30 marzo 2011

In Europa le menzogne israeliane hanno sempre meno presa.

Nell’interessante articolo che segue, scritto da Daud Abdullah per il sito web di al-Jazeera e qui proposto nella traduzione offerta da Medarabnews, si da’ conto di un recente sondaggio condotto in vari paesi europei, da cui si evince un sempre crescente distacco tra i cittadini Ue e i rispettivi governi nazionali riguardo a Israele, al suo essere o meno uno stato “democratico”, ai rapporti da tenere con esso.

Nonostante l’aggressività e l’influenza economica e politica della lobby ebraica nei vari paesi europei, e malgrado la disinformazione sparsa a piene mani dai media di regime, nell’opinione pubblica si fa’ strada ogni giorno di più la consapevolezza della brutalità e dell’efferatezza dei crimini commessi da Israele e dell’intollerabilità delle quotidiane violazioni dei diritti umani poste in essere da questo stato-canaglia ai danni del popolo palestinese.

Una spinta in più per proseguire ed intensificare l’opera di informazione sui crimini dell’occupazione israeliana e le campagne di boicottaggio e di disinvestimento nei confronti dello stato ebraico.

Gli Europei divisi su Israele. di Daud Abdullah – 13.3.2011

Il Medio Oriente non è l’unica regione in cui si assiste ad un crescente divario tra i governi e le persone. Un importante sondaggio condotto in Europa ha mostrato come i governi siano sempre meno in sintonia con le opinioni delle loro popolazioni sul conflitto in Palestina.

Questo è uno dei principali risultati di un’indagine effettuata da un istituto di sondaggi con sede a Londra, l’unità di ricerca governativa e sociale dell’ICM, per conto del Centro Studi di Al Jazeera, del Middle East Monitor e del Muslim European Research Centre.

Il sondaggio, il primo del suo genere a concentrarsi esclusivamente sulle percezioni degli europei nei confronti del conflitto, è stato condotto in Germania, Francia, Spagna, Italia, Paesi Bassi e Gran Bretagna.

Dalla sua creazione nel 1948, gli europei hanno sempre simpatizzato con lo Stato di Israele. Gli hanno profuso illimitata assistenza diplomatica, politica e militare, e persino risorse nucleari, gentilmente offerte dai francesi. Il sondaggio rivela che ora gli europei guardano con poca simpatia a pratiche che sono chiaramente illegali, ingiuste e oppressive.

Mentre i governi europei, individualmente e collettivamente, rendono regolarmente omaggio alla democrazia israeliana – affermando che è l’unica democrazia in Medio Oriente – le loro opinioni pubbliche sono riluttanti a farlo. Il 34% delle 7.045 persone intervistate ritiene che Israele non sia una democrazia, mentre meno della metà del campione, ovvero il 45%, crede che lo sia.

In Italia e in Spagna, uno stupefacente 41% ritiene che Israele non sia una democrazia. Esprimendo questo punto di vista, l’opinione pubblica europea sembra voler dire ai governi: la nostra fedeltà va ai principi di democrazia, e non ai politici di carriera che agiscono in modo diverso.

Uno dei motivi più salienti dietro questo atto di accusa contro la democrazia israeliana è rappresentato dalle sue azioni “illegali” e dalla sua indifferenza nei confronti degli standard internazionali di comportamento. Metà degli europei, il 53%, considera illegale l’assedio alla Striscia di Gaza, il 60% ha detto che l’invasione dell’énclave nel 2008-09 è stata illegale, mentre il 64% ha affermato che l’attacco di Israele contro la Freedom Flotilla nel maggio 2010 era anch’esso illegale. Il messaggio che emerge dal sondaggio, a quanto pare, è che il futuro sostegno da parte degli europei deve essere guadagnato, e non va dato per scontato sulla base di menzogne o di un’adesione solo parziale alle norme internazionali.

Similmente, più di un terzo degli intervistati (il 34%) ha detto che gli ebrei che hanno la cittadinanza in un paese europeo non dovrebbero essere autorizzati a servire nell’esercito israeliano, a fronte di un mero 17% che ha affermato il contrario.

