Io sto con chi brucia le bandiere!
Il corteo svoltosi a Milano per la festa della Liberazione del 25 aprile è stato purtroppo funestato da gravissime manifestazioni di intolleranza antisemita.
Secondo le cronache, infatti, poche decine di persone appartenenti ai centri sociali – al passaggio dei reduci della brigata ebraica che recavano uno striscione con la stella di David – hanno dapprima calpestato e poi addirittura bruciato due bandiere israeliane.
Giustamente questo deprecabile e pericoloso rigurgito di antisemitismo ha occupato per almeno due giorni l’apertura dei principali tg e le prime pagine dei più importanti quotidiani nazionali, ed ha provocato dure reprimende da parte di tutti i partiti, anche e soprattutto di quelli del centro-sinistra.
Tra i tanti, possiamo citare i commenti di Prodi (“una vile dimostrazione di intolleranza”), Bertinotti (bruciare le bandiere israeliane “è incompatibile con il 25 aprile”), Veltroni (“bruciare la bandiera israeliana è un atto da imbecilli”), del ds Fiano (“un atto vergognoso e inaccettabile”), del radicale Capezzone (“c’è un rigurgito antisemita che va denunciato per quello che è”).
Naturalmente i principali esponenti delle comunità ebraiche italiane hanno immediatamente colto la palla al balzo per dipingere gli ebrei e Israele, per l’ennesima volta, come le vittime di un odio persecutorio ed immotivato.
Così, secondo il presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane Claudio Morpurgo, gli slogan e le bandiere bruciate rappresentano “atti e parole apparentemente anti-israeliani, ma che nascondono rigurgiti anti-ebraici”, mentre il presidente della commissione rabbinica d’Italia Giuseppe Laras ha sostenuto che “era malinconico sentire quei cori proprio il 25 aprile, quando dovremmo essere concordi nel ripudiare violenza (sic!) e terrorismo”.
Dulcis in fundo, o meglio, toccando il fondo, ci è pure toccato di ascoltare lo sproloquio di quella bella faccia tosta dell’ambasciatore israeliano in Italia Ehud Gol, secondo cui “sarebbe opportuno che l’Italia ufficiale … chiedesse loro scusa (ai caduti della brigata ebraica, n.d.r.), alla luce del comportamento teppistico di ieri a Milano…; queste persone, così come gli altri che negano la Shoah e invitano alla distruzione dello Stato di Israele, sono un pericolo per il mondo democratico occidentale”.
Ma non mi dire!
Ora sarebbe il caso di riportare l’accaduto ai suoi termini reali, eliminando la tara delle esagerazioni propagandistiche.
Le persone che hanno calpestato e bruciato le bandiere israeliane a Milano avrebbero anche gridato alcuni slogan, in particolare “sionisti assassini”, “Palestina libera, Palestina rossa” e “Intifada vincerà”: si tratta forse di slogan antisemiti?
A me non pare proprio.
E’ interessante notare, peraltro, come il quotidiano israeliano Ha’aretz, nel commentare l’accaduto, abbia correttamente parlato di “proteste anti-israeliane” e di “slogan gridati in favore dei Palestinesi”, e non si sia minimamente sognato di accennare a manifestazioni di odio anti-ebraico (vedi http://www.haaretzdaily.com/hasen/spages/710782.html).
Mentre scrivo, sono in corso indagini sui fatti in discussione, coordinate dal Pm milanese Armando Spataro: vi sarebbero, in particolare, otto indagati (tra cui un cittadino giordano) per i reati di istigazione a delinquere (?), danneggiamento e manifestazione non autorizzata.
Ora, a mio giudizio, è questo l’aspetto veramente grave della vicenda, il tentativo di criminalizzare e di negare legittimità ad una libera manifestazione di pensiero, sia pure espressa in modi “violenti” e non condivisibili, da una parte ipotizzando l’avverarsi di fattispecie di reato francamente risibili, dall’altra brandendo ancora una volta il temibile marchio di infamia dell’antisemitismo.
Ed è forse proprio quest’ultima l’arma più pericolosa in mano alla propaganda sionista, perché costituisce un’arma paralizzante, che impedisce a buona parte dei commentatori e degli esponenti politici italiani ed europei di assumere delle posizioni di chiara condanna della politica razzista e criminale dello Stato israeliano, che francamente dovrebbero apparire scontate.
