10 novembre 2009

Coloni israeliani chiedono la demolizione di una scuola palestinese. Perchè costruita senza permesso...


Continuano senza sosta le demolizioni di strutture abitative palestinesi “illegali” da parte delle autorità israeliane. Il 2 novembre scorso, la municipalità di Gerusalemme ha demolito tre case nei quartieri di Beit Hanina e di Ath Thuri, a Gerusalemme est, causando lo sfollamento di 42 persone, tra cui 23 bambini. L’ulteriore demolizione di un residence a Sur Bahir ha lasciato senza un tetto i sei Palestinesi che lo avevano in affitto, tra i quali due bambini.

Secondo dati forniti dall’Office for The Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA – cfr. The Humanitarian Monitor, settembre 2009), dall’inizio dell’anno e fino al 30 settembre del 2009 gli Israeliani hanno demolito ben 223 strutture di proprietà palestinese, incluse 92 strutture residenziali, tra Gerusalemme est e la cd. Area C, provocando lo sfollamento di ben 515 persone, tra le quali 262 bambini.

Nell’area C – la zona a totale controllo ed amministrazione israeliani che ricomprende gli insediamenti colonici – migliaia di abitazioni palestinesi sono state costruite senza permesso e, dato che nei loro riguardi sono già stati emessi gli ordini di demolizione, sono a rischio di essere buttate giù in ogni momento. La ragione è semplice, e consiste nella circostanza che la Israeli Civil Administration (ICA) porta avanti da anni una politica di pianificazione che rende virtualmente impossibile ai Palestinesi ottenere un permesso di costruzione, costringendo molti di loro a edificare costruzioni “illegali” per far fronte alle proprie esigenze abitative.

In questi giorni, in particolare, sono a rischio di demolizione ben 257 strutture appartenenti ad una comunità di Beduini dislocata nei pressi della colonia (illegale) di Kfar Adumim, la cui rimozione è stata chiesta all’Alta Corte di giustizia israeliana da parte di una organizzazione di coloni denominata “Regavim”.

Tra queste strutture, vi è la scuola di cui parla l’articolo che segue, pubblicato l’8 novembre scorso dal quotidiano Il Manifesto”, a firma di Michele Giorgio. Una scuola indispensabile alla comunità beduina, dato che i bambini, prima, erano costretti ad andare a scuola più lontano, seguendo la superstrada che collega Gerusalemme con il Mar Morto, con la conseguenza che 3 bambini erano morti, travolti dalle macchine, e 5 erano rimasti invalidi.

Ecco come vanno finire gli sforzi umanitari a favore dei Palestinesi da parte di tanti enti e ong, in questo caso italiani. Ecco la giustizia e il diritto assicurati in un territorio in cui, caso unico al mondo, un gruppo di residenti illegali all’interno di un territorio occupato può chiedere e ottenere la distruzione delle case e delle scuole della popolazione nativa, senza che nessuno abbia niente da ridire.

E questo accade solo quando di mezzo c'è quello Stato-canaglia e razzista che ha per nome Israele.

La bio-scuola italiana per i beduini minacciata dai coloni

Una scuola per 60 bambini delle famiglie beduine dei Jahalin, tra Gerusalemme e Gerico, senza fondamenta ma ugualmente stabile e resistente, fatta di 2.200 pneumatici, fango, travi di legno, lamiere e isolante. È costata appena 35mila euro ed è stata realizzata della onlus Vento di Terra con l'aiuto economico di tre comuni lombardi, delle suore comboniane e della Cei.

Ad inaugurarla c'erano giovedì scorso il console generale d'Italia Luciano Pezzotti, i sindaci di Corsico, Cesano Boscone e Rozzano, le autorità palestinesi, i responsabili di Vento di Terra e i rappresentanti delle famiglie Jahalin. Presente anche l'ingegnere 29enne Diego Torriani che, assieme a quattro colleghi, ha progettato i tre fabbricati speciali che accolgono decine di bambini prima costretti ad andare a scuola a Gerico.

Eppure questa iniziativa, senza precedenti nei Territori occupati, che si fonda su costi bassi e il riciclaggio di materiali, è destinata a interrompersi presto. I coloni israeliani del vicino insediamento di Kfar Adumim, illegale per le leggi internazionali, hanno presentato all'Alta Corte di Giustizia una richiesta di demolizione della scuola (e di tutte le casette di lamiera dei beduini) perché costruita «senza permesso». Ma i pericoli non si fermano qui.

«Le prospettive sono nere - spiega l'avvocato israeliano Shlomo Lecker, che assiste legalmente i Jahalin - accanto alla denuncia dei coloni c'è anche una richiesta di demolizione immediata fatta dalla società pubblica per lo sviluppo della rete stradale che, proprio nell'area della scuola, intende allargare la superstrada tra Gerico e Gerusalemme».

I bambini di Jahalin e i loro genitori, che a metà settimana festeggiavano assieme agli ospiti internazionali, rischiano perciò di rimanere senza la loro scuola se, lunedì prossimo, i giudici dell'Alta Corte daranno ragione ai coloni residenti nell'illegale Kfar Adumim. Per i Jahalin sarebbe un nuovo duro colpo. Questa comunità beduina, già costretta nel 1948 a lasciare il Neghev, da anni subisce evacuazioni forzate e demolizioni.

«Questa scuola rappresenta l'attaccamento allo nostra terra e la volontà di continuare a viverci» ha spiegato un rappresentante dei Jahalin durante la cerimonia di inaugurazione. E in questi giorni tremano anche i beduini di Kissan, a qualche km da Betlemme, dove l'esercito israeliano minaccia di demolire l'ambulatorio medico, l'unico a disposizione di centinaia di persone, aperto di recente dalla Ong italiana Disvi in collaborazione con il ministero della sanità palestinese. Anche in questo caso si parla di «costruzione illegale».

La «scuola di gomma» dei Jahalin, secondo l'avvocato Lecker, potrebbe essere abbattuta dalle ruspe nel giro di qualche settimana. Con essa verrà distrutto anche un progetto che ha destato molto interesse. Il pneumatico, lo confermano studi internazionali, è un materiale resistente nelle costruzioni. Le gomme riempite di terra e pietre, posizionate a file sfalsate, assicurano una elevata elasticità. L'intonacatura esterna inoltre garantisce la protezione dei pneumatici ai raggi solari, evitandone il deterioramento o il rilascio di sostanze nocive. L'utilizzo dei materiali riciclati nei fabbricati ha avuto successo in varie parti del mondo e potrebbe rivelarsi un vero e proprio investimento per i palestinesi privi di risorse. E il presidente di Vento di Terra, Massimo Rossi, già pensa a Gaza. «Questo tipo di edifici - ci spiega - potrebbero essere una valida alternativa alle costruzioni ordinarie, visto che Israele non lascia entrare il cemento in quel territorio».

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