La guerra di Gaza non è finita.
I tre arrestati delle prime ore – un uomo e due donne – sono già stati rilasciati, mentre rimangono in stato di fermo altre 14 persone, tra le quali la tv araba “al-Arabiya” afferma esservi anche tre uomini di origine pachistana.
Con tutte le cautele del caso, il giornalista Guido Rampoldi, nell’articolo che segue, ritiene che l’attentato sia in qualche modo legato ai recenti accadimenti nella Striscia di Gaza e, in particolare, al difficile ruolo di mediazione di cui si è fatto carico l’Egitto. Rampoldi, con una chiara esposizione, mette in luce la reale posta in gioco tra Israele e il Cairo riguardo a Gaza, e mostra come il ruolo di mediatore, per forza di cose neutrale, abbia attirato su Mubarak le ire del mondo islamico.
Qui voglio solo aggiungere che tutte le risoluzioni e i documenti ufficiali che riguardano la questione palestinese hanno sempre perfettamente chiarito che la Striscia di Gaza rappresenta un tutt’uno con la Cisgiordania, e che il futuro stato palestinese dovrà ricomprendere entrambe le aree. L’ opzione “egiziana” per Gaza, dunque, al pari dell’opzione “giordana” per la West Bank, non ha nessun aggancio di legittimità che ne supporti l’implementazione e, del resto, entrambe sono fieramente avversate dagli stati interessati.
Sembra un secolo fa, ma il 15 novembre del 2005 Israeliani e Palestinesi firmavano un accordo che regolava l’accesso e il movimento da e per la Striscia di Gaza delle persone e delle merci (Agreement on Movement and Access), un accordo fortemente voluto e sponsorizzato da Condoleezza Rice e (quasi subito) sabotato da Israele, al pari degli innumerevoli accordi e intese di questi anni.
L’intenzione dell’AMA era quella di “facilitare il movimento di beni e persone all’interno dei Territori palestinesi, di aprire “…un valico internazionale sul confine tra Gaza e l’Egitto” che avrebbe permesso ai Palestinesi di controllare “l’entrata e l’uscita delle persone” e, in definitiva, “di promuovere un pacifico sviluppo economico e di migliorare la situazione umanitaria sul campo”; a tal fine, oltre a prevedere che i valichi tra Israele e la Striscia restassero aperti in via continuativa, l’accordo ipotizzava che Gaza e la West Bank fossero collegati a mezzo di convogli di autobus (per le persone) e di camion (per le merci), che la costruzione del porto a Gaza potesse iniziare da subito e che si cominciasse a discutere anche della costruzione di un aeroporto.
Come è andata a finire, è noto.
Ora è il momento di riprovare, tenendo presente tre fatti: a) che, come afferma Rampoldi, occorre trovare una soluzione per Gaza, e bisogna farlo in fretta; b) che la soluzione a due stati del conflitto israelo-palestinese è l’unica a poter essere accettata da tutte le parti in causa e ad essere concretamente attuabile; c) che la Striscia di Gaza e la Cisgiordania devono costituire un tutt’uno inseparabile.
La causa palestinese, come è noto, costituisce un richiamo formidabile per ogni gruppo terroristico di matrice islamica, sia strutturato sia”amatoriale” come sembra essere quello entrato in azione in Egitto, e lo dimostrano anche i tragici fatti di Mumbai così come i recenti proclami di al-Zawahiri.
Trovare una soluzione per Gaza e, più in generale, una pacifica ed equa composizione del conflitto israelo-palestinese è dunque urgente ed indispensabile per assicurare la pace nella regione, ma non solo; e questa soluzione va trovata ed attuata anche ove non coincida perfettamente con le aspettative di Israele.
La bomba esplosa ieri in un caffè del Cairo prossimo al mercato più frequentato dai turisti, Khan el Khalili, sembra ricordarci che la guerra di Gaza non è definitivamente finita con il ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia.
L`attentato ha ancora contorni confusi e converrà attendere di saperne di più, senza dimenticare quel che accadde a proposito delle stragi di turisti nel Sinai, che attribuite dalla polizia ad AlQaeda, si rivelarono la vendetta di tribù beduine contro il governo.
Ma premesso quest`obbligo alla cautela, è difficile sottrarsi al sospetto che questa riapparizione del terrorismo al Cairo sia connessa con quanto avvenuto nella Striscia, e con la parte complicata imposta dalle circostanze al regime di Mubarak, costretto a districarsi tra Hamas e Israele, mediatore e possibile vittima di una partita da cui ha molto da perdere.
Converrà ricordare che vista dal Cairo l`offensiva israeliana aveva obiettivi molteplici, tra elettorali e tattici, ma innanzitutto uno scopo strategico: scaricare Gaza e i suoi abitanti all`Egitto.
