11 agosto 2012

Noa a Milano, accogliamo come merita questa ipocrita "pacifista" israeliana


Al pari di una periodica calamità naturale, giunge in questi giorni in Italia la cantante israeliana Achinoam Nini, in arte Noa, pronta a rappresentare ancora una volta la farsa ripugnante di un’artista che dedica la sua vita, oltre che alla musica, al dialogo e alla pacifica convivenza tra israeliani e palestinesi.

Sono previsti, in particolare, un concerto gratuito a Milano l’11 agosto al Castello Sforzesco, con orario d’inizio alle ore 21:30, nell’ambito della rassegna “Voci dal mondo – Women for Expo”, un concerto per celebrare i 100 anni di Milano Marittima organizzato dal Comune di Cervia in collaborazione con la Filarmonica Arturo Toscanini, previsto per martedì 14 agosto alle ore 21:15 (Milano Marittima, Viale Ravenna, zona antistante lo stadio G. Todoli), e, infine, un concerto il 16 agosto a Merano nell’ambito del World Music Festival. 

La giunta Pisapia e l’assessore alla cultura Stefano Boeri, dunque, non riescono proprio a fare a meno di avere, ogni qual volta è possibile, una presenza costante e qualificata di Israele a Milano, eppure dovrebbero ricordare (e se non ricordano la loro cultura ha qualche falla…) che questa Noa è sempre la stessa falsa e ipocrita “pacifista” che, nel bel mezzo dell’operazione israeliana “Piombo Fuso”, esattamente l’8 gennaio del 2009, ha avuto il coraggio di scrivere ai Palestinesi di Gaza, massacrati dai bombardamenti, e di augurare loro non la fine dell’infame aggressione israeliana e un immediato cessate il fuoco, ma “che Israele faccia il lavoro che tutti noi sappiamo deve essere fatto, e VI LIBERI definitivamente da questo cancro … oggi chiamato Hamas”. 

Oggi tutti sappiamo bene come è andata a finire, Israele non è riuscita a liberare la Striscia di Gaza dal “cancro” di Hamas, ma in compenso è riuscita a “liberarla” da oltre 1.400 Palestinesi, massacrati con ogni tipo di arma ivi incluse quelle proibite dal diritto umanitario. L’83,3% degli uccisi erano civili inermi e indifesi, e tra essi vi erano 352 bambini (dati: Palestinian Centre for Human Rights e Defence for Children International). 

E con incredibile faccia tosta, qualche giorno dopo, Noa assicurava la propria partecipazione ad un evento benefico in favore dei bambini di Gaza previsto a Tel Aviv per il 23 gennaio: dopo aver elogiato il massacro dei genitori si proponeva come cantante “benefica” per gli orfani di Gaza! 

Mi piace ricordare che il compianto Juliano Mer Khamis (una vita la sua davvero dedicata alla pace!), nel promuovere una petizione contro la partecipazione di Noa all’evento di beneficenza, si era così rivolto a Noa: “Non c’è limite alla tua ipocrisia, Noa. Tu hai sostenuto la guerra che ha reso orfani questi bambini, e ora vuoi giocare a “Madre Teresa” ed aiutarli? Come puoi essere così cinica? Migliaia di bambini sono stati menomati fisicamente ed emotivamente per il resto della loro vita in una guerra che non solo non hai contestato, ma che hai apertamente giustificato. Forse riuscirai ad accrescere la tua popolarità e cercherai di lavarti le mani insanguinate facendo notizia sulle spalle di questi bambini, ma non sarai in grado di pulire la tua coscienza sporca”. 

E, da allora e ancora adesso, “Mama Teresa” Noa continua a riproporsi come alfiere del dialogo e della pace tra israeliani e palestinesi, al pari del “trio delle meraviglie” Grossman-Yehoshua-Oz e di quanti altri vanno in giro per il mondo a spacciare un’immagine di Israele come di un paese che non vorrebbe altro che deporre le armi e vivere in pace con i suoi vicini, impossibilitato a farlo perché costantemente minacciato nella sua “sicurezza”. 

Siamo stanchi di questi “pacifisti” che, in vita loro, non hanno mai criticato – ed anzi hanno sempre apertamente appoggiato – tutti i vari massacri che l’esercito israeliano ha compiuto in questi anni, da Gaza al Libano, limitandosi successivamente a battersi il petto e a invocare il cessate il fuoco, omettendo di denunciare i crimini dei valorosi soldati di Tsahal, mettendo sullo stesso piano l’occupante e l’occupato, gli assassini e le vittime massacrate. 

Non è un caso che Israele mandi in giro per il mondo questi “alfieri” – non della pace ma della più becera propaganda sionista – a lustrare al meglio la propria immagine, mentre personalità del calibro di Ilan Pappe o di Norman Finkelstein vengono trattati alla stregua di appestati o di pericolosi “infiltrati”, creando per loro una categoria unica al mondo, quella degli Ebrei “che odiano sé stessi”.

E’ per questo che condivido e parteciperò con il cuore alla manifestazione organizzata per domani dall’International Solidarity Movement – Italia, con raduno a Largo Cairoli alle ore 20:00, per andare a contestare, pardon, ad applaudire entusiasticamente Noa. 