E’ la situazione è tanto più grave se un liberale rispettabile e stimato come Ralf Dahrendorf (su “La Repubblica”, 26 aprile) giunge ad affermare che “ovviamente, in teoria, si può senz’altro opporsi alla politica israeliana senza essere antisemiti …. ma fare questa distinzione riesce sempre più difficile”!
Ma gridare “sionisti assassini” non è certo una manifestazione di odio antisemita, piuttosto una semplice constatazione di fatto.
Dal 1° gennaio al 25 aprile di quest’anno, e dunque in meno di 4 mesi, l’esercito israeliano ha ucciso 98 Palestinesi e ne ha feriti 396, molti di questi civili innocenti, donne, bambini.
E questi morti e questi feriti non sono frutto di tragici errori, né sono addebitabili ad un destino cinico e baro, ma derivano direttamente dalle decisioni politiche determinate dalla quasi totalità dei membri della Knesset e da quella banda di criminali che siede al governo di Israele, che hanno autorizzato e continuano ad autorizzare gli assassinii extra-giudiziari, i raid militari nei Territori occupati, il bombardamento continuo del campo di concentramento di Gaza.
Così come sono frutto delle regole d’uso delle armi da fuoco deliberate dagli alti comandi dell’esercito israeliano, contrarie ad ogni standard di legalità internazionale: non è certo un caso che gli alti gradi di Tsahal devono prestare molta attenzione quando viaggiano all’estero…
Bruciare la bandiera israeliana, dunque, non è altro che una forma di protesta estrema che prende a bersaglio una bandiera che è simbolo di oppressione, di razzismo, di morte, e insieme denuncia la presenza indebita di quella bandiera alla festa della liberazione dal regime fascista.
Perché, caro On. Bertinotti, la vera “incompatibilità esistenziale” che sussiste con il 25 aprile è proprio quella della presenza della bandiera di Israele alla manifestazione, e non certo quella di chi grida qualche slogan a favore di un popolo oppresso e massacrato.
E questi bravi cittadini della Brigata ebraica, questi eroi della Liberazione, quando mai – una volta almeno – hanno preso posizione contro i sistematici crimini di guerra commessi dai loro correligionari?
Io non potrò mai dimenticare Iman al-Hams, una ragazzina palestinese di 13 anni ferita, mentre andava a scuola, dal fuoco di alcuni soldati della brigata Givati e poi giustiziata con un intero caricatore dal loro comandante (vedi “Le mani insanguinate”, 20 ottobre 2004).
Era il 5 ottobre del 2004, e neanche nei miei peggiori incubi avrei potuto immaginare che, di lì a qualche tempo, il comandante in questione – il valoroso capitano R. – non solo sarebbe stato prosciolto da ogni accusa (per reati minori, peraltro, e non per omicidio), ma sarebbe stato addirittura promosso a maggiore.
Eppure nessuno di costoro, per quel che è dato sapere, ha espresso biasimo ed esecrazione per l’accaduto.
Ma allora, di che cosa stiamo parlando?
Per essere chiari, io non avrei mai bruciato la bandiera israeliana, perché giudico quest’atto inutile, ed anzi controproducente, perché in tal modo si è consentito ad Israele e agli ebrei di fare l’ennesimo sfoggio di quel vittimismo di cui sono maestri, sorvolando sui crimini di guerra e sulle devastazioni quotidianamente perpetrati dall’esercito israeliano.
L’informazione ufficiale infatti, more solito, ha sorvolato, ma ciò non significa che i macellai di Tsahal siano rimasti con le mani in mano.
Domenica, 23 aprile, una unità d’elité dell’esercito israeliano operante sotto copertura (ovvero uno squadrone della morte) ha eseguito a Betlemme l’ennesima esecuzione extra-giudiziaria, uccidendo due militanti palestinesi e ferendone un terzo.
I soldati israeliani, a bordo di due veicoli civili con targa israeliana, intorno alle 17:30 hanno preso posizione ad un crocevia nei pressi del Mental Hospital della cittadina palestinese, evidentemente sulla base di ben precise informazioni; l’agguato è scattato dopo qualche minuto, quando sul posto è sopraggiunta un auto con a bordo tre Palestinesi appartenenti alle Brigate al-Aqsa, che è stata crivellata da numerosi colpi d’arma da fuoco ad una distanza di circa dieci metri, senza alcun preavviso o segnale di avvertimento.
