitoraggio come se stessimo parlando di uranio arricchito e non di cemento per gettare le fondamenta di una scuola.

Ma anche questo farraginoso sistema comunque non garantisce ad Israele il controllo sul trasferimento e l’uso dei materiali da costruzione nella Striscia di Gaza. Secondo un recente rapporto dell’Onu, dall’ottobre del 2010 al febbraio del 2011, ben 98.000 tonnellate di acciaio, cemento e ghiaia sono entrate a Gaza attraverso i tunnel senza alcuna supervisione israeliana – cinque volte il totale trasferito attraverso i valichi di frontiera nello stesso periodo.

A parte l’inefficacia delle restrizioni israeliane nell’impedire ad Hamas di ricevere materiali da costruzione, questi numeri dimostrano quanto sia elevata la domanda di materiali da costruzione nella Striscia di Gaza rispetto alla limitata offerta consentita da Israele attraverso i valichi. Il quasi-monopolio nell’importazione dei materiali da costruzione da parte dell’industria dei tunnel, creata come risultato della politica israeliana su tali beni, consente peraltro al governo locale di apparire più efficace nella costruzione di edifici di importanza vitale rispetto alle organizzazioni internazionali. Il governo locale usa materiali provenienti dai tunnel, mentre i regolamenti della maggior parte delle organizzazioni internazionali impediscono loro di fare altrettanto.

L’economia di Gaza è cresciuta nell’ultimo anno del 9% dalla situazione in cui era sprofondata nel periodo successivo alla guerra e durante tre anni di blocco quasi ermetico, ma il prodotto interno lordo è ancora del 20% sotto il livello del 2005, e la disoccupazione si attesta sul 38%, uno dei livelli più alti al mondo. Secondo un recente rapporto del Fondo Monetario Internazionale, una delle misure necessarie ai fini di una significativa ripresa dell’economia a Gaza è costituita proprio dalla eliminazione delle restrizioni imposte al settore privato, ivi incluso il divieto di importare materiali da costruzione.

Si può certo presumere che parte dei materiali da costruzione importati attraverso i tunnel sia stata oggetto di uso militare, così come si può però presumere che un medesimo uso si faccia di alcune infrastrutture civili e di altri prodotti di base. Tuttavia, Israele non definisce elettricità, computer o telefoni come prodotti a “duplice uso” (sia civile sia militare) e permette che vengano introdotti nella Striscia di Gaza. Viene dunque spontaneo chiedersi quanto, e soprattutto, perché sia utile ad Israele vietare l’importazione di materiali da costruzione per il settore privato e impedire la costruzione di edifici di importanza vitale, specialmente considerando che, comunque, i materiali da costruzione passano attraverso i tunnel, diretti a chiunque sia disposto a pagarne il prezzo.

A causa delle restrizioni imposte da Israele, solo una piccolissima parte delle 40.000 unità abitative necessarie a far fronte alla crescita naturale della popolazione e alle distruzioni causate da “Piombo Fuso” può essere costruita.

La carenza di alloggi richiede un “prezzo” oneroso che ricade sulle famiglie di Gaza, costrette a confrontarsi con delle misere e sovraffollate condizioni abitative, con un impatto sproporzionato soprattutto su donne e bambini. Molte famiglie, inoltre, che pure sono riuscite in qualche modo a riparare o ampliare le proprie abitazioni, rimangono tuttavia soggette al pericolo di crolli, a causa della scarsa qualità dei materiali importati, particolarmente in caso di disastri naturali o in quello, in verità assai frequente, di nuovi raid israeliani.

A causa del’elevatissimo tasso di disoccupazione, infine, migliaia di persone non hanno altra alternativa che rischiare la propria vita lavorando nei tunnel o raccogliendo ghiaia e materiali riciclabili nella zona-cuscinetto alla frontiera con Israele. Nel corso del 2010, almeno 58 Palestinesi, inclusi 9 bambini, sono morti in simili circostanze, mentre altri 257, tra cui 46 bambini, sono rimasti feriti.