Israele come ‘potenza occupante’

Il cambiamento in atto oggi corrisponde al rifiuto del paradigma della «guerra al terrore», cinicamente usato come copertura per negare ai palestinesi il diritto fondamentale alla libertà. Gli europei, dunque, sono tornati alla formula «occupato/occupante». Il sondaggio ha rivelato una migliore comprensione della natura dell’occupazione israeliana.

Ha dimostrato che il 49% degli intervistati riconosce in Israele la potenza occupante, mentre il 22% ha dichiarato di non sapere se lo fosse o meno. Quando l’Università di Glasgow condusse il suo studio in Gran Bretagna nel 2001 scoprì che il 71% non sapeva che fossero gli israeliani ad occupare i territori palestinesi.

Benché il sondaggio dell’ICM riveli un netto miglioramento nella comprensione del conflitto, esso dimostra una chiara mancanza di consapevolezza della situazione, considerando il fatto che ci sono molte risoluzioni delle Nazioni Unite che fanno esplicito riferimento ad Israele come potenza occupante. In realtà, quindi, più cittadini europei dovrebbero essere consapevoli del parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia del 2004, nel quale si afferma che “gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme Est, sono illegali, ed un ostacolo alla pace e allo sviluppo economico e sociale” .

Un’altra rivelazione interessante emersa dal sondaggio riguarda il tema delle critiche rivolte a Israele. Mentre il 50% degli intervistati è d’accordo con l’opinione secondo la quale criticare Israele non rende una persona antisemita, solo il 12% ha detto che criticare Israele significa essere antisemita.

Questo particolare risultato, senza dubbio, colpisce al cuore le affermazioni di lobbisti filo-israeliani e di personaggi del calibro dell’ex primo ministro spagnolo Jose Maria Aznar, che equiparano il rivolgere critiche contro Israele all’antisemitismo.

Chiaramente sotto le pressioni di un’aggressiva lobby filo-israeliana, molti governi europei, tra cui la Gran Bretagna, hanno preso provvedimenti per cambiare le loro leggi in materia di giurisdizione universale. Il sondaggio, tuttavia, ha mostrato che una chiara maggioranza, il 58%, si oppone all’idea di cambiare le leggi al fine di rendere più facile a persone accusate di crimini di guerra recarsi in Europa, mentre solo il 10% è d’accordo con tali modifiche. In Gran Bretagna, solo il 7% sostiene simili cambiamenti.

Questa è la percentuale più bassa registrata in Europa. Va rilevato che 2.000 persone sono state intervistate in Gran Bretagna con un margine di errore del 2%. Eppure il governo in carica è determinato a portare avanti questa impopolare politica. Il messaggio clamoroso è che la giustizia non è monopolio di un determinato popolo, di una specifica religione o di un dato paese. Si tratta di un valore universale.

Coinvolgere Hamas

Un’importante risultato del sondaggio riguarda infine l’inclusione o l’esclusione di Hamas dai colloqui di pace. Sebbene l’Unione Europea abbia deciso nel 2003 di includere Hamas nella lista delle organizzazioni “terroristiche” e di escluderlo da qualsiasi negoziato, il 45% degli intervistati ha detto che Hamas dovrebbe essere coinvolto.

In Gran Bretagna, dove l’ex ministro degli esteri Jack Straw aveva svolto un ruolo fondamentale nell’inserire Hamas in questa lista, il 44% ritiene che Hamas dovrebbe essere incluso nel processo politico, e solo il 19% afferma che il movimento dovrebbe esserne escluso. Ancora una volta, su un tema tanto importante, i governi europei sembrano essere da una parte e le loro popolazioni da un’altra.

Negli ultimi anni Israele ha investito enormi risorse umane e materiali per migliorare la sua immagine pubblica in Europa. Mentre il sondaggio dell’ICM ha dimostrato che la sua lobby europea ha influito sulla politica così come sui mass media, tale azione di lobby non si è trasformata in sostegno pubblico.