E pazienza se, dalle colonne del suo blog, Noa accusi quanti chiamano al boicottaggio dei suoi concerti e, più in generale, di Israele, di essere “disinformati”. Farò senz’altro ammenda quando riuscirò a leggere qualche sua dichiarazione in cui non si limiti a parlare in termini generici ed astratti di pace e fratellanza, ma condanni senza mezzi termini l’occupazione israeliana, il furto delle risorse naturali del popolo palestinese, i crimini e le atrocità di cui quotidianamente si macchiano i soldati di Tsahal. I suoi ex commilitoni.  

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13 luglio 2011

La legge sul boicottaggio sovverte la democrazia israeliana

La notte dell’11 luglio, il plenum del Parlamento israeliano ha approvato in lettura finale la cd. “Legge sul Divieto di Boicottaggio”, con 47 voti a favore e 38 contrari.


La legge mira a reprimere ogni appello al boicottaggio economico, culturale o accademico dello Stato, delle sue istituzioni o di ogni area che si trovi sotto il suo controllo, con chiaro riferimento, in questo caso, al boicottaggio dei prodotti provenienti dalle colonie nei Territori palestinesi occupati. I trasgressori possono essere citati in giudizio anche da singoli cittadini e sono passibili di sanzioni pecuniarie; le aziende o le organizzazioni che appoggiano il boicottaggio potrebbero essere escluse inoltre dalla partecipazione a gare pubbliche per l’assegnazione di lavori, mentre le ong rischiano di perdere ogni beneficio fiscale previsto in loro favore.


Si tratta, di tutta evidenza, di una legge anti-democratica che limita fortemente il diritto alla libertà di espressione, una vergognosa espressione della volontà del Governo e del Parlamento israeliano di calpestare i principi fondamentali della democrazia pur di difendere l’occupazione e il regime di apartheid che la sostiene.


Paradossalmente, Hagai El-Ad, il direttore esecutivo dell’Associazione per i Diritti Civili in Israele (ACRI), ha fatto notare che, di recente, un gruppo di consumatori israeliani ha lanciato la prima campagna di boicottaggio coronata da successo, facendo scendere il prezzo della ricotta. “Perché dovrebbe essere consentito ai cittadini israeliani di boicottare la ricotta israeliana, come abbiamo sentito e visto nelle ultime settimane, ma dovrebbe essergli impedito di boicottare l’occupazione?”, ha sostenuto in una recente dichiarazione.


Persino il consulente legale della Knesset Eyal Yinon, nel presentare il suo parere, ha espresso aspre critiche sulla proposta di legge anti-boicottaggio, sostenendo che “l’ampia definizione di boicottaggio dello Stato di Israele costituisce una violazione del dogma centrale della libertà di espressione politica”, lamentando inoltre la contrarietà alle norme costituzionali della disposizione che permette ad ogni individuo di chiedere un indennizzo monetario che non dipende in alcun modo da un danno effettivamente causato.


Secondo Yinon, queste norme hanno lo scopo di “influenzare il dibattito politico sul futuro di Giudea e Samaria (cioè della Cisgiordania, n.d.r.), un dibattito che è stato al centro della discussione politica nello Stato di Israele per oltre 40 anni”.


Sul punto, non si può che condividere l’editoriale di Ha’aretz sull’argomento, pubblicato la mattina precedente all’approvazione della legge e rimasto purtroppo inascoltato. Israele infatti, temendo come la peste l’arma non violenta del boicottaggio e volendo nel contempo ridurre al silenzio ogni voce dissonante al suo interno, ancora una volta adotta provvedimenti liberticidi e si allontana dai principi fondamentali che dovrebbero caratterizzare uno stato civile e una democrazia.


La legge sul boicottaggio sovverte la democrazia israeliana


editoriale di Haaretz – 11.7.2011


E’ previsto per oggi che la Knesset approvi la lettura finale della Legge sul Divieto di Boicottaggio, che prevede severe sanzioni per chiunque promuova, direttamente o indirettamente, il boicottaggio di Israele. Tra l’altro, la legge prevede che ogni persona o organizzazione che invochi il boicottaggio di Israele, incluso il boicottaggio degli insediamenti colonici, venga ritenuta colpevole di un reato civile. Le organizzazioni che promuovono i boicottaggi non avrebbero diritto di ricevere donazioni deducibili dalle tasse o di ottenere finanziamenti da parte dello stato.


Questa legge spregevole viola palesemente le Leggi costituzionali israeliane. Essa è formulata in un linguaggio vago: definisce “un boicottaggio dello Stato di Israele” in modo molto esteso, mentre la definizione di causare un boicottaggio è fluida. Secondo la legge, sarebbe sufficiente che la richiesta di boicottaggio di Israele abbia “una ragionevole possibilità” di condurre ad un boicottaggio effettivo perché venga stabilito che il trasgressore (secondo l’Ordinanza sugli Illeciti Civili, nuova versione) ha commesso un reato civile. Il trasgressore verrebbe quindi privato di significativi benefici economici e dovrebbe anche pagare un elevato risarcimento a chi presumibilmente è stato danneggiato dal boicottaggio.