Il conducente, il 28enne Mohammed Musleh, è morto sul colpo, mentre – secondo un’inchiesta condotta dal Palestinian Centre for Human Rights sulla base di numerose testimonianze – uno degli altri due passeggeri, il 25enne Daniel Abu Hamama, benché gravemente ferito, è stato trascinato dagli israeliani ad un centinaio di metri dall’auto e successivamente liquidato con due colpi alla schiena; il terzo militante, lievemente ferito, è stato arrestato.
Un’esecuzione spietata e bestiale, dunque, un crimine di guerra – l’ennesimo – destinato non solo a restare impunito, ma soprattutto ignoto all’opinione pubblica occidentale, in virtù di quel misterioso virus sionista che impedisce ai media di fare dell’onesta informazione su quanto avviene nei Territori palestinesi occupati.
Ma non è finita qui.
Lunedì mattina, 24 aprile, un Palestinese 18enne, ad oggi non ancora identificato, è stato ucciso per essere entrato nella cd. “zona della morte” al confine tra la Striscia di Gaza ed Israele (vedi http://palestinanews.blogspot.com/2006/04/il-muro-della-morte.html).
La versione ufficiale israeliana, per la verità, ha parlato di uno “scontro a fuoco” tra il giovane e i soldati di Tsahal, i quali hanno risposto con armi automatiche e cannonate dei tank; fatto sta che nessun israeliano è rimasto ferito, mentre il corpo del giovane palestinese è stato recuperato completamente devastato da numerose pallottole e dalle schegge dei colpi di cannone (ed è questa la ragione delle difficoltà di identificazione).
Martedì pomeriggio, 25 aprile, il 17enne palestinese Mohammed Saker è stato ferito gravemente alla testa da un proiettile rivestito di gomma sparato da un soldato israeliano nel campo profughi di Askar, vicino Nablus; un altro di quegli “incidenti” causati dai cd. “non-lethal weapons” che, tuttavia, a seconda di dove ti colpiscono, riescono ad essere abbastanza letali anche loro!
Mercoledì, 26 aprile, un prigioniero politico palestinese, il 53enne Suleiman Draji, è morto nella prigione israeliana di Hasharon a causa della mancanza di cure mediche adeguate.
Giovedì, 27 aprile, nel corso dell’ennesimo assassinio extra-giudiziario, un aereo israeliano ha lanciato un missile nel villaggio di al-Zawaida, nella Striscia di Gaza, uccidendo il 27enne Wael al-Qara’an e ferendo gravemente il 23enne Abu Nejem, entrambi appartenenti alle Brigate al-Quds.
In aggiunta, nel periodo compreso tra il 20 e il 26 aprile, l’esercito israeliano ha ferito altri 20 Palestinesi, inclusi ben dieci bambini, e ne ha arrestati 72, inclusi 5 minori e 4 donne (cfr. pchr report 16-2006).
Questo per tacere della drammatica situazione umanitaria esistente nella Striscia di Gaza, strangolata dalle continue chiusure dei valichi di frontiera – che hanno quasi interamente azzerato le esportazioni e consentono pressoché solo l’accesso ai beni di prima necessità – e devastata dai continui bombardamenti.
A questo proposito, l’Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA) ci informa che la situazione è nettamente migliorata rispetto ai giorni scorsi: nella settimana compresa tra il 19 e il 25 aprile, infatti, sono stati “soltanto” 500 i colpi d’artiglieria sparati dall’esercito israeliano verso la Striscia…
Ma naturalmente i morti, i feriti, le devastazioni, la miseria, tutto questo è passato sotto silenzio, oscurato da un paio di bandiere bruciate.
E d’altra parte c’è da chiedersi se – in mancanza di quanto accaduto a Milano – l’informazione “ufficiale” avrebbe riportato qualcuna delle notizie che ho sommariamente elencato: se guardiamo ai mesi precedenti, è lecito dubitarne.
E allora se l’alternativa è tra la protesta estrema, il gesto simbolico, e l’acritico sostegno alla politica israeliana, l’acquiescenza rispetto all’oppressione del popolo palestinese, il colpevole silenzio di fronte ai crimini di guerra e alla brutalità di Israele, non posso avere dubbi: io sto con chi brucia le bandiere!