In quanto potenza occupante, e comunque in ogni caso in cui esercita il proprio controllo sul territorio di Gaza e sulla sua popolazione, Israele è tenuto al rispetto delle norme del diritto umanitario internazionale e della legislazione in materia di diritti umani, che proibiscono ad Israele di imporre sanzioni che ledono i diritti umani e i bisogni della popolazione civile e che non sono strettamente necessitate da legittime esigenze di sicurezza. Tali sanzioni, infatti, costituiscono una punizione collettiva e sono assolutamente proibite, in ogni circostanza.

Ma pare che la comunità internazionale – in primis gli Usa del Nobel Obama – sia assolutamente sorda ai bisogni e alle istanze della popolazione di Gaza, e che nessuno voglia intestarsi la responsabilità di proteggere i Palestinesi dai crimini quotidiani posti in essere da Israele.

E sia che si tratti di embarghi di merci e di punizioni collettive, sia che si tratti dei ricorrenti massacri impuniti di civili inermi.

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7 aprile 2011

Contro il boicottaggio, gli amici di Israele usano un argomento di tipo razziale

In risposta alla campagna mondiale di boicottaggio dei prodotti israeliani, molti siti di propaganda sionista hanno cercato di contrapporre, per il 30 marzo, una sorta di “giornata dell’acquisto” di prodotti israeliani: pazienza, ognuno spende i soldi come vuole! Cogliamo, anzi, l’occasione – noi che siamo fautori convinti della campagna BDS – per segnalare alcuni siti dove trovare indicazioni sui prodotti provenienti da Israele da boicottare (in generale, quelli che sull’etichetta del codice a barre recano all’inizio la cifra 729):

http://tuttouno.blogspot.com/2009/01/elenco-dei-prodotti-israeliani-da.html

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=23648

http://www.opappece.it/boicott/elenco%20prodotti.htm

http://www.inminds.co.uk/boycott-brands.html

http://www.comedonchisciotte.net/modules.php?name=News&file=article&sid=382

http://www.boycott-israel.co.uk/israeli-products

La campagna di Disinvestimento, Boicottaggio e Sanzioni (BDS) è una delle armi più temute sia dai governanti di Israele sia dai tanti amici che questo stato-canaglia ha nel mondo, perché si tratta di una forma di lotta e di denuncia contro i crimini dell’occupazione israeliana dal carattere assolutamente non violento, come tale difficile da condannare e da delegittimare.

E, infatti, i filoisraeliani ci provano usando argomenti meschini e totalmente destituiti di fondamento, quale è quello che accomuna la legittima denuncia dei crimini e delle violazioni dei diritti umani da parte di Israele all’antisemitismo tout court.

Ma la cosa che personalmente mi lascia davvero stupefatto è che questi “amici” di Israele, nel generoso e inesausto tentativo di difenderne l’immagine (ed anche le entrate commerciali, si presume), usino un argomento che più o meno suona così:
volete boicottare i prodotti che provengono da Israele? Allora dovete rinunciare a tutte le scoperte, invenzioni, brevetti, medicinali e quant’altro sia ascrivibile ad un ebreo!

E giù un elenco infinito (che vi risparmio, se volete consultate il link sopra) secondo cui io, che sono fautore della campagna BDS, non dovrei vaccinarmi contro la polio (essendo Salk un ebreo) o, qualora soffrissi di qualche turba psichica, non potrei farmi curare da uno psicanalista, parimenti essendo Freud, come è noto, un ebreo. Per chiudere, in ordine di tempo, naturalmente niente più Facebook (e chissà se potrei andare al cinema a vedere il film che racconta la storia di Zuckerberg)!

Ora, ciò che sorprende, è che siano proprio gli “amici” di Israele a usare una argomentazione di tipo razziale, compiacendosi di quante scoperte e quanti premi Nobel siano stati attribuiti ad ebrei, non rendendosi conto che è proprio l’insistenza a voler segnalare differenze tra gli uomini sulla base della razza ad aver storicamente contribuito a quelle derive antisemite di cui pure ancora oggi ci si lamenta con grande clamore.