Questa vaghezza è intenzionale, finalizzata a nascondere l’obiettivo di stendere una vasta rete di protezione sulle colonie, i cui prodotti, le cui attività e in realtà la cui stessa esistenza – che tanto per cominciare è controversa – costituiscono il motivo principale delle iniziative di boicottaggio, sia nazionali che estere. I legislatori stanno quindi cercando di mettere a tacere una delle più legittime forme di protesta, e di limitare la libertà di espressione e di associazione di coloro i quali si oppongono all’occupazione e alla violenza dei coloni, e intendono protestare contro il viziato ordine di priorità del governo.


Gli sponsor della legge stanno anche creando una menzognera equivalenza tra lo Stato di Israele e la società israeliana nel suo complesso, da un lato, e le colonie dall’altro. In tal modo, essi stanno garantendo ai coloni una indiscriminata legittimazione.


Questo è un atto politicamente opportunistico e anti-democratico, l’ultimo in una serie di leggi oltraggiosamente discriminatorie ed esclusorie emanate lo scorso anno, che accelera il processo di trasformazione del codice delle leggi israeliane in un inquietante documento dittatoriale. Esso getta l’ombra intimidatoria del reato su ogni boicottaggio, petizione o persino commento su un giornale. Molto presto, ogni dibattito politico verrà messo a tacere.


I membri della Knesset che votano per questa legge devono comprendere che essi stanno sostenendo l’imbavagliamento della protesta come parte di uno sforzo in atto per liquidare la democrazia. Simili mosse possono essere rappresentate come mosse a difesa di Israele ma, in realtà, esse aggravano il suo isolamento internazionale.

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10 maggio 2011

Libera il tuo Comune dalla Pizzarotti!

Abbiamo già dato conto della campagna d’opinione lanciata in Italia per costringere la Pizzarotti & C. S.p.A. a ritirarsi dalla partecipazione al progetto di costruzione di una tratta ferroviaria ad alta velocità tra Gerusalemme e Tel Aviv, una grandiosa opera infrastrutturale destinata ad attraversare per 6 chilometri e mezzo i Territori palestinesi occupati, in violazione del diritto umanitario internazionale.

Ora, nell’ambito della mobilitazione per il ritiro della azienda Pizzarotti & C. SpA dalla costruzione della ferrovia (a cui tra i primi aveva aderito anche Vittorio Arrigoni), la Coalizione Italiana Stop That Train lancia la campagna “Libera il tuo Comune dalla Pizzarotti”.

Una direttiva europea, recepita in Italia nel Codice dei Contratti Pubblici (D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, Articolo 38, comma 1, lettera f), riguardante le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, prevede l’esclusione dagli appalti pubblici dei soggetti “che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale”.

Riteniamo che la Pizzarotti & C. S.p.A. di Parma, attraverso il suo coinvolgimento nel progetto per la linea ferroviaria A1 e il suo rifiuto di ritirarsi dal progetto che rappresenta una palese violazione del diritto internazionale, abbia commesso errori sufficientemente gravi nell’esercizio della propria attività professionale, e tali da giustificare l’esclusione da gare d’appalto per i lavori pubblici.

La linea ferroviaria A1, ad uso esclusivo della popolazione israeliana, percorre 6,5 chilometri attraverso la Cisgiordania occupata, in violazione del diritto internazionale umanitario e dei Trattati internazionali sui diritti umani, tra cui la IV Convenzione di Ginevra, che vieta lo sfruttamento delle terre da parte della potenza occupante e definisce come crimini di guerra la “distruzione ed appropriazione di beni, non giustificate da necessità militari”.

L’esclusione da appalti pubblici è stata la tattica utilizzata contro la Veolia, società francese coinvolta nella costruzione della ferrovia leggera a Gerusalemme Est occupata. Delibere per escludere Veolia dai propri appalti sono state approvate in diversi consigli comunali in Irlanda e Gran Bretagna, e Veolia ha perso numerose contratti per un ammontare di 10 miliardi di euro, tanto da essere costretta ad annunciare il ritiro dal progetto.

Cerchiamo di convincere la Pizzarotti!

Quello che segue è uno schema di proposta di delibera comunale/provinciale per chiedere che la Pizzarotti venga esclusa dagli appalti pubblici. La delibera può essere presentata da un membro del consiglio oppure su iniziativa popolare con la raccolta firme (controlla lo Statuto comunale per la procedura da seguire).

[Comune/Provincia] di ____________
PROPOSTA DI DELIBERA DI INIZIATIVA [CONSILIARE/POPOLARE]

Oggetto: Esclusione della Pizzarotti & C. S.p.A. dalle gare d’appalto e dalla stipula di contratti per lavori pubblici in base al Codice dei contratti pubblici

