18 aprile 2012

Un popolo dietro le sbarre, senza alcun diritto

                

Poche cifre servono a dare la misura delle dimensioni del dramma rappresentato dai palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.

I palestinesi attualmente imprigionati nelle carceri israeliane sono circa 4.700, tra i quali 27 membri del Consiglio legislativo palestinese, 3 ex ministri, 320 detenuti in regime di detenzione amministrativa. Nove sono le donne detenute, 10.000 quelle incarcerate dal 1967 ad oggi; 185 sono i detenuti minorenni, 8.000 dal 2000 ad oggi.

Il numero complessivo di palestinesi che si è trovato a dover soggiornare nelle galere israeliane dal 1967 ad oggi è pari a circa 750.000, il 20% del totale della popolazione dei Territori occupati e il 40% della popolazione maschile (dati fonte Addameer).

In questo documentario prodotto dal Palestinian Centre for Human Rights per celebrare l'annuale Giornata dei Prigionieri Palestinesi, caduta il 17 aprile, si racconta anche altro, e cioè le condizioni terribili e disumane in cui sono costretti a vivere i prigionieri palestinesi, la quotidiana violazione dei loro diritti fondamentali, la violazione di norme basilari del diritto umanitario e di convenzioni che pure Israele formalmente risulta aver sottoscritto.
E si racconta la condizione normale di un prigioniero palestinese, le celle invivibili, il diniego di cure mediche, il diniego delle visite familiari, a volte per cinque o sei anni, la barbarie della detenzione amministrativa, che rende nulla ogni possibilità di difesa e ogni diritto processuale dell'imputato.

Da questo punto di vista, è davvero triste dover constatare che Israele assomiglia più a una dittatura di stampo sudamericano che ad un paese civile di democrazia occidentale, quale (a torto) ritiene di assomigliare.

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20 ottobre 2011

I 164 minori palestinesi prigionieri nelle carceri israeliane devono essere immediatamente rilasciati

Quella che segue è la dichiarazione ufficiale dell'eurodeputato laburista di Dublino Proinsias De Rossa, ove si chiede l'immediata scarcerazione dei minori palestinesi ancora vergognosamente detenuti, e torturati, in carceri situate all'interno di Israele.

Martedì, 17 ottobre 2011. L'europarlamentare laburista irlandese Proinsias De Rossa, Presidente della Delegazione per la Palestina del Parlamento Europeo (DPLC), ha ribadito il suo appello per il rilascio di tutti i prigionieri palestinesi minorenni detenuti nelle carceri israeliane. Secondo le statistiche dell'amministrazione carceraria israeliana vi sono attualmente 164 ragazzi detenuti di età compresa tra i 12 e i 17 anni, trentacinque dei quali hanno meno di 15 anni. Settantasei di questi ragazzi stanno scontando una condanna e i rimanenti 88 sono detenuti in regime di carcerazione preventiva. I giovani sono accusati per lo più di lancio di pietre.

Il potenziale positivo dello scambio di prigionieri attualmente in corso potrebbe essere notevolmente aumentato qualora questi giovani venissero rilasciati senza condizioni. Per Israele questo costituirebbe non solo un ritorno al rispetto del diritto internazionale ma anche un generoso gesto umanitario che rafforzerebbe la sua reputazione a livello mondiale e nella regione.

Ogni anno circa 700 minori palestinesi della Cisgiordania vengono processati nei tribunali militari israeliani a seguito di un arresto da parte dell'esercito israeliano. Si stima che dal 2000 oltre 7.500 ragazzi palestinesi siano stati arrestati e processati. Inoltre esistono rapporti credibili su maltrattamenti durante l'arresto e la detenzione preventiva ( http://www.dci-palestine.org/content/child-detention).

Detenere i minori, processarli davanti a tribunali militari e maltrattarli è nettamente in contrasto con la Convenzione di Ginevra sul trattamento dei minori da parte di una potenza occupante.

Chiedo agli Stati membri dell'Unione europea e all'Alto Rappresentante della Ue Sig.ra Cathy Ashton di sollevare la questione con le autorità israeliane nel contesto dei contatti in corso per cercare di far ripartire i negoziati sullo status definitivo e invio in copia questo appello al Primo Ministro Netanyahu tramite l'ambasciatore israeliano presso la Ue a Bruxelles.

