Il discorso pronunciato il 14 giugno scorso dal premier israeliano Benjamin Netanyahu all’Università Bar Ilan – in risposta al pressing e agli espliciti pronunciamenti del Presidente Obama per un più forte impegno degli Usa a favore di una soluzione a due stati del conflitto israelo-palestinese – è stato tanto atteso quanto deludente, e non soltanto per i Palestinesi e il mondo arabo in generale.
Se, da una parte, per gli Stati Uniti il discorso di Netanyahu è stato un “importante passo in avanti” (e che altro potevano dire?), dall’altra vanno ricordate le reazioni negative del Presidente dell’Anp Abu Mazen (Netanyahu “silura” tutti gli sforzi di pace), di Hamas (discorso “razzista ed estremista”) e persino del raìs egiziano Mubarak (“farà abortire tutte le possibilità di pace”).
Perché, se è vero che il primo ministro israeliano e il suo governo hanno ufficialmente accettato, obtorto collo, la soluzione a due stati, è altrettanto vero che essi cercano di farla naufragare sin dall’inizio ponendo condizioni che la rendono del tutto ridicola.
Questo è quello che ha fatto Netanyahu quando, nel suo discorso, ha detto che era pronto ad iniziare negoziati di pace immediatamente e senza precondizioni: egli ha chiesto ai Palestinesi di riconoscere Israele come la patria nazionale del popolo ebraico, di accettare uno stato palestinese smilitarizzato, di cancellare dall’agenda dei colloqui ogni accenno al diritto al ritorno dei profughi, di riconoscere Gerusalemme come capitale indivisibile dello stato ebraico, e questo ancor prima di iniziare a discutere di pace!
E, anche riguardo alla questione degli insediamenti colonici (illegali), il premier israeliano non ha esitato a rigettare gli obblighi che la road map impone in questo campo ad Israele, dichiarando che non verranno costruiti nuovi insediamenti ma che non si fermerà l’espansione di quelli già esistenti, sulla base del principio della cd. “crescita naturale”.
Ora, a parte il fatto che la cd. “crescita naturale” è un argomento clamorosamente falso e pretestuoso, dato che buona parte delle nuove costruzioni nelle colonie è destinata ai nuovi arrivati da Israele o dall’estero, si deve ricordare che – solo a pochi giorni dal discorso di Netanyahu – il suo Ministro della Difesa Barak aveva già provveduto ad autorizzare la costruzione di 300 nuove abitazioni nell’avamposto illegale di Givat Habrecha, nei pressi della colonia di Talmon.
Trecento nuove case in un insediamento illegale persino secondo la legge israeliana, situato in territorio palestinese a 13 chilometri dalla green line, costruito (senza autorizzazione alcuna) su terreni di proprietà palestinese e che già avrebbe dovuto essere smantellato secondo quanto previsto dalla road map: davvero un caso esemplare di come Israele intenderebbe, ancora una volta, frodare la buona fede e la pazienza dei Palestinesi e della comunità internazionale.
E’ chiaro agli occhi di tutti come, ponendo simili condizioni, il governo delle destre capeggiato da Netanyahu non faccia altro che sabotare in partenza ogni possibile accordo di pace con i Palestinesi.
E’ questo il tema di un articolo pubblicato il 15 giugno scorso dall’accademico palestinese Mustafa Abu Sway su Bitterlemons.org, qui proposto nella traduzione del sito Medarabnews
.
L’articolo si conclude affermando che, se Netanyahu non cambierà le sue posizioni, “il mondo dovrà aspettare fino al prossimo governo israeliano prima che le speranze di pace possano essere riaccese”. Ma, in realtà, non è che i governi precedenti abbiano mai saputo o voluto fare di più di quanto stia facendo l’attuale governo israeliano.
Ci troviamo maggiormente d’accordo, in verità, con quanto affermato di recente dallo scrittore israeliano David Grossman (in un articolo tradotto, tra gli altri dal quotidiano La Repubblica): “Il discorso di Netanyahu, che doveva elevarsi verso il nuovo spirito diffuso nel mondo dal Presidente Obama, ci dice … che questa regione conoscerà la pace solo se questa ci verrà imposta”.
E’ necessario, infatti, che la comunità internazionale intervenga con decisione premendo su Israele affinché dia tangibile prova, non solo a parole, della sua volontà di arrivare ad un accordo di pace con i Palestinesi, iniziando intanto con un fermo reale della costruzione nelle colonie e con la fine del blocco disumano imposto a Gaza.
I mezzi non mancano, né agli Usa né alla Ue, che dal canto suo dovrebbe minacciare di denunciare ogni accordo politico ed economico con Israele, legandone l’esistenza - come peraltro sarebbe già previsto – al rispetto dei diritti umani e della legalità internazionale da parte israeliana.
COSI’ PARLO’ NETANYAHU
15.6.2009
In “Così parlò Zarathustra”, il falso profeta di Friedrich Nietzsche, come è noto, annunciò la “morte di Dio”. Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu nel suo discorso ha annunciato la morte delle speranze per la pace e per uno stato palestinese. Nessun diritto al ritorno per i profughi palestinesi. Nessuna Gerusalemme per i Palestinesi. Nessun congelamento degli insediamenti. Nessuno spazio aereo sovrano. Per la verità, nessuna reale sovranità palestinese.