Premesso
che il Codice dei Contratti Pubblici D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, (in attuazione direttiva comunitaria 2004/18 relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi) all’Articolo 38, comma 1, lettera f, prevede l’esclusione dagli appalti di lavori, forniture e servizi i soggetti “che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante”;
che il [Comune/Provincia] di ___________ ha in corso e/o ha in passato stipulato e/o in futuro stipulerà contratti con Pizzarotti & C. S.p.A., con sede legale in Parma, Via Anna Maria Adorni, 1, codice fiscale 01755470158 e numero di iscrizione al Registro delle Imprese di Parma 23124;
Considerato
che Pizzarotti & C. S.p.A., attraverso la joint venture Shapir – Pizzarotti Railways registrata in Israele il 27 febbraio 2010, ha stipulato un contratto con le Ferrovie Israeliane per la costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità Tel Aviv – Gerusalemme, detto anche A1, in particolare per lo scavo di tunnel per la realizzazione della linea;
che la linea ferroviaria A1, ad uso esclusivo della popolazione israeliana, percorre 6,5 chilometri attraverso la Cisgiordania occupata, con la confisca di proprietà privata palestinese nei villaggi di Beit Iksa e Beit Sourik, inclusi terreni agricoli riconosciuti dalla Corte Suprema Israeliana come “risorsa fondamentale per la sussistenza” delle comunità; (Allegato 1)
che non vi era alcuna necessità di costruire la linea ferroviaria A1 su terre occupate in Cisgiordania: il vecchio tracciato del treno che collega Tel Aviv a Gerusalemme non attraversa i confini internazionali e uno alternativo, all’interno dei confini internazionalmente riconosciuti dello Stato di Israele, era stato proposto nel progetto iniziale;
che i villaggi in questione hanno già subito espropri per la costruzione di insediamenti israeliani e del muro di separazione, entrambi ritenuti in contravenzione del Diritto Internazionale nel parere consultivo del 2004 della Corte Internazionale di Giustizia;
che la costruzione della linea ferrroviaria A1, insieme a una rete stradale per le enormi macchine scavatrici e per il trasporto di materiale di estrazione, sta portando alla distruzione di terreni agricoli oltre a renderli inaccessibili ai legittimi proprietari;
che la linea ferroviaria A1 è in violazione del Diritto Internazionale Umanitario e dei Trattati internazionali sui Diritti Umani, tra cui la IV Convenzione di Ginevra, in particolare Art. 53 che vieta “alla potenza occupante di distruggere beni mobili o immobili appartenenti individualmente o collettivamente a persone private, allo Stato o a enti pubblici, a organizzazioni sociali o a cooperative, salvo nel caso in cui tali distruzioni fossero rese assolutamente necessarie dalle operazioni militari”, in questo caso per la costruzione di infrastrutture permanenti inaccessibili alla popolazione locale;
che inoltre, le attività quali quelle poste in essere dalla Pizzarotti sono un vero e proprio crimine di guerra secondo quanto stabilito all’Articolo 8 dello Statuto della Corte Penale Internazionale, comma 2, lettera a, dove «crimini di guerra» include le “gravi violazioni della Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949″ tra le quali la “distruzione ed appropriazione di beni, non giustificate da necessità militari e compiute su larga scala illegalmente ed arbitrariamente”.
che Pizzarotti & C. S.p.A., attraverso il suo coinvolgimento nel progetto per la linea ferroviaria A1, che rappresenta una palese violazione del Diritto Internazionale, e che anzi è costituito a tutti gli effetti un crimine di guerra, ha chiaramente commesso errori sufficientemente gravi nell’esercizio della propria attività professionale, in modo da giustificare l’esclusione da gare d’appalto di lavori pubblici;
DELIBERA
1. di rivedere con urgenza tutti i contratti in corso con Pizzarotti & C. S.p.A.;

2. di escludere Pizzarotti & C. S.p.A. da tutte le gare d’appalto se non risolverà il contratto per la costruzione della A1;

3. di comunicare al più presto alla Pizzarotti & C. S.p.A. il contenuto di questa delibera e la determinazione del Consiglio [comunale/provinciale] di interrompere rapporti con Pizzarotti & C. S.p.A. finché continuerà ad operare contro il Diritto Internazionale.

Sul sito di Stop that Train si possono trovare l’elenco dei lavori della Pizzarotti in corso in tutta Italia e notizie sulle prossime gare cui partecipa la Pizzarotti.

Libera il tuo comune dalla Pizzarotti!

Si prega di inviare notizie di tutte le iniziative collegate alla delibera a: fermarequeltreno@gmail.com

Coalizione Italiana Stop That Train

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7 aprile 2011

Contro il boicottaggio, gli amici di Israele usano un argomento di tipo razziale

In risposta alla campagna mondiale di boicottaggio dei prodotti israeliani, molti siti di propaganda sionista hanno cercato di contrapporre, per il 30 marzo, una sorta di “giornata dell’acquisto” di prodotti israeliani: pazienza, ognuno spende i soldi come vuole! Cogliamo, anzi, l’occasione – noi che siamo fautori convinti della campagna BDS – per segnalare alcuni siti dove trovare indicazioni sui prodotti provenienti da Israele da boicottare (in generale, quelli che sull’etichetta del codice a barre recano all’inizio la cifra 729):

http://tuttouno.blogspot.com/2009/01/elenco-dei-prodotti-israeliani-da.html

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=23648

http://www.opappece.it/boicott/elenco%20prodotti.htm

http://www.inminds.co.uk/boycott-brands.html

http://www.comedonchisciotte.net/modules.php?name=News&file=article&sid=382

http://www.boycott-israel.co.uk/israeli-products

La campagna di Disinvestimento, Boicottaggio e Sanzioni (BDS) è una delle armi più temute sia dai governanti di Israele sia dai tanti amici che questo stato-canaglia ha nel mondo, perché si tratta di una forma di lotta e di denuncia contro i crimini dell’occupazione israeliana dal carattere assolutamente non violento, come tale difficile da condannare e da delegittimare.