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24 settembre 2009

Lettera/appello in favore dei prigionieri palestinesi.

La Lista Civica Nazionale Per il Bene Comune ha predisposto una lettera aperta in favore dei prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, che è stata consegnata giovedì 17 settembre al Presidente del Senato ed ai senatori presenti, tutti gli altri l'hanno poi ricevuta con il servizio postale .

Con questa lettera si è voluto segnalare che – a fronte della mobilitazione internazionale per la liberazione del soldato Shalit – nessuno sembra ricordarsi delle migliaia e migliaia di Palestinesi illegalmente detenuti nelle carceri israeliane, arrestati spesso secondo procedure arbitrarie e sottoposti a quotidiane umiliazioni, a maltrattamenti, a torture.

Ci si dimentica che Gilad Shalit non è un povero cristo qualunque, ma è un soldato appartenente a quelle forze di occupazione che dal giugno del 2007 continuano a strangolare i Palestinesi della Striscia di Gaza, sottoponendoli a una punizione collettiva – vietata dal diritto umanitario – che non ha uguali al mondo.

Ci si dimentica che in media, tra i Palestinesi incarcerati in Israele, vi sono ogni mese almeno 375 minori, 39 dei quali di età compresa tra i 12 e i 15 anni, in chiara violazione delle norme contenute nella Convenzione Onu sui diriti del fanciullo del 1989, che pure Israele risulta avere sottoscritto.

Ci si dimentica dei quasi 400 Palestinesi incarcerati in regime di detenzione amministrativa, quella vera e propria mostruosità giuridica che consente ad Israele di trattenere in carcere civili palestinesi senza alcuna accusa o processo, sulla base di qualche soffiata o invenzione prezzolata proveniente dagli scantinati dei servizi segreti israeliani.

Detenzione che può durare fino a sei mesi, ma che può essere prorogata per ulteriori sei mesi e poi sei mesi e così via all’infinito: il risultato è che almeno 218 Palestinesi – secondo i dati dell’ong B’tselem - sono detenuti in carcere da più di un anno senza che a loro carico sia stata formulata alcuna precisa accusa, senza conoscere il perché dell’arresto, senza essere stati sottoposti ad alcun processo.

Ci si dimentica, infine, che la grande maggioranza dei prigionieri palestinesi è detenuta in territorio israeliano, in chiara violazione della IV Convenzione di Ginevra.

Ritengo, dunque, importante promuovere e sottoscrivere l’appello che segue, chi vuole potrà farlo inviando una mail a: presidente@perilbenecomune.net oppure scrivendo a: Per il Bene Comune, Piaz.le Stazione 15, 44100 Ferrara – tel./fax. 0532.52.148

IL TESTO DELLA LETTERA

Signor Presidente del Senato, Signori Senatori della Repubblica,

abbiamo registrato con sorpresa la notizia che il Senato ha approvato una risoluzione che chiede il rilascio di un soldato di Israele, catturato mentre partecipava ad una operazione militare ordinata per “perlustrare” un villaggio della striscia di Gaza.

Sorprende che tale presa di posizione non abbia nemmeno accennato agli oltre 11.000 (undicimila) palestinesi rapiti e illegalmente imprigionati dall’esercito e dalle autorità d’occupazione israeliane, ben sapendo che tra queste ci sono anche il Presidente della Assemblea Nazionale (Parlamento) e oltre cinquanta sindaci e dirigenti politici palestinesi, tra cui 21 parlamentari.

Confidando sulla adesione del Senato della Repubblica alla Carta Universale dei diritti dell’Uomo e sull’indipendenza sua e degli attuali senatori dalle pressioni della lobby filo sionista, noi facciamo appello a lei ed a tutti i senatori affinché venga posto un rimedio a tale “dimenticanza”, assumendo una posizione più giusta, equilibrata e dignitosa, in cui venga chiesto alle autorità civili e militari di Israele:

di rispettare le 72 (settantadue) risoluzioni e le deliberazioni dell’ONU sin qui ignorate;

di porre fine alla occupazione militare e alla colonizzazione della Palestina e del Golan;

di liberare i colleghi parlamentari palestinesi che sono stati rapiti;

di liberare tutti i prigionieri da anni in carcere senza processo e colpevoli unicamente di non gradire l’occupazione militare della propria terra;

di fare piena luce sul traffico d’organi che avviene dopo le morti “accidentali” dei prigionieri.

