2 ottobre 2008

Uno Stato ebraico razzista.

Lo scorso 28 settembre, la Corte Suprema israeliana ha tenuto udienza per discutere di una petizione avanzata da Adalah e da altre organizzazioni per la tutela dei diritti umani, volta a chiedere che si ponga fine alla politica portata avanti dalla Israel Land Administration (ILA), che impedisce ai cittadini israeliani non ebrei di avanzare offerte d’acquisto per i terreni sotto il controllo del Jewish National Fund (JNF).

Secondo Adalah, infatti, l’ILA – in quanto organismo statale – nell’assegnare i terreni deve agire nel rispetto del principio di uguaglianza, e i cittadini arabi di Israele devono poter esercitare pienamente e liberamente il loro diritto alla terra. Al contrario, permettendo la vendita dei terreni controllati dal JNF soltanto agli ebrei, l’ILA partecipa attivamente nel perpetuare le odiose discriminazioni ai danni della popolazione araba israeliana.

Nel corso dell’udienza, gli avvocati che rappresentano il Jewish National Fund hanno annunciato di convenire su una precedente proposta avanzata dallo Stato di Israele, secondo la quale l’Israel Land Administration potrà assegnare i terreni in questione sulla base del principio di eguaglianza ma, in cambio, lo Stato compenserà il JNF per ogni singolo lotto di terra acquistato da cittadini non ebrei.

Poiché, tuttavia, il JNF e lo Stato di Israele non sono ancora riusciti ad accordarsi sulla formula con cui concretamente dovrebbe avvenire tale compensazione, la Corte ha concesso un rinvio di ulteriori trenta giorni al fine di raggiungere un eventuale accordo.

Il che, considerando che la petizione di Adalah è stata presentata nel 2004, fa impallidire persino i cronici ritardi della giustizia italiana…

La questione è di non poca rilevanza, dato che il JNF attualmente detiene circa 250.000 ettari di terra, pari al 13% dell’intera superficie di Israele, terra che fino ad oggi, come abbiamo visto, poteva essere venduta soltanto ai cittadini di religione ebraica per il tramite dell’ILA, una apposita agenzia governativa.

Qualora la Corte Suprema israeliana dovesse dare il proprio giudizio favorevole all’accordo tra lo Stato e il JNF, lo Stato di Israele dovrebbe compensare il JNF ogni volta che questo vende la propria terra ad un cittadino arabo, perpetuando in tal modo la politica discriminatoria nell’accesso alla terra nei confronti degli Arabi israeliani; al JNF, infatti, verrebbe consentito di tenersi comunque ben stretto quel suo 13% di territorio israeliano sul quale stabilire comunità ebraiche al 100%, laddove si consideri che la “compensazione” avverrà attraverso un meccanismo di scambio con analoghe estensioni di terra in altre zone del paese.

Chi giustifica queste politiche discriminatorie sottolinea come la mission del JNF sia proprio quella di distribuire la terra agli Ebrei della diaspora, e che i 250.000 ettari di proprietà del JNF – nelle parole di Israel Harel – sono stati comprati “dunam by dunam, clod by clod” con tante piccole donazioni nelle blue-box del JNF, per farli diventare “eterna proprietà del popolo ebraico, in accordo con il principio stabilito dal fondatore del moderno sionismo, Theodor Herzl …”.

A costoro si potrebbe far notare che – qualora non se ne fossero accorti – lo Stato di Israele è già stato fondato, e queste terre adesso devono poter servire a tutti i suoi cittadini.

Ma, soprattutto, a costoro si dovrebbe ricordare che gran parte di questi 250.000 ettari posseduti dal JNF erano in origine terre abbandonate o confiscate agli Arabi, successivamente rivendute al JNF da David Ben-Gurion nel periodo 1949-50, a prezzi irrisori.

Decisione, quella, assolutamente immorale ed illegale, in quanto non si trattava di terra di proprietà del governo israeliano, ma di quella conquistata con la guerra; decisione assunta, peraltro, con l’unico scopo di porre in essere uno stato di fatto che impedisse ai profughi arabi cacciati dalle loro terre di ritornarvi o di ottenere almeno un risarcimento.

Il titolo a questo articolo non è stato dato per caso, ma corrisponde a quello apposto ad un editoriale di Ha’aretz quando ha avuto modo di occuparsi della questione.

Salvo una diversa (e poco probabile) decisione della Corte Suprema, ILA e JNF continueranno a rappresentare la punta di diamante del persistere, in Israele, di una pratica discriminatoria nei confronti della minoranza araba che non riguarda solo l’accesso alla terra o l’edilizia abitativa (si pensi al trattamento riservato alla minoranza Beduina), ma investe anche altri settori, dalla sanità all’istruzione, dall’accesso alla cittadinanza alla distribuzione dei fondi per il welfare.

Ma c’è già chi ha affermato che uno Stato che voglia essere contemporaneamente “democratico” ed “ebraico” rappresenta una vera e propria contraddizione in termini.

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