E del resto non è una novità che, all’interno del mondo ebraico, vi sia chi sostenga che gli ebrei sono davvero il “popolo eletto”, stante il loro elevatissimo QI ascrivibile a ragioni genetiche.

Probabilmente sarà proprio così. Quel che è certissimo, invece, è che i governanti di Israele devono essere davvero dotati di una intelligenza fuori del comune (combinata ad una faccia di bronzo senza pari) per far digerire a tutto il mondo (occidentale) la colossale panzana che dipinge i palestinesi come i terroristi e gli aggressori, e gli israeliani come delle povere vittime che cercano solo di difendersi.

Non si spiegherebbe altrimenti come oggi i palestinesi di Gaza rappresentino l’unico caso al mondo di popolazione aggredita e massacrata che venga persino sottoposta ad un incredibile boicottaggio politico ed economico, con il beneplacito della comunità internazionale!

E quello sì che è un boicottaggio legittimo…

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No alla "occupazione" israeliana di Piazza Duomo a Milano!

ISM-Italia

No alla “occupazione” israeliana di Piazza del Duomo Milano, presidio sabato 9 aprile 2011 alle ore 17.30 in piazza Duomo.

Per iniziare a contestare il permesso concesso a Israele di realizzare un maxi evento “culturale”, previsto a Milano nella seconda metà dell'anno.

Lo hanno annunciato, il primo dicembre 2010, il Presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, insieme a Gideon Meir, ambasciatore di Israele in Italia.

Sono previsti dieci giorni di eventi culturali in un padiglione di circa 900 mq in Piazza Duomo. Sarà il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, complice di ogni crimine di guerra di Israele, ad aprire la manifestazione.

Il progetto prevede un investimento di 2,5 milioni di euro. L’obiettivo – hanno sottolineato gli organizzatori – “è quello di dare un’immagine di Israele diversa da quella di uno Stato interessato da una situazione di conflitto”.

Da che cosa è stato interessato lo Stato di Israele, uno stato coloniale di insediamento, prima e dopo la sua costituzione formale?

Dalla guerra ai palestinesi e ai paesi vicini, dall'assassinio e dal ferimento dei palestinesi, dalla violenza quotidiana, dal furto dei loro beni, dalla pulizia etnica della Palestina, dal genocidio in corso a Gaza, dal rifiuto del ritorno dei profughi palestinesi.

Bisogna creare da subito un clima di contestazione di questa manifestazione.

Impediamo “l'occupazione” israeliana anche di piazza del Duomo a Milano.

Ogni partecipante porti con sé una bandiera palestinese.

Palestina News - voce di ISM (International Solidarity Movement) Italia

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5 aprile 2011

A otto anni dal suo assassinio, non c'è ancora giustizia per Rachel Corrie




Lo scorso 16 marzo cadeva l’ottavo anniversario della morte di Rachel Corrie, la giovane pacifista americana uccisa a soli 24 anni mentre tentava di impedire la demolizione di alcune case palestinesi, schiacciata da un bulldozer dell’esercito israeliano.

Proprio in questi giorni, gli Stati Uniti hanno motivato il loro voto contrario a una risoluzione del Consiglio per i Diritti Umani dell’Onu (UNHCR) che auspica che la questione dei crimini di guerra commessi da Israele durante “Piombo Fuso” venga portata all’attenzione del Tribunale Penale Internazionale, sostenendo che Israele ha già condotto delle investigazioni “credibili” sulle operazioni militari svoltesi a Gaza a cavallo tra il 2008 e il 2009, e dunque non vi è alcuna necessità dell’intervento del Tribunale internazionale.

Si tratta di una affermazione ridicola e offensiva, clamorosamente smentita dai fatti. Israele ha da sempre dimostrato la propria totale incapacità di investigare e punire i crimini commessi dalla propria soldataglia: basti qui dire che l’unica condanna intervenuta a seguito dei massacri di “Piombo Fuso” riguarda un soldato colpevole del furto di una carta di credito, mentre altri due soldati accusati di aver usato un ragazzino come scudo umano hanno visto la pena detentiva immediatamente sospesa.