La causa di questa sconfitta è la percezione crescente dell’opinione pubblica che Israele sia uno Stato che cerca di progredire e prosperare attraverso la sottomissione di un altro popolo. Oggi il pubblico europeo vede le cose diversamente. A differenza dei suoi governi, ritiene che la realizzazione di ciascuno potrà essere ottenuta soltanto attraverso il riconoscimento della dignità umana fondamentale e della libertà di tutte le altre persone, compresi i palestinesi.

Daud Abdullah è direttore del Middle East Monitor (MEMO)

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3 aprile 2008

I semi dell'odio.

Tratto da arabnews, quello che segue è un articolo pubblicato il 6 marzo scorso su al-Ahram Weekly, l'edizione in lingua inglese dell'omonimo quotidiano egiziano, che analizza dal punto di vista arabo i problemi dell'immigrazione, delle disuguaglianze tra il nord e il sud del mondo, della difficoltà che incontrano le minoranze musulmane ad integrarsi nel continente europeo.
Una interessante e diversa prospettiva di un drammatico problema con cui oggi stentiamo a confrontarci efficacemente.
I semi dell'odio.
Vi è una sinistra connessione fra l’ascesa di sentimenti anti-musulmani in Occidente e la tiepida reazione alla plateale campagna di sterminio che Israele ha scatenato contro i palestinesi a Gaza. Dietro la maschera della libertà di espressione, alcuni media ed alcuni responsabili politici dell’Europa Occidentale, incluso di recente il ministro degli interni tedesco Wolfgang Schaeuble, hanno cercato di diffamare l’Islam e i suoi simboli, definendolo come una cultura di crudeltà e terrorismo. In Europa l’Islam è ormai diventato facile bersaglio di vignettisti, politici ultraconservatori, e specifici gruppi di interessi. Questo atteggiamento fornisce una facile copertura ad Israele, che può impunemente continuare il suo massacro di palestinesi a Gaza.

L’Europa Occidentale si trova sotto il sortilegio di un’ondata neoconservatrice giunta attraverso l’Atlantico dagli Stati Uniti, dopo l’11 settembre. Germania, Francia, Olanda e Gran Bretagna sono guidate da governi conservatori che vedono l’Islam come un nemico. Gli episodi terroristici in Spagna e Gran Bretagna, l’immigrazione clandestina, gli effetti che una manodopera non specializzata e a basso costo ha avuto sul mercato del lavoro, e la resistenza degli immigrati all’assimilazione culturale forzata, continuano e creare tensioni sociali e problemi politici. Allo stesso modo, per i musulmani arabi e non arabi l’Europa Occidentale non è esattamente quel crogiolo di culture che accoglie gli stranieri, dà loro uguali opportunità, ed accetta un lento processo di integrazione che può richiedere più di una generazione per essere portato a termine.

Per generazioni l’Europa ha sofferto le conseguenze dell’intolleranza etnica e religiosa esacerbata dalla competizione coloniale e dalla guerra. Nel redigere la Carta delle Nazioni Unite alla fine della seconda guerra mondiale, le potenze occidentali parlarono della necessità di “salvare le future generazioni dal flagello della guerra”, ovvero dalla guerra causata dagli europei, “che per due volte nella nostra epoca ha portato indicibile dolore all’umanità”. La Dichiarazione di Helsinki del 1975 pose fine alle secolari guerre, dispute, e rivendicazioni territoriali europee. Ma le ambizioni coloniali nei confronti dei paesi in via di sviluppo rimasero inalterate, anche se dissimulate sotto forme differenti, mirando a quei paesi ricchi di risorse naturali, e soprattutto di petrolio. Le ex potenze coloniali esportarono le loro guerre, insieme al loro “problema ebraico”, in direzione di vulnerabili paesi in via di sviluppo, dove l’instabilità forniva una scusa per intervenire. Secondo la prospettiva araba, Israele fu creato come una personificazione del colonialismo – una entità razzista e violenta appoggiata dall’Occidente, che promuove l’instabilità e la dominazione coloniale nella regione mediorientale. Nei passati 60 anni, Israele ha sparso i semi della violenza che continueranno a produrre il loro orrendo raccolto ancora per decenni.