E, infatti, i filoisraeliani ci provano usando argomenti meschini e totalmente destituiti di fondamento, quale è quello che accomuna la legittima denuncia dei crimini e delle violazioni dei diritti umani da parte di Israele all’antisemitismo tout court.

Ma la cosa che personalmente mi lascia davvero stupefatto è che questi “amici” di Israele, nel generoso e inesausto tentativo di difenderne l’immagine (ed anche le entrate commerciali, si presume), usino un argomento che più o meno suona così:
volete boicottare i prodotti che provengono da Israele? Allora dovete rinunciare a tutte le scoperte, invenzioni, brevetti, medicinali e quant’altro sia ascrivibile ad un ebreo!

E giù un elenco infinito (che vi risparmio, se volete consultate il link sopra) secondo cui io, che sono fautore della campagna BDS, non dovrei vaccinarmi contro la polio (essendo Salk un ebreo) o, qualora soffrissi di qualche turba psichica, non potrei farmi curare da uno psicanalista, parimenti essendo Freud, come è noto, un ebreo. Per chiudere, in ordine di tempo, naturalmente niente più Facebook (e chissà se potrei andare al cinema a vedere il film che racconta la storia di Zuckerberg)!

Ora, ciò che sorprende, è che siano proprio gli “amici” di Israele a usare una argomentazione di tipo razziale, compiacendosi di quante scoperte e quanti premi Nobel siano stati attribuiti ad ebrei, non rendendosi conto che è proprio l’insistenza a voler segnalare differenze tra gli uomini sulla base della razza ad aver storicamente contribuito a quelle derive antisemite di cui pure ancora oggi ci si lamenta con grande clamore.

E del resto non è una novità che, all’interno del mondo ebraico, vi sia chi sostenga che gli ebrei sono davvero il “popolo eletto”, stante il loro elevatissimo QI ascrivibile a ragioni genetiche.

Probabilmente sarà proprio così. Quel che è certissimo, invece, è che i governanti di Israele devono essere davvero dotati di una intelligenza fuori del comune (combinata ad una faccia di bronzo senza pari) per far digerire a tutto il mondo (occidentale) la colossale panzana che dipinge i palestinesi come i terroristi e gli aggressori, e gli israeliani come delle povere vittime che cercano solo di difendersi.

Non si spiegherebbe altrimenti come oggi i palestinesi di Gaza rappresentino l’unico caso al mondo di popolazione aggredita e massacrata che venga persino sottoposta ad un incredibile boicottaggio politico ed economico, con il beneplacito della comunità internazionale!

E quello sì che è un boicottaggio legittimo…

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4 aprile 2011

Boicottare Israele dall'interno


Non si sottolineerà mai abbastanza l’importanza della campagna di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) con cui, in tutto il mondo, la società civile conduce, con sempre maggior successo, la propria lotta contro i crimini dell’occupazione israeliana e la quotidiana violazione dei diritti umani dei Palestinesi.

E anche all’interno di Israele non sono poche le persone di buona volontà che, nonostante l’enorme pressione contraria e gli strumenti legislativi che si intendono approntare per combattere il fenomeno, conducono la loro lotta coraggiosa per la pace e la giustizia.

Di questo tratta l’articolo che Mya Guarnieri ha scritto lo scorso 26 marzo per il sito web in lingua inglese di al Jazeera, qui proposto nella traduzione offerta dal sito Stop Agrexco Italia.


di Mya Guarnieri – 26.3.2011

È stato l'Egitto a farmi cominciare a pensare al movimento Boicottaggio Disinvestimento e Sanzioni (BDS) in modo serio. Stavo già conducendo un boicottaggio mirato sotto tono dei prodotti provenienti dagli insediamenti – leggendo in silenzio le etichette al supermercato per essere sicuro di non comprare nulla che proveniva da oltre la linea verde.

L'avevo fatto da tempo. Ma, a un certo punto, ho capito che il mio personale boicottaggio mirato era un po' ingenuo. E ho capito che non bastava.

Non sono solo gli insediamenti e l'occupazione, le due facce della stessa medaglia, che rappresentano un grave ostacolo alla pace e violano i diritti umani dei palestinesi. È anche tutto ciò che li sostiene - il governo e le sue istituzioni. È la bolla dentro la quale molti israeliani vivono, l'illusione della normalità. È l'idea che lo status quo è sostenibile.

E gli insediamenti sono un diversivo, un bersaglio conveniente per la rabbia. Gli israeliani devono anche affrontare una delle maggiori ingiustizie che ha avuto come risultato la creazione del loro stato - la Nakba, l'espulsione di centinaia di migliaia di palestinesi.

Anche se la campagna BDS affronta ciò, oltre ad altre questioni - i tre principi del movimento sono il rispetto per il diritto di ritorno dei palestinesi, come indicato nella risoluzione ONU 194, la fine dell'occupazione e la parità di diritti per i cittadini palestinesi di Israele - sono rimasta riluttante a farmi coinvolgere.