Non era tanto la seconda guerra di Ehud Olmert, quanto l`ultima di Ariel Sharon. Era stato infatti Sharon a varare nel 2006 quel Disengagement Plan, o Piano di disimpegno, che portò l`esercito israeliano a sgomberare con la forza tutti gli insediamenti colonici nella Striscia. Ma Israele si proponeva di liberarsi non soltanto del peso di quei villaggi, troppo costosi da difendere e ormai d`impaccio, ma anche delle responsabilità legali verso i palestinesi che derivavano ad Israele dal suo ruolo di potenza occupante (come afferma il Piano al capitolo 1, paragrafo 6, dove si legge: «The completion of the planwill serve to dispel the claims regarding Israel`s responsibility for the Palestinians in the Gaza Strip»). Allo stesso tempo il governo israeliano non voleva che Gaza diventasse Stato palestinese. O perlomeno non lo voleva dopo la vittoria di Hamas nella Striscia, giacché a quel punto avrebbe avuto un alleato di Teheran quasi in casa. L`unica soluzione che assecondasse i desideri israeliani era il ritorno di Gaza all`Egitto. Ma l`Egitto, che fino al 1967 aveva esercitato sulla Striscia un mandato fiduciario, non aveva alcuna intenzione di prendersi un milione e mezzo di palestinesi, per giunta affacciati sul Sinai.
Sarebbe stato come spingere un popolo senza terra verso una terra senza popolo, con tutto quel che ne poteva derivare. Per esempio, che la diaspora palestinese tentasse di ritagliarsi una patria nel Sinai, come già aveva fatto in Giordania e in Libano.
Secondo diplomatici egiziani, a più riprese gli israeliani tentarono di convincere Muharak che Gaza all`Egitto sarebbe stato un buon affare. Invano. Il Cairo non ne voleva sapere. E perché non si creassero equivoci, teneva chiuso il confine con la Striscia. La polizia chiudeva gli occhi, questo sì, sul via vai sotterraneo di merci che raggiungevano i palestinesi attraverso i tunnel di Rafah. Ma formalmente la frontiera era sigillata, proprio come lo era, anche nei fatti, la frontiera israeliana.
Vittime di quel braccio di ferro, i palestinesi restavano totalmente isolati. E Hamas minacciava di vendicarsi ricominciando a sparare razzi sulle città israeliane.
Tutto è precipitato poco prima che si insediasse Obama. Diviso e forse incapace di sottrarsi agli ordini di Teheran, Hamas non ha rinnovato la tregua, sapendo perfettamente cosa ne sarebbe seguito.
E Israele ha lanciato l`offensiva che preparava da mesi.
Che questo fosse o no da subito il principale obiettivo, l`aviazione ha raso al suolo tutti i palazzi che rappresentavano la statualità palestinese e bombardando depositi alimentari o mulini, ha costruito le premesse perché i palestinesi dipendessero dagli aiuti egiziani. Ma tutto questo, così come la morte di 1300 persone, è stato inutile. L`Egitto non ha ceduto e Mubarak ha messo in chiaro che non si sarebbe fatto imbrogliare dagli israeliani. Hamas conserva i suoi arsenali e non ha perso la presa su Gaza. Israele è più isolata, e le ultime elezioni non hanno certo contribuito alla sua immagine.
Ma la partita non è finita. Così come hanno voluto la guerra, paradossalmente Hamas e Israele vogliono anche che il conflitto si concluda, almeno sul momento, con la stessa soluzione tecnica: che l`Egitto apra il confine. Mubarak si rifiuta e la sua diplomazia continua a lavorare, per ora inutilmente, ad un compromesso che costringa Israele a riconoscere la propria responsabilità su Gaza, e Hamas a riconoscere un qualche ruolo istituzionale al presidente Abu Mazen, legittima Autorità palestinese. Ma questo ruolo di mediatore, per forza di cose neutrale, espone Mubarak all`ira di tutto l`estremismo islamico.
Lo si considera un complice di Israele, un traditore della causa araba e un nemico dei palestinesi, per aver tenuto chiuso il confine prima e durante l`offensiva israeliana. In Egitto i suoi accusatori più tenaci sono quelle frange dei Fratelli musulmani forse sfuggiti di mano al vertice dell`organizzazione fondamentalista, un consesso di vecchioni molto più inclini al compromesso della base giovanile.
E` quest`area fuori controllo, oppure il terrorismo palestinese, che potrebbero aver prodotto l`attentato di ieri. Che ci ricorda come lo status quo di Gaza non sia sostenibile a lungo. Occorre trovare una soluzione, e trovarla in fretta.
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