Secondo le cronache, infatti, poche decine di persone appartenenti ai centri sociali – al passaggio dei reduci della brigata ebraica che recavano uno striscione con la stella di David – hanno dapprima calpestato e poi addirittura bruciato due bandiere israeliane.
Giustamente questo deprecabile e pericoloso rigurgito di antisemitismo ha occupato per almeno due giorni l’apertura dei principali tg e le prime pagine dei più importanti quotidiani nazionali, ed ha provocato dure reprimende da parte di tutti i partiti, anche e soprattutto di quelli del centro-sinistra.
Tra i tanti, possiamo citare i commenti di Prodi (“una vile dimostrazione di intolleranza”), Bertinotti (bruciare le bandiere israeliane “è incompatibile con il 25 aprile”), Veltroni (“bruciare la bandiera israeliana è un atto da imbecilli”), del ds Fiano (“un atto vergognoso e inaccettabile”), del radicale Capezzone (“c’è un rigurgito antisemita che va denunciato per quello che è”).
Naturalmente i principali esponenti delle comunità ebraiche italiane hanno immediatamente colto la palla al balzo per dipingere gli ebrei e Israele, per l’ennesima volta, come le vittime di un odio persecutorio ed immotivato.
Così, secondo il presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane Claudio Morpurgo, gli slogan e le bandiere bruciate rappresentano “atti e parole apparentemente anti-israeliani, ma che nascondono rigurgiti anti-ebraici”, mentre il presidente della commissione rabbinica d’Italia Giuseppe Laras ha sostenuto che “era malinconico sentire quei cori proprio il 25 aprile, quando dovremmo essere concordi nel ripudiare violenza (sic!) e terrorismo”.
Dulcis in fundo, o meglio, toccando il fondo, ci è pure toccato di ascoltare lo sproloquio di quella bella faccia tosta dell’ambasciatore israeliano in Italia Ehud Gol, secondo cui “sarebbe opportuno che l’Italia ufficiale … chiedesse loro scusa (ai caduti della brigata ebraica, n.d.r.), alla luce del comportamento teppistico di ieri a Milano…; queste persone, così come gli altri che negano la Shoah e invitano alla distruzione dello Stato di Israele, sono un pericolo per il mondo democratico occidentale”.
Ma non mi dire!
Ora sarebbe il caso di riportare l’accaduto ai suoi termini reali, eliminando la tara delle esagerazioni propagandistiche.
Le persone che hanno calpestato e bruciato le bandiere israeliane a Milano avrebbero anche gridato alcuni slogan, in particolare “sionisti assassini”, “Palestina libera, Palestina rossa” e “Intifada vincerà”: si tratta forse di slogan antisemiti?
A me non pare proprio.
E’ interessante notare, peraltro, come il quotidiano israeliano Ha’aretz, nel commentare l’accaduto, abbia correttamente parlato di “proteste anti-israeliane” e di “slogan gridati in favore dei Palestinesi”, e non si sia minimamente sognato di accennare a manifestazioni di odio anti-ebraico (vedi http://www.haaretzdaily.com/hasen/spages/710782.html).
Mentre scrivo, sono in corso indagini sui fatti in discussione, coordinate dal Pm milanese Armando Spataro: vi sarebbero, in particolare, otto indagati (tra cui un cittadino giordano) per i reati di istigazione a delinquere (?), danneggiamento e manifestazione non autorizzata.
Ora, a mio giudizio, è questo l’aspetto veramente grave della vicenda, il tentativo di criminalizzare e di negare legittimità ad una libera manifestazione di pensiero, sia pure espressa in modi “violenti” e non condivisibili, da una parte ipotizzando l’avverarsi di fattispecie di reato francamente risibili, dall’altra brandendo ancora una volta il temibile marchio di infamia dell’antisemitismo.
Ed è forse proprio quest’ultima l’arma più pericolosa in mano alla propaganda sionista, perché costituisce un’arma paralizzante, che impedisce a buona parte dei commentatori e degli esponenti politici italiani ed europei di assumere delle posizioni di chiara condanna della politica razzista e criminale dello Stato israeliano, che francamente dovrebbero apparire scontate.