E c’è di peggio. Secondo Netanyahu, i Palestinesi non hanno radici storiche o diritti in Palestina. I Palestinesi si sono semplicemente trovati lì. Per Netanyahu, la Cisgiordania è la terra biblica degli antenati del popolo ebraico, che risale ad Abramo, e non appartiene a nessun altro. Questa è stata la sua risposta alla richiesta del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama di congelare gli insediamenti. Tutti i governi israeliani hanno sostenuto i progetti espansionistici dei coloni. Distinguere gli insediamenti ebraici in Cisgiordania tra “legali” ed “illegali” non fa altro che confondere il mondo. Tutti gli insediamenti, senza eccezione, sono illegali secondo il diritto internazionale.
Perché il dialogo interreligioso dà rilievo al fatto che Abramo è il padre di tutti noi, se palestinesi cristiani e musulmani non sono riconosciuti come suoi figli in una condizione di parità? E’ forse perché la madre degli arabi, Agar, era una schiava? Si tratta di una questione vecchia 3.500 anni. Quando fa comodo, Abramo viene utilizzato come un pretesto, una sorta di “riparo” per evitare i problemi reali sul terreno. La storia della Palestina non è iniziata con Abramo. Persino nel Vecchio Testamento, quando Abramo arrivò in Terra Santa, i Palestinesi erano già presenti in quel territorio. Quando Abramo dovette seppellire Sara, non poté vantare alcun diritto divino sul possesso della terra, ma pagò 400 shekel d’argento ai Palestinesi.
Sostenendo di condividere la visione di pace del presidente americano Barack Obama (il quale ha accolto con favore il discorso di Netanyahu considerandolo un passo importante), Netanyahu ha chiesto alla leadership palestinese di ritornare ai negoziati “senza precondizioni”, un eufemismo per respingere tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite e i precedenti accordi, compresa la road map. Si tratta di un chiaro insuccesso per il lavoro del Quartetto, così come per l’iniziativa di pace araba. L’Autorità Palestinese, tuttavia, non sta facendo altro che riciclare lo slogan “non esiste un partner per la pace”, rilanciando la palla ai leader israeliani.
Netanyahu ha anche promosso la sua nozione di “pace economica”. Egli non vuole solamente che gli arabi riconoscano Israele come stato ebraico, ma anche che investano economicamente in Israele. Vuole la piena normalizzazione delle relazioni senza offrire nulla in cambio. Ha parlato di turismo menzionando i siti religiosi cristiani, ma senza citare quelli musulmani. Ha parlato dell’utilizzo dell’energia solare e della costruzione di gasdotti per l’Africa e l’Europa, come se tutte le strade portassero a Tel Aviv. Non vi è alcuna menzione di un’eventuale fine dell’occupazione israeliana nel Golan siriano, ma egli è disposto ad andare a Damasco. Quest’uomo non può essere serio.
Netanyahu ha presentato l’immagine di una società israeliana pacifica. La radice del problema, ha sostenuto, risiede nel rifiuto arabo del diritto degli ebrei ad una patria nella loro terra storica. Ovviamente, nulla e’ stato detto rispetto alla natura coloniale del progetto sionista e alla miseria che esso ha arrecato al popolo palestinese, e ad altri, per più di 60 anni.
Tutti i problemi, secondo Netanyahu, provengono dall’esterno. Questo include i suoi proclami sulla minaccia nucleare iraniana. Se Netanyahu veramente condividesse la visione del Presidente Obama, allora dovrebbe parlare di un mondo senza armi nucleari, e sbarazzarsi dell’arsenale nucleare israeliano. E’ esattamente l’opposto di quanto richiesto da Netanyahu: il suo invito a “forti garanzie di sicurezza” è un eufemismo per far riferimento all’energia nucleare.
Il suo discorso al Begin-Sadat Center della Bar Ilan University ha rappresentato un ulteriore ironico colpo di scena. L’accordo tra Israele e l’Egitto si basava sul ritiro dal territorio egiziano occupato nel 1967. La stessa logica dovrebbe applicarsi al Golan siriano, alle fattorie di Shebaa in Libano, alla Striscia di Gaza e alla Cisgiordania, Gerusalemme Est compresa. Invece di paragonarsi a Theodor Herzl, come se egli stesse pronunciando un discorso storico, Netanyahu avrebbe dovuto paragonarsi a Menachem Begin, che aveva ben compreso la formula “terra in cambio di pace”.
Le richieste di Netanyahu sono impossibili. Esse possono essere condivise solo dalla sua coalizione di destra. Se egli non cambia la sua posizione – cosa di per sé improbabile – il mondo dovrà aspettare fino al prossimo governo israeliano prima che le speranze di pace possano essere riaccese.
Il prof. Mustafa Abu Sway insegna all’Università di Gerusalemme
Titolo originale:
Thus spoke Netanyahu
Etichette: Israele, netanyahu, palestina, processo di pace, road map