Fernando Rossi

Senatore della XV Legislatura

Lista Civica Nazionale Per il Bene Comune (www.perilbenecomune.net)

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15 settembre 2009

Nelle galere israeliane c'è sempre posto per i ragazzi palestinesi!

Sono passato da una vita normale a casa ad una fatta di manette, privazione del sonno, urla, minacce, cicli di interrogatori e gravi accuse. In queste circostanze, la vita diventa cupa, piena di paura e di pessimismo, giorni così duri che le parole non possono descriverli (testimonianza di Mahmoud D., 17 anni).

Secondo gli ultimi dati forniti dalla sezione palestinese di Defence for Children International, il numero dei Palestinesi minori di 18 anni detenuti all’interno delle prigioni dell’Israeli Prison Service (IPS) o nelle strutture di detenzione dell’esercito israeliano – all’interno di Israele e nei Territori occupati – nel mese di agosto è stato pari a 339.

Resta dunque ancora alto, nel corso del 2009, il numero dei giovani palestinesi incarcerati nelle galere israeliane, con una media di 375 detenuti per mese che, rispetto al 2008, fa segnare un aumento di ben 56 unità (+ 17,5%).

Il dato che più preoccupa e disturba, tuttavia, consiste nel fatto che ben 39 degli adolescenti che languono nelle carceri di Israele sono di età compresa tra i 12 e i 15 anni, con un aumento dell’85% rispetto allo stesso dato fatto registrare nel 2008.

Israele risulta tra le nazioni firmatarie della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo del 1989, che all’articolo 37 prevede che nessun fanciullo possa essere privato della libertà in maniera illegale o arbitraria e testualmente recita: “l’arresto, la detenzione o l’imprigionamento di un fanciullo devono essere effettuati in conformità con la legge, costituire un provvedimento di ultima risorsa e avere la durata più breve possibile”.

Niente di ciò viene rispettato da Israele.

Le retate e gli arresti di Palestinesi minorenni costituiscono una routine per i lanzichenecchi di Tsahal, e vengono condotti in maniera brutale e spietata. Ragazzini indifesi vengono tirati giù dal letto alle prime ore dell’alba, buttati dentro un veicolo militare bendati e ammanettati, portati via senza alcuna indicazione alle famiglie su dove siano portati e per quali accuse siano stati arrestati.

Durante gli “interrogatori”, a questi ragazzini – a volte solo dodicenni – viene negato il permesso di vedere un avvocato o di ricevere visite dalle famiglie. Questi “interrogatori”, in realtà, confinano assai da vicino con la tortura e si avvalgono anche di tecniche proibite quali l’uso eccessivo di manette e bende sugli occhi, l’uso di calci e schiaffi, il mantenere a lungo posizioni dolorose, l’isolamento e la privazione del sonno.

Con queste gentilezze, la maggior parte dei ragazzini cedono e firmano confessioni scritte in ebraico, lingua che conoscono poco o per nulla. Gli “interrogatori” non sono mai videoregistrati, come prevede invece la legge israeliana per i propri cittadini.

Tutto questo per non parlare di quell’assoluta mostruosità giuridica che è la cd. “detenzione amministrativa”, una detenzione che avviene senza accusa o processo, ed è spesso basata su qualche soffiata o invenzione prezzolata proveniente dagli scantinati dei servizi segreti israeliani. La detenzione amministrativa può durare fino a sei mesi, ma questo iniziale periodo può essere prorogato per ulteriori sei mesi indefinitamente.

Sei mesi, e poi sei mesi, e chissà quanto tempo ancora, con una chiara e stupefacente violazione di diritti basilari quali quello di essere portati a conoscenza delle accuse che vengono rivolte, ad un giusto processo, a controbattere e a confutare i motivi della detenzione.

Due casi per tutti, e solo tra i più recenti.