E’ la situazione è tanto più grave se un liberale rispettabile e stimato come Ralf Dahrendorf (su “La Repubblica”, 26 aprile) giunge ad affermare che “ovviamente, in teoria, si può senz’altro opporsi alla politica israeliana senza essere antisemiti …. ma fare questa distinzione riesce sempre più difficile”!
Ma gridare “sionisti assassini” non è certo una manifestazione di odio antisemita, piuttosto una semplice constatazione di fatto.
Dal 1° gennaio al 25 aprile di quest’anno, e dunque in meno di 4 mesi, l’esercito israeliano ha ucciso 98 Palestinesi e ne ha feriti 396, molti di questi civili innocenti, donne, bambini.
E questi morti e questi feriti non sono frutto di tragici errori, né sono addebitabili ad un destino cinico e baro, ma derivano direttamente dalle decisioni politiche determinate dalla quasi totalità dei membri della Knesset e da quella banda di criminali che siede al governo di Israele, che hanno autorizzato e continuano ad autorizzare gli assassinii extra-giudiziari, i raid militari nei Territori occupati, il bombardamento continuo del campo di concentramento di Gaza.
Così come sono frutto delle regole d’uso delle armi da fuoco deliberate dagli alti comandi dell’esercito israeliano, contrarie ad ogni standard di legalità internazionale: non è certo un caso che gli alti gradi di Tsahal devono prestare molta attenzione quando viaggiano all’estero…
Bruciare la bandiera israeliana, dunque, non è altro che una forma di protesta estrema che prende a bersaglio una bandiera che è simbolo di oppressione, di razzismo, di morte, e insieme denuncia la presenza indebita di quella bandiera alla festa della liberazione dal regime fascista.
Perché, caro On. Bertinotti, la vera “incompatibilità esistenziale” che sussiste con il 25 aprile è proprio quella della presenza della bandiera di Israele alla manifestazione, e non certo quella di chi grida qualche slogan a favore di un popolo oppresso e massacrato.
E questi bravi cittadini della Brigata ebraica, questi eroi della Liberazione, quando mai – una volta almeno – hanno preso posizione contro i sistematici crimini di guerra commessi dai loro correligionari?
Io non potrò mai dimenticare Iman al-Hams, una ragazzina palestinese di 13 anni ferita, mentre andava a scuola, dal fuoco di alcuni soldati della brigata Givati e poi giustiziata con un intero caricatore dal loro comandante (vedi “Le mani insanguinate”, 20 ottobre 2004).
Era il 5 ottobre del 2004, e neanche nei miei peggiori incubi avrei potuto immaginare che, di lì a qualche tempo, il comandante in questione – il valoroso capitano R. – non solo sarebbe stato prosciolto da ogni accusa (per reati minori, peraltro, e non per omicidio), ma sarebbe stato addirittura promosso a maggiore.
Eppure nessuno di costoro, per quel che è dato sapere, ha espresso biasimo ed esecrazione per l’accaduto.
Ma allora, di che cosa stiamo parlando?
Per essere chiari, io non avrei mai bruciato la bandiera israeliana, perché giudico quest’atto inutile, ed anzi controproducente, perché in tal modo si è consentito ad Israele e agli ebrei di fare l’ennesimo sfoggio di quel vittimismo di cui sono maestri, sorvolando sui crimini di guerra e sulle devastazioni quotidianamente perpetrati dall’esercito israeliano.
L’informazione ufficiale infatti, more solito, ha sorvolato, ma ciò non significa che i macellai di Tsahal siano rimasti con le mani in mano.
Domenica, 23 aprile, una unità d’elité dell’esercito israeliano operante sotto copertura (ovvero uno squadrone della morte) ha eseguito a Betlemme l’ennesima esecuzione extra-giudiziaria, uccidendo due militanti palestinesi e ferendone un terzo.
I soldati israeliani, a bordo di due veicoli civili con targa israeliana, intorno alle 17:30 hanno preso posizione ad un crocevia nei pressi del Mental Hospital della cittadina palestinese, evidentemente sulla base di ben precise informazioni; l’agguato è scattato dopo qualche minuto, quando sul posto è sopraggiunta un auto con a bordo tre Palestinesi appartenenti alle Brigate al-Aqsa, che è stata crivellata da numerosi colpi d’arma da fuoco ad una distanza di circa dieci metri, senza alcun preavviso o segnale di avvertimento.