E questa vera e propria licenza di uccidere, derivante dall’impunità pressoché totale garantita da Israele per ogni crimine e assassinio commesso dai propri soldati, esplica i suoi effetti anche nel processo che si occupa della morte di Rachel Corrie, i cui genitori, a otto anni di distanza dalla sua morte, non riescono ancora ad ottenere giustizia, ed anzi, non hanno nemmeno avuto il diritto di poter vedere in faccia l’assassino della propria figlia.

Sull’argomento, tre organizzazioni palestinesi per i diritti umani – Al Mezan, Al Dameer e GCMHP - hanno pubblicato il comunicato congiunto che segue.

Resta solo da dire che, nell’udienza dello scorso 4 aprile, il comandante dell’unità responsabile dell’assassinio di Rachel, il capitano S. R. (nella trasparenza che permea il sistema giudiziario israeliano non si ha diritto nemmeno di conoscere il nome esatto di imputati e testimoni…), ha testimoniato di aver richiesto la sospensione delle demolizioni, a causa della presenza sul terreno di civili, ma che gli venne ordinato di continuare, nonostante tutto.

L’ennesima riprova dell’insensibilità degli alti comandi militari (e dei politici) israeliani per la vita dei Palestinesi e di quanti lottano al loro fianco.


Mercoledì, 16 marzo 2011, ricorreva l’ottavo anniversario della morte della pacifista americana Rachel Corrie. La Corrie aveva 24 anni quando venne uccisa dalle forze di occupazione israeliane (IOF) mentre tentava di impedire ai bulldozer israeliani di demolire alcune case palestinesi nella città di Rafah, nei pressi del confine tra Gaza e l’Egitto.

Al Mezan Center for Human Rights, Al Dameer Association for Human Rights e Gaza Community Mental Health Program (GCMHP) ribadiscono la loro condanna per l’assassinio di Rachel Corrie da parte degli Israeliani. Affermano che il fallimento nell’investigare penalmente questo caso e nell’assicurare i responsabili alla giustizia rappresentano il persistere di Israele nel fornire l’immunità ai propri soldati nei territori Palestinesi occupati (oPt). La famiglia della Corrie ha intentato una causa civile dinanzi alla Corte Distrettuale di Haifa. Le udienze sono in programma per il tre ed il sei aprile del 2011. Saranno chiamati a testimoniare diversi soldati e comandanti israeliani coinvolti, al pari dei colleghi della Corrie che erano presenti quando l’assassinio è avvenuto.

Al Mezan, Al Dameer e GCMHP esprimono la loro piena solidarietà ai familiari della Corrie nei loro tentativi di ottenere giustizia per la propria figlia. Ottenere giustizia per la Corrie e processare i responsabili del suo assassinio significa in parte ottenere giustizia per tutte le vittime delle violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani da parte di Israele.

Le indagini sul campo hanno dimostrato che all’incirca alle 4:45 del pomeriggio di domenica, 16 marzo 2003, l’esercito israeliano ha ucciso Rachel Corrie mentre cercava di impedire ai bulldozer israeliani di demolire alcune case palestinesi nel quartiere As-Salam nella città di Rafah, a sud della Striscia di Gaza. Il soldato israeliano che guidava il bulldozer è passato sopra la Corrie mentre era ancora viva. La Corrie indossava abiti civili e un giubbotto fluorescente per garantire una chiara visibilità e per assicurarsi che i soldati vedessero che era un civile, un attivista per la pace. Teneva in mano un megafono con cui cercava di parlare al conducente del bulldozer, che stava demolendo le case palestinesi in quell’area.

Nonostante le prove evidenti nel caso della Corrie, il gran numero di testimoni oculari, le foto che mostrano l’assassinio della Corrie per mano delle truppe israeliane, e nonostante gli sforzi incessanti dei familiari e delle organizzazioni per i diritti umani e degli attivisti per ottenere giustizia, purtroppo essa ancora manca.