Hamdi al-Ta’mari è stato arrestato per la prima volta il 25 luglio 2008, prelevato alle quattro del mattino dai soldati israeliani nella sua casa di Betlemme. Liberato il 13 novembre 2008 e successivamente arrestato di nuovo dopo un mese, Hamdi è attualmente al suo quarto ordine di detenzione amministrativa, confermato da una corte militare israeliana il 20 agosto di quest’anno. Durante un interrogatorio svoltosi nel dicembre 2008, Hamdi è stato accusato di appartenere ad un’organizzazione vietata, e tuttavia non è stato incriminato per alcun reato, non ha subito alcun processo, né alcuna prova a supporto di tale allegata appartenenza è stata mostrata ad Hamdi o al suo avvocato. Hamdi, al momento del suo primo arresto, aveva solo 15 anni.

Il 14 agosto, Rami Shilbayieh ha ricevuto il suo terzo ordine di detenzione amministrativa, successivamente confermato lo scorso 2 settembre. Quando è stato arrestato ed è stato emesso il primo ordine di detenzione amministrativa, Rami aveva 17 anni, e adesso si trova in carcere – senza alcuna accusa e senza aver subito alcun processo – dal 15 dicembre del 2008.

Una volta pronunciata la sentenza – o emesso l’ordine di detenzione – la stragrande maggioranza dei ragazzi palestinesi viene detenuta all’interno del territorio israeliano, in palese violazione della IV Convenzione di Ginevra. Molti bambini non ricevono visite dai loro familiari, ed è garantita loro un’istruzione molto limitata in due sole delle cinque strutture utilizzate per la detenzione dei minori palestinesi.

I maltrattamenti e le torture nei confronti dei ragazzini e degli adolescenti palestinesi sono istituzionalizzati e si svolgono in un clima di totale impunità. Tra il 2001 e il 2008, oltre 600 denunce sono state presentate in relazione ai pestaggi e alle torture praticate durante gli interrogatori della Israeli Security Agency (ISA) ma, ad oggi, nessun indagine è stata condotta su questi fatti.

E’ sempre fonte di stupore, per me, il considerare come Israele possa tranquillamente violare leggi, convenzioni e trattati internazionali senza che alcuno abbia niente da ridire. Eppure qui siamo in presenza di gravi e reiterate violazioni della IV Convenzione di Ginevra, della Convenzione Onu contro la tortura, della Convenzione Onu sui diritti del fanciullo.

Ma gli ebrei d’Israele, in quanto popolo eletto, sono evidentemente al di sopra di ogni legge terrena.

Un soldato mi puntava contro il fucile. La canna del fucile era a pochi centimetri dal mio viso. Ero così terrorizzato che cominciai a tremare. Egli si prese gioco di me e disse: ‘stai tremando? Dimmi dov’è la pistola prima che ti spari’! (testimonianza di Ezzat H., 10 anni).

Ecco come si comporta il più valoroso e “morale” esercito al mondo, orgoglio di questo “faro di civiltà” che – piuttosto che la luce – sa diffondere solo la tenebra dell’odio, della brutalità e dell’insensata violenza.

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7 dicembre 2007

Le vittime dell'infamia di Israele.