Il conducente, il 28enne Mohammed Musleh, è morto sul colpo, mentre – secondo un’inchiesta condotta dal Palestinian Centre for Human Rights sulla base di numerose testimonianze – uno degli altri due passeggeri, il 25enne Daniel Abu Hamama, benché gravemente ferito, è stato trascinato dagli israeliani ad un centinaio di metri dall’auto e successivamente liquidato con due colpi alla schiena; il terzo militante, lievemente ferito, è stato arrestato.
Un’esecuzione spietata e bestiale, dunque, un crimine di guerra – l’ennesimo – destinato non solo a restare impunito, ma soprattutto ignoto all’opinione pubblica occidentale, in virtù di quel misterioso virus sionista che impedisce ai media di fare dell’onesta informazione su quanto avviene nei Territori palestinesi occupati.
Ma non è finita qui.
Lunedì mattina, 24 aprile, un Palestinese 18enne, ad oggi non ancora identificato, è stato ucciso per essere entrato nella cd. “zona della morte” al confine tra la Striscia di Gaza ed Israele (vedi http://palestinanews.blogspot.com/2006/04/il-muro-della-morte.html).
La versione ufficiale israeliana, per la verità, ha parlato di uno “scontro a fuoco” tra il giovane e i soldati di Tsahal, i quali hanno risposto con armi automatiche e cannonate dei tank; fatto sta che nessun israeliano è rimasto ferito, mentre il corpo del giovane palestinese è stato recuperato completamente devastato da numerose pallottole e dalle schegge dei colpi di cannone (ed è questa la ragione delle difficoltà di identificazione).
Martedì pomeriggio, 25 aprile, il 17enne palestinese Mohammed Saker è stato ferito gravemente alla testa da un proiettile rivestito di gomma sparato da un soldato israeliano nel campo profughi di Askar, vicino Nablus; un altro di quegli “incidenti” causati dai cd. “non-lethal weapons” che, tuttavia, a seconda di dove ti colpiscono, riescono ad essere abbastanza letali anche loro!
Mercoledì, 26 aprile, un prigioniero politico palestinese, il 53enne Suleiman Draji, è morto nella prigione israeliana di Hasharon a causa della mancanza di cure mediche adeguate.
Giovedì, 27 aprile, nel corso dell’ennesimo assassinio extra-giudiziario, un aereo israeliano ha lanciato un missile nel villaggio di al-Zawaida, nella Striscia di Gaza, uccidendo il 27enne Wael al-Qara’an e ferendo gravemente il 23enne Abu Nejem, entrambi appartenenti alle Brigate al-Quds.
In aggiunta, nel periodo compreso tra il 20 e il 26 aprile, l’esercito israeliano ha ferito altri 20 Palestinesi, inclusi ben dieci bambini, e ne ha arrestati 72, inclusi 5 minori e 4 donne (cfr. pchr report 16-2006).
Questo per tacere della drammatica situazione umanitaria esistente nella Striscia di Gaza, strangolata dalle continue chiusure dei valichi di frontiera – che hanno quasi interamente azzerato le esportazioni e consentono pressoché solo l’accesso ai beni di prima necessità – e devastata dai continui bombardamenti.
A questo proposito, l’Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA) ci informa che la situazione è nettamente migliorata rispetto ai giorni scorsi: nella settimana compresa tra il 19 e il 25 aprile, infatti, sono stati “soltanto” 500 i colpi d’artiglieria sparati dall’esercito israeliano verso la Striscia…
Ma naturalmente i morti, i feriti, le devastazioni, la miseria, tutto questo è passato sotto silenzio, oscurato da un paio di bandiere bruciate.
E d’altra parte c’è da chiedersi se – in mancanza di quanto accaduto a Milano – l’informazione “ufficiale” avrebbe riportato qualcuna delle notizie che ho sommariamente elencato: se guardiamo ai mesi precedenti, è lecito dubitarne.
E allora se l’alternativa è tra la protesta estrema, il gesto simbolico, e l’acritico sostegno alla politica israeliana, l’acquiescenza rispetto all’oppressione del popolo palestinese, il colpevole silenzio di fronte ai crimini di guerra e alla brutalità di Israele, non posso avere dubbi: io sto con chi brucia le bandiere!