Devo ammettere che il movimento mi spaventava. Non pensavo che sarebbe stato di aiuto. Ero sicura che avrebbe solo spinto Israele ad impuntarsi ancora più forte. Farà peggiorare le cose per tutti, ho pensato.

L'Egitto era il punto di svolta per me. Sono stata euforica a vedere le immagini di persone scendere in piazza per chiedere un cambiamento. E mentre i Palestine Papers dimostrano che il governo israeliano sembra intenzionato a mantenere lo status quo, conosco tanti israeliani che sono stufi di questo.

Ci sono madri che non vogliono mandare i loro figli nell'esercito; soldati che risentono di dover proteggere i coloni. Recentemente ho parlato con un uomo di 44 anni – una persona normale, un padre di due figli - che mi ha detto che è così frustrato con il governo e così preoccupato per il futuro che vuole bruciare qualcosa.

E l'Egitto è sulle labbra di molti israeliani in questo momento. Allora, che cosa si può fare per contribuire a portarlo dalle labbra ai piedi degli israeliani? Cosa si può fare per spingere gli israeliani a lottare per il cambiamento, lottare per la pace, per liberarsi da un conflitto che mina la loro auto- determinazione, la loro libertà?

Il BDS ha incassato una serie di successi, e questo è uno dei motivi per il quale il Knesset israeliano sta cercando di far passare una legge, nota come "legge Boicottaggio", che potrebbe effettivamente criminalizzare gli israeliani che si uniscono al movimento, sottoponendoli a pesanti multe.

E alcuni di coloro che sono impegnati nella campagna BDS sono già sottoposti ad una immensa pressione da parte dello Stato.

''La maschera della democrazia di Israele"

Leehee Rothschild, 26 anni, è una delle decine di israeliani che hanno risposto all'appello palestinese del 2005 per il BDS. Recentemente il suo appartamento di Tel Aviv è stato perquisito. La polizia lo faceva con il pretesto della ricerca di droghe, ma è stata portata alla stazione di polizia per un breve interrogatorio che è stato concentrato interamente sulla politica.

"La persona che è venuta a liberarmi [dall'interrogatorio] è stato un ufficiale dei servizi segreti che ha detto che è incaricato a monitorare l'attività politica dell'area di Tel Aviv ", ha detto Rothschild. A chiedere il mandato di perquisizione è stato questo ufficiale.

A seguito dell'Operazione Piombo Fuso, attivisti israeliani hanno riferito di pressioni sempre maggiori da parte della polizia così come i General Security Services - conosciuti con il loro acronimo ebraico, Shabak.

Il mandato di quest'ultimo include, tra le altre cose, l'obiettivo di mantenere Israele come Stato ebraico, pertanto coloro che auspicano la democrazia diventano degli obiettivi.

Le perquisizioni, come quella subita da Rothschild, non sono rare, né sono le telefonate da parte di Shabak.

"Ovviamente [la pressione] non è niente in confronto a quello che i palestinesi devono affrontare", ha detto Rothschild. "Ma penso che stiamo toccando un nervo scoperto".

Alla domanda sulla proposta di legge sul boicottaggio, Rothschild, commenta: "Se la legge viene approvata, si strapperà, un po' di più, la maschera della democrazia di Israele".

Amore duro

Per quanto riguarda il suo coinvolgimento nella campagna BDS, Rothschild commenta che non era a conoscenza del movimento fino a quando non è diventato un argomento serio di discussione all'interno della sinistra radicale israeliana, in cui era già attiva, e anche dopo aver sentito parlare del BDS, non ha aderito alla campagna subito.

"Ho avuto delle riserve in merito [al BDS]," Rothschild ricorda. "Ci ho pensato per molto tempo e ne ho discusso con me stessa e i miei amici.

"La riserva principale che avevo era che gli aspetti economici avrebbero danneggiato per prima i più deboli della società - la gente povera – coloro che hanno il minimo effetto su quello che sta succedendo. Ma ora penso che l'occupazione sta danneggiando queste persone molto più di quanto il boicottaggio".

Rothschild rileva che i fondi statali che vengono versati in "sicurezza e difesa e nell'oppressione del popolo palestinese" potrebbero essere meglio utilizzati in Israele per aiutare gli strati socioeconomici più deboli.

"Un'altra riserva che avevo era che si potrebbe rendere l'opinione pubblica israeliana più estremista, più fondamentalista", aggiunge Rothschild. "Ma devo dire che per diventare più estremista la strada non è ora molto lunga".

Come israeliana, Rothschild, ritiene che aderire al movimento BDS sia un atto premuroso. È un atto di amore duro per il paese in cui è nata e cresciuta.

"Spero che, per alcune persone, sarà uno schiaffo in faccia e loro si sveglieranno e vedranno cosa sta succedendo ", Rothschild, dice, aggiungendo che gli oppressori sono pure oppressi.

"Il popolo israeliano è oppresso dall'occupazione - vivono all'interno di un società che è militarizzata, violenta e razzista".

'Rinnegare i miei privilegi'

Ronnie Barkan, 34 anni, spiega che ha fatto il primo passo verso il boicottaggio 15 anni fa, quando ha rifiutato di completare il servizio militare obbligatorio.