I due bambini nella foto sono il piccolo Muhammad a-Shanti, due anni e mezzo, e il fratellino Mustafa, di quasi quattro anni.
Di tutta evidenza, non si tratta di pericolosi terroristi, eppure Israele impedisce a loro, e ai loro genitori, di recarsi all’Hadassah Hospital di Gerusalemme per ricevere le cure di cui hanno bisogno.
I due fratellini palestinesi, infatti, sono malati di fibrosi cistica e nella Striscia di Gaza, dove risiedono, non hanno la possibilità di ricevere le cure adeguate alla loro malattia e sono costretti ad andare una volta al mese a Gerusalemme per ricevere il necessario trattamento sanitario.
Prima di ogni visita, i genitori devono chiedere un permesso alle autorità israeliane, per uno di loro e per i due bambini, e i tempi di attesa per ottenerlo, negli ultimi sei mesi, si sono sempre più allungati.
L’ultima volta che a Muhammad e a Mustafa è stato concesso di recarsi in ospedale è stata a settembre, e da allora e fino adesso non sono più riusciti ad ottenere i necessari permessi di ingresso, con le ovvie conseguenze relative al deteriorarsi delle loro condizioni di salute.
Da quando, il 19 settembre di quest’anno, la Striscia di Gaza è stata dichiarata come una “entità nemica”, Israele ha adottato tutta una serie di vergognose punizioni collettive contro la popolazione residente, tra cui la più infame e brutale è probabilmente quella di negare ai malati gravi la possibilità di accedere alle cure mediche all’estero.
Secondo i dati forniti dall’OCHA (cfr. Gaza Strip Humanitarian Fact Sheet, 28 novembre 2007), dal 9 giugno di quest’anno, su 782 pazienti che hanno avanzato richiesta di poter accedere a cure specialistiche a Gerusalemme Est, in Israele o all’estero, soltanto 100 hanno ricevuto il necessario permesso, e in molti casi solo grazie all’intervento di benemerite organizzazioni umanitarie tra cui, soprattutto, Physicians for Human Rights.
La mancata concessione dei citati permessi, o il ritardo nelle operazioni di passaggio, ha portato alla morte di almeno 29 Palestinesi, tra cui tre donne e un neonato, mentre dei circa 900 Palestinesi di Gaza che hanno in corso le pratiche per ottenere il permesso, ben 350 sono malati gravi e rischiano seriamente di morire anch’essi, aspettando.
Spesso, peraltro, è accaduto che alcuni Palestinesi ammalati - che avevano già ottenuto il permesso di uscita – siano morti per ingiustificati ritardi ai valichi o – infamia nell’infamia – perché si erano rifiutati di fornire informazioni utili alla quotidiana caccia di Tsahal ai “terroristi” di Hamas.
Il 18 ottobre un 21enne malato di cancro giungeva in ambulanza al valico di Erez, accompagnato dal padre; dopo due ore e mezza di attesa, incredibilmente, i soldati israeliani richiedevano che il malato attraversasse il tunnel del checkpoint con un girello anziché a bordo dell’ambulanza.
Attraversato il tunnel, tuttavia, il malato veniva respinto indietro, mentre il padre veniva arrestato e successivamente trattenuto in carcere per 9 giorni.
Il 28 ottobre, finalmente, il povero ragazzo poteva entrare in Israele ed essere ricoverato in ospedale, ma la sera stessa era già morto.
Il 22 ottobre un Palestinese di 77 anni, sofferente di emorragia allo stomaco, era arrivato in ambulanza al valico di Erez alle quattro del pomeriggio ma, dopo due ore di inutile attesa, veniva rimandato indietro; il giorno successivo, durante l’enensimo “tentativo” di passaggio, l’anziano Palestinese moriva mentre era ancora al checkpoint.
La situazione sanitaria della Striscia di Gaza è ancor più aggravata dal fatto che l’embargo imposto da Israele, e colpevolmente tollerato dalla comunità internazionale, riguarda anche le medicine e le attrezzature mediche.
Alla fine di novembre, secondo l’OCHA, il 31% delle attrezzature mediche essenziali e il 20% delle medicine – inclusi i farmaci pediatrici e oncologici - risultano avere scorte pari a zero; una delle conseguenze è che il tasso di mortalità tra i neonati ospedalizzati si è accresciuto dal 5,6% al 6,9% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.
Nonostante ogni contraria e unilaterale dichiarazione, Israele continua ad essere “potenza occupante” nei confronti della Striscia di Gaza, in quanto ne mantiene un effettivo e ferreo controllo sui confini territoriali e marittimi, nonché sullo spazio aereo.
Come tale, Israele rimane soggetto alle disposizioni del diritto umanitario internazionale – e segnatamente della IV Convenzione di Ginevra – che impongono la protezione e la salvaguardia dei cittadini della Striscia, con particolare riguardo al diritto alla salute e a ricevere adeguate cure mediche; sarebbe in ogni caso proibita, del resto, ogni forma di punizione collettiva, quale è quella che Israele, nella sua spietatezza e nella sua infamia, continua a infliggere a un milione e mezzo di Palestinesi, uomini, donne, bambini, anziani, ammalati.
Ma che Israele consideri la IV Convenzione alla stessa stregua della carta straccia lo sapevamo, e non ci sorprende.
Quello che stupisce e indigna è che la comunità internazionale – che pure sarebbe impegnata a far rispettare le previsioni della Convezione “in ogni circostanza” – faccia finta di niente ed eviti accuratamente di intervenire, persino con una semplice nota di biasimo al governo israeliano.
Compreso, è ovvio, il nostro governo, che annovera tra le sue fila vari spregevoli politici la cui amicizia per Israele è evidentemente ben più forte della dichiarata ispirazione cristiana.

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