Il tribunale israeliano dovrebbe tenere la prossima settimana le udienze del processo civile riguardante l’assassinio della Corrie. Al Mezan, Al Dameer e GCMHP approfittano di questa occasione per affermare che il caso della Corrie rappresenta un nuovo test per il sistema giudiziario israeliano. Questo caso fornirà a questo sistema un’altra possibilità di dimostrare che è in grado di funzionare come un sistema indipendente che cerca di ottenere giustizia e di applicare la legge, piuttosto che continuare a rafforzare il suo atteggiamento politicizzato cercando di proteggere l’esercito, anche quando esso commette gravi violazioni, e di difendere Israele, la sua immagine e i suoi interessi a spese dello stato di diritto e della giustizia.

Al Mezan, Al Dameer e GCMHP ribadiscono la loro ferma condanna per l’assassinio di Rachel Corrie quale chiara violazione del diritto internazionale e dei principi dei diritti umani. Facciamo appello alla comunità internazionale affinché venga assicurata giustizia e vengano rispettati i diritti umani, e di combattere la politica dell’immunità con l’applicazione dei principi del diritto internazionale, per impedire che ulteriori violazioni vengano commesse in futuro.

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4 aprile 2011

Boicottare Israele dall'interno


Non si sottolineerà mai abbastanza l’importanza della campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) con cui, in tutto il mondo, la società civile conduce, con sempre maggior successo, la propria lotta contro i crimini dell’occupazione israeliana e la quotidiana violazione dei diritti umani dei Palestinesi.

E anche all’interno di Israele non sono poche le persone di buona volontà che, nonostante l’enorme pressione contraria e gli strumenti legislativi che si intendono approntare per combattere il fenomeno, conducono la loro lotta coraggiosa per la pace e la giustizia.

Di questo tratta l’articolo che Mya Guarnieri ha scritto lo scorso 26 marzo per il sito web in lingua inglese di al Jazeera, qui proposto nella traduzione offerta dal sito Stop Agrexco Italia.


di Mya Guarnieri – 26.3.2011

È stato l'Egitto a farmi cominciare a pensare al movimento Boicottaggio Disinvestimento e Sanzioni (BDS) in modo serio. Stavo già conducendo un boicottaggio mirato sotto tono dei prodotti provenienti dagli insediamenti – leggendo in silenzio le etichette al supermercato per essere sicuro di non comprare nulla che proveniva da oltre la linea verde.

L'avevo fatto da tempo. Ma, a un certo punto, ho capito che il mio personale boicottaggio mirato era un po' ingenuo. E ho capito che non bastava.

Non sono solo gli insediamenti e l'occupazione, le due facce della stessa medaglia, che rappresentano un grave ostacolo alla pace e violano i diritti umani dei palestinesi. È anche tutto ciò che li sostiene - il governo e le sue istituzioni. È la bolla dentro la quale molti israeliani vivono, l'illusione della normalità. È l'idea che lo status quo è sostenibile.

E gli insediamenti sono un diversivo, un bersaglio conveniente per la rabbia. Gli israeliani devono anche affrontare una delle maggiori ingiustizie che ha avuto come risultato la creazione del loro stato - la Nakba, l'espulsione di centinaia di migliaia di palestinesi.

Anche se la campagna BDS affronta ciò, oltre ad altre questioni - i tre principi del movimento sono il rispetto per il diritto di ritorno dei palestinesi, come indicato nella risoluzione ONU 194, la fine dell'occupazione e la parità di diritti per i cittadini palestinesi di Israele - sono rimasta riluttante a farmi coinvolgere.

Devo ammettere che il movimento mi spaventava. Non pensavo che sarebbe stato di aiuto. Ero sicura che avrebbe solo spinto Israele ad impuntarsi ancora più forte. Farà peggiorare le cose per tutti, ho pensato.