"Ci sono tante pressioni sociali [in Israele]", Barkan dice. "Siamo cresciuti sin dalla scuola materna per essere soldati. Ci insegnano che è nostro dovere [servire nell'esercito] e se non lo vuoi fare, sei un parassita o un traditore".

"La cosa peggiore è che siamo cresciuti ad essere profondamente razzisti", aggiunge. "Tutto è mirato a sostenere i privilegi [ebraici] come i padroni della terra. Sostenere la campagna BDS significa rinunciare ai miei privilegi in questa terra e insistere sull'uguaglianza per tutti".

Barkan paragona la sua adesione al movimento di boicottaggio ai "bianchi che hanno rinunciato ai loro privilegi nel Sud Africa dell'apartheid e si sono uniti alla lotta dei neri".

Quando ho rabbrividito sentendo la parola 'apartheid', Barkan ha subito risposto: "Israele è chiaramente conforme alla definizione giuridica del 'crimine di apartheid' come definito nello Statuto di Roma".

'Mai più per nessuno'

Alcuni si oppongono al BDS perché fra le richieste c'è il riconoscimento del diritto di ritorno dei palestinesi. Questi critici dicono che l'evoluzione demografica intaccherebbe l'auto-determinazione ebraica. Ma Barkan sostiene che "il fondamento di base [del movimento] sono i diritti umani e il diritto internazionale universalmente riconosciuti".

Sottolinea che il BDS rispetta i diritti umani sia per i palestinesi che per gli ebrei e comprende fautori di uno stato democratico bi-nazionale così come quelli che credono che una soluzione a due stati sia la migliore risposta al conflitto.

Sottolinea inoltre che il BDS non è anti-semita. Né è anti-israeliano.

"La campagna di boicottaggio non prende di mira gli israeliani, ma le politiche criminali di Israele e le istituzioni che ne sono complici, non gli individui", ha detto.

"Quindi mettiamo che un musicista o accademico israeliano va all'estero e si è allontanato da una conferenza o un evento solo perché è israeliano..." comincio a chiedere.

"No, no, questo non rientra nelle linea guida del boicottaggio", Barkan dice.

"Perché questo non è un boicottaggio. Si tratta di razzismo," dico io.

"Esattamente", risponde Barkan, aggiungendo che l'appello palestinese per il BDS è "un appello molto responsabile" che "fa una differenziazione tra le istituzioni e gli individui ed è chiaramente un boicottaggio delle istituzioni criminali e le loro rappresentanti".

"Ogni volta che c'è una zona grigia", aggiunge, "noi prendiamo l'approccio più soft".

Eppure, Barkan è stato criticato per il suo ruolo nel movimento di boicottaggio.

"Mia nonna che è stata ad Auschwitz mi dice, 'Puoi pensare quello che vuoi ma non esprimere le tue politiche perché non sono belle', e io le dico: 'Tu sai chi non si è espresso 70 anni fa'".

Barkan aggiunge: "Penso che la lezione principale da trarre dall'Olocausto è 'Mai più per nessuno' e non 'mai più per gli ebrei'".

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29 marzo 2011

Boicottare la rappresentazione dell'Aida in Israele.

A partire dai primi giorni del mese di giugno a Masada, sulle rive del Mar Morto, avrà luogo il Masada – Dead Sea and Jerusalem Opera Festival, una manifestazione che vede in programma la rappresentazione dell’Aida di Verdi con la partecipazione di solisti italiani e stranieri.

I solisti italiani invitati sono Marco Berti, Micaela Carosi, Alberto Gazale, Piero Giuliacci, Ambrogio Maestri, Stefano Secco e Carlo Striuli. Sono previsti, inoltre, un concerto dell’orchestra dell’Arena di Verona con la direzione di Giuliano Carella e un concerto di Andrea Bocelli.

Nell’ambito delle iniziative dell’ICACBI – Italian Campaign for the Academic & Cultural Boycott of Israel, è stata inviata a tutti gli artisti invitati e al Consiglio di Amministrazione della Fondazione Arena di Verona una lettera aperta contenente l’invito a boicottare la manifestazione, invito che verrà esteso successivamente anche agli altri artisti stranieri coinvolti.

Va ricordato che il Festival di Masada si svolgerà ad un anno esatto dal brutale abbordaggio della nave turca Mavi Marmara da parte dei commando israeliani, che ha causato la morte di nove attivisti, alcuni dei quali colpiti alla schiena e uccisi a sangue freddo.

Anche il luogo dell’evento, Masada, è il simbolo della militarizzazione e del fanatismo della società israeliana. A Masada, le reclute dell’esercito israeliano pronunciano il giuramento di fedeltà al grido di “Mai più Masada cadrà”. E Masada 2000 è anche il nome di una organizzazione di seguaci del rabbino Kahane, nota per aver inserito nel web una lista di proscrizione “dedicata” a tutti gli Ebrei che non accettano passivamente e non condividono i crimini e le brutalità dello Stato israeliano, sprezzantemente definiti come “Ebrei che odiano sé stessi”, la cd. “S.H.I.T. list”.

E, dunque, un’opera coloniale, l’Aida, in uno stato coloniale sullo sfondo di Masada, un mito sfruttato per costruire l’identità nazionale israeliana: una ragione in più per non essere coinvolti in questa operazione.