Gli Stati Uniti e l’Europa hanno portato avanti l’agenda della globalizzazione, che prevedeva l’apertura dei confini, la diffusione del libero mercato, la mobilità delle persone e della manodopera, il libero flusso degli investimenti, la deregolamentazione finanziaria, e l’eliminazione delle barriere commerciali. La tolleranza, la non discriminazione, e l’accettazione dell’ “altro” furono introdotte come i puntelli politico-ideologici del nuovo mondo post-comunista e globalizzato degli anni ’90 ed oltre. Ora, tuttavia, abbiamo esempi a profusione per mostrare che il nuovo approccio alle relazioni internazionali è stato progettato in primo luogo per servire il desiderio occidentale di espandersi verso nuovi mercati, mentre non sono stati offerti vantaggi equivalenti ai paesi in via di sviluppo. Tuttavia, nel mondo in rapida evoluzione del XXI secolo, la Cina è emersa come una nuova potenza, raccogliendo molti dei benefici della globalizzazione, ed entrando a far parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, mentre i prezzi petroliferi alle stelle hanno ridotto il vantaggio di cui l’Occidente godeva in precedenza. Solo nel commercio delle armi e nella tecnologia avanzata l’Occidente mantiene tuttora un vantaggio. In questo contesto, gli inviti alla tolleranza, alla non discriminazione, ed all’accettazione dell’ “altro” sollevano alcuni punti interrogativi, soprattutto con l’ascesa del neo-sciovinismo in Europa e del neo-conservatorismo negli Stati Uniti.

La partnership euro-mediterranea proclamata dalla Dichiarazione di Barcellona nel 1995 era apparentemente costruita su tre pilastri: una partnership politica e di sicurezza, una partnership economica e finanziaria, ed un terzo livello dedicato allo sviluppo di questioni sociali e culturali. Questa partnership avrebbe dovuto essere implementata attraverso il cosiddetto processo di Barcellona. Tale processo sembra essersi ormai ridotto alla raccolta ed alla condivisione di informazioni di intelligence riguardo a potenziali atti terroristici, ed al tentativo di bloccare l’immigrazione clandestina.

Nel momento in cui l’Europa Occidentale non ha alcuna tradizione di diversità etnica, ed i non europei vengono accettati soltanto per la necessità di risarcire il debito lasciato dall’eredità coloniale, i conflitti politici e sociali diventano inevitabili. I musulmani, la nuova “bestia nera” dell’Europa intollerante, hanno ancora molta strada da fare per raggiungere un equilibrio fra le loro origini culturali e le norme delle loro società di adozione. E’ un compromesso che dovranno raggiungere se vorranno fondersi con le società europee, che per secoli abbracciarono la cultura della guerra, del colonialismo, e della xenofobia.

L’Islam radicale è un fenomeno che emerse come meccanismo di autodifesa contro le brutali forze del neocolonialismo e del predominio. Quando combatté l’occupazione sovietica dell’Afghanistan, venne celebrato come guerra santa islamica. Quando si oppose all’invasione americana dell’Afghanistan e dell’Iraq, fu condannato come terrorismo. In entrambi i casi non fu l’Islam della maggioranza, ma solo una tendenza transitoria che fu invocata per respingere l’aggressione straniera. Per Israele ed i suoi alleati razzisti, dipingere l’Islam come una minaccia globale degna di essere temuta e odiata significa inculcare quegli stessi sentimenti che scatenarono alcune delle forze più oscure della storia moderna, con dolorose conseguenze. Israele ed i suoi sostenitori si basano esclusivamente sull’uso della nuda forza militare. La superiorità militare ha creato imperi, ma li ha anche distrutti. L’eterna lezione della storia è che “chi vive colpendo di spada, ugualmente muore di spada”.

Ayman el-Amir è un giornalista egiziano; è stato corrispondente da Washington per il quotidiano “al-Ahram”; è stato anche direttore della radio e della televisione dell’ONU a New York
Titolo originale:
[1]
Seeds of hatred

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