L'Egitto era il punto di svolta per me. Sono stata euforica a vedere le immagini di persone scendere in piazza per chiedere un cambiamento. E mentre i Palestine Papers dimostrano che il governo israeliano sembra intenzionato a mantenere lo status quo, conosco tanti israeliani che sono stufi di questo.

Ci sono madri che non vogliono mandare i loro figli nell'esercito; soldati che risentono di dover proteggere i coloni. Recentemente ho parlato con un uomo di 44 anni – una persona normale, un padre di due figli - che mi ha detto che è così frustrato con il governo e così preoccupato per il futuro che vuole bruciare qualcosa.

E l'Egitto è sulle labbra di molti israeliani in questo momento. Allora, che cosa si può fare per contribuire a portarlo dalle labbra ai piedi degli israeliani? Cosa si può fare per spingere gli israeliani a lottare per il cambiamento, lottare per la pace, per liberarsi da un conflitto che mina la loro auto- determinazione, la loro libertà?

Il BDS ha incassato una serie di successi, e questo è uno dei motivi per il quale il Knesset israeliano sta cercando di far passare una legge, nota come "legge Boicottaggio", che potrebbe effettivamente criminalizzare gli israeliani che si uniscono al movimento, sottoponendoli a pesanti multe.

E alcuni di coloro che sono impegnati nella campagna BDS sono già sottoposti ad una immensa pressione da parte dello Stato.

''La maschera della democrazia di Israele"

Leehee Rothschild, 26 anni, è una delle decine di israeliani che hanno risposto all'appello palestinese del 2005 per il BDS. Recentemente il suo appartamento di Tel Aviv è stato perquisito. La polizia lo faceva con il pretesto della ricerca di droghe, ma è stata portata alla stazione di polizia per un breve interrogatorio che è stato concentrato interamente sulla politica.

"La persona che è venuta a liberarmi [dall'interrogatorio] è stato un ufficiale dei servizi segreti che ha detto che è incaricato a monitorare l'attività politica dell'area di Tel Aviv ", ha detto Rothschild. A chiedere il mandato di perquisizione è stato questo ufficiale.

A seguito dell'Operazione Piombo Fuso, attivisti israeliani hanno riferito di pressioni sempre maggiori da parte della polizia così come i General Security Services - conosciuti con il loro acronimo ebraico, Shabak.

Il mandato di quest'ultimo include, tra le altre cose, l'obiettivo di mantenere Israele come Stato ebraico, pertanto coloro che auspicano la democrazia diventano degli obiettivi.

Le perquisizioni, come quella subita da Rothschild, non sono rare, né sono le telefonate da parte di Shabak.

"Ovviamente [la pressione] non è niente in confronto a quello che i palestinesi devono affrontare", ha detto Rothschild. "Ma penso che stiamo toccando un nervo scoperto".

Alla domanda sulla proposta di legge sul boicottaggio, Rothschild, commenta: "Se la legge viene approvata, si strapperà, un po' di più, la maschera della democrazia di Israele".

Amore duro

Per quanto riguarda il suo coinvolgimento nella campagna BDS, Rothschild commenta che non era a conoscenza del movimento fino a quando non è diventato un argomento serio di discussione all'interno della sinistra radicale israeliana, in cui era già attiva, e anche dopo aver sentito parlare del BDS, non ha aderito alla campagna subito.

"Ho avuto delle riserve in merito [al BDS]," Rothschild ricorda. "Ci ho pensato per molto tempo e ne ho discusso con me stessa e i miei amici.

"La riserva principale che avevo era che gli aspetti economici avrebbero danneggiato per prima i più deboli della società - la gente povera – coloro che hanno il minimo effetto su quello che sta succedendo. Ma ora penso che l'occupazione sta danneggiando queste persone molto più di quanto il boicottaggio".

Rothschild rileva che i fondi statali che vengono versati in "sicurezza e difesa e nell'oppressione del popolo palestinese" potrebbero essere meglio utilizzati in Israele per aiutare gli strati socioeconomici più deboli.

"Un'altra riserva che avevo era che si potrebbe rendere l'opinione pubblica israeliana più estremista, più fondamentalista", aggiunge Rothschild. "Ma devo dire che per diventare più estremista la strada non è ora molto lunga".

Come israeliana, Rothschild, ritiene che aderire al movimento BDS sia un atto premuroso. È un atto di amore duro per il paese in cui è nata e cresciuta.

"Spero che, per alcune persone, sarà uno schiaffo in faccia e loro si sveglieranno e vedranno cosa sta succedendo ", Rothschild, dice, aggiungendo che gli oppressori sono pure oppressi.

"Il popolo israeliano è oppresso dall'occupazione - vivono all'interno di un società che è militarizzata, violenta e razzista".

'Rinnegare i miei privilegi'

Ronnie Barkan, 34 anni, spiega che ha fatto il primo passo verso il boicottaggio 15 anni fa, quando ha rifiutato di completare il servizio militare obbligatorio.

"Ci sono tante pressioni sociali [in Israele]", Barkan dice. "Siamo cresciuti sin dalla scuola materna per essere soldati. Ci insegnano che è nostro dovere [servire nell'esercito] e se non lo vuoi fare, sei un parassita o un traditore".

"La cosa peggiore è che siamo cresciuti ad essere profondamente razzisti", aggiunge. "Tutto è mirato a sostenere i privilegi [ebraici] come i padroni della terra. Sostenere la campagna BDS significa rinunciare ai miei privilegi in questa terra e insistere sull'uguaglianza per tutti".

Barkan paragona la sua adesione al movimento di boicottaggio ai "bianchi che hanno rinunciato ai loro privilegi nel Sud Africa dell'apartheid e si sono uniti alla lotta dei neri".

Quando ho rabbrividito sentendo la parola 'apartheid', Barkan ha subito risposto: "Israele è chiaramente conforme alla definizione giuridica del 'crimine di apartheid' come definito nello Statuto di Roma".

'Mai più per nessuno'

Alcuni si oppongono al BDS perché fra le richieste c'è il riconoscimento del diritto di ritorno dei palestinesi. Questi critici dicono che l'evoluzione demografica intaccherebbe l'auto-determinazione ebraica. Ma Barkan sostiene che "il fondamento di base [del movimento] sono i diritti umani e il diritto internazionale universalmente riconosciuti".

Sottolinea che il BDS rispetta i diritti umani sia per i palestinesi che per gli ebrei e comprende fautori di uno stato democratico bi-nazionale così come quelli che credono che una soluzione a due stati sia la migliore risposta al conflitto.

Sottolinea inoltre che il BDS non è anti-semita. Né è anti-israeliano.

"La campagna di boicottaggio non prende di mira gli israeliani, ma le politiche criminali di Israele e le istituzioni che ne sono complici, non gli individui", ha detto.

"Quindi mettiamo che un musicista o accademico israeliano va all'estero e si è allontanato da una conferenza o un evento solo perché è israeliano..." comincio a chiedere.

"No, no, questo non rientra nelle linea guida del boicottaggio", Barkan dice.

"Perché questo non è un boicottaggio. Si tratta di razzismo," dico io.

"Esattamente", risponde Barkan, aggiungendo che l'appello palestinese per il BDS è "un appello molto responsabile" che "fa una differenziazione tra le istituzioni e gli individui ed è chiaramente un boicottaggio delle istituzioni criminali e le loro rappresentanti".

"Ogni volta che c'è una zona grigia", aggiunge, "noi prendiamo l'approccio più soft".

Eppure, Barkan è stato criticato per il suo ruolo nel movimento di boicottaggio.

"Mia nonna che è stata ad Auschwitz mi dice, 'Puoi pensare quello che vuoi ma non esprimere le tue politiche perché non sono belle', e io le dico: 'Tu sai chi non si è espresso 70 anni fa'".

Barkan aggiunge: "Penso che la lezione principale da trarre dall'Olocausto è 'Mai più per nessuno' e non 'mai più per gli ebrei'".

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