Anche il mondo artistico dovrebbe stare dalla parte dei Palestinesi: se non ora, quando?

Per approfondire:

ICACBI Italian Campaign for the Academic & Cultural Boycott of Israel

ISM- Italia


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1 febbraio 2011

Israele (a ragione) teme il boicottaggio.

La pratica del boicottaggio contro i prodotti israeliani è forse l’arma non violenta più temibile che la società civile può adoperare contro Israele, l’occupazione illegale dei Territori palestinesi, i crimini dell’esercito israeliano.

Non è un caso che, in un
documento riservato di cui recentemente ha dato notizia Ha’aretz, i pur cauti capi delle missioni diplomatiche Ue in Israele e a Ramallah abbiano mutuato questo tipo di “arma”, suggerendo ai paesi membri dell’Unione europea di utilizzarla contro i prodotti e le aziende israeliane operanti a Gerusalemme est.

Sull’argomento, segue una interessante e divertente analisi di Douglas Hamilton, pubblicata sul sito web della Reuters.

Israele vede una minaccia nei “delegittimatori”.
di Douglas Hamilton – 23.1.2011

Proteste, boicottaggi, embarghi e sanzioni all'estero, insieme alla resistenza interna, hanno contribuito a portare all'isolamento e, poi, alla fine dell'apartheid in Sud Africa negli anni’90.

Ora, gli israeliani temono che gli attivisti pro-palestinesi, o anti-israeliani, stiano utilizzando le stesse tattiche contro il proprio paese, con sempre maggiore efficacia.

Carlos Santana, Gil Scott Heron, Elvis Costello, Gorillaz Sound System, i Klaxons, i Pixies, Faithless, Leftfield, Tindersticks, Meg Ryan e il regista Mike Leigh hanno deciso di non andare in Israele negli ultimi mesi.

Alcuni artisti da molto tempo sulla scena e più noti – tra cui Paul McCartney, Elton John e Rod Stewart - hanno invece ignorato la pressione della campagna per il boicottaggio.

Il sito web boycottisrael.info ne tiene conto.

Gli analisti israeliani dicono che la pressione viene esercitata sugli artisti da una rete globale di "delegittimazione".

Implicazioni strategiche

Il Sud Africa bianco è stato ostracizzato in una campagna durata anni. Oggi, Facebook e Twitter possono inviare messaggi di protesta a livello mondiale in pochi secondi, esercitando una pressione sugli artisti per convincerli a stare lontano da Israele e attirando l'attenzione di milioni di fan.

Per Israele, non è solo una questione di sentirsi isolato e incompreso. Ci sono serie implicazioni strategiche.

Con i negoziati di pace portati avanti dagli Stati Uniti fermi da settembre, i Palestinesi si sentono come se fossero “al posto di guida”, secondo quanto affermato da Yuval Diskin, capo dell'agenzia di sicurezza interna di Israele, lo Shin Bet, in una valutazione per il Parlamento.

"Questo processo si sta facendo strada," ha detto. "C'è una crescente tendenza verso il riconoscimento di uno stato palestinese, e una diminuzione della capacità di Israele di manovrare diplomaticamente".

Nessun paese ha riconosciuto l'annessione israeliana di Gerusalemme Est o i suoi insediamenti nella Cisgiordania occupata. È altrettanto improbabile che gli Stati Uniti e i suoi alleati riconoscerebbero una dichiarazione unilaterale di sovranità palestinese.

Le grandi potenze e le Nazioni Unite insistono che l'unica soluzione durevole al conflitto in Medio Oriente consiste in un accordo negoziale che porti alla creazione di uno stato palestinese. Sia Israele sia i Palestinesi sostengono di essere impegnati per questo obiettivo sfuggente.

Tuttavia, Israele è preoccupato che qualche mossa unilaterale - forse in occasione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a settembre - possa cambiare tutto, segnando un trionfo diplomatico di cui gioirebbero coloro che si augurano la definitiva distruzione dello Stato ebraico.

Nessun recupero

Israele è stato colpito dalle critiche internazionali per il suo attacco di tre settimane a Gaza che ha ucciso 1.400 palestinesi nel 2008-2009, e di nuovo per l'uccisione di nove attivisti turchi lo scorso maggio in un raid contro una flottiglia che cercava di rompere l'assedio di Gaza.

Sotto pressione da parte degli alleati stranieri, Israele in giugno ha allentato il blocco a un milione e mezzo di Palestinesi. Ma non vi è stato un effettivo recupero dal danno alla sua immagine. Israele dice che gli attivisti cinicamente e ingiustamente ignorano il fatto che Hamas e altri gruppi armati islamici a Gaza sono votati alla sua distruzione.

Il think tank Reut Institute, che si concentra su questioni di sicurezza e socio-economiche, sostiene che i delegittimatori cercano di negare il diritto di Israele ad esistere, raffigurandolo "sistematicamente, volutamente e diffusamente” come “crudele e disumano”, negando in tal modo la legittimità morale della sua esistenza.".

Israele è "marchiato come il nuovo Sud Africa dell'apartheid" che, secondo i delegittimatori, può essere addomesticato soltanto con la forza.

Essi hanno deliberatamente confuso la linea di confine tra la critica genuina e la demonizzazione, quindi anche le critiche in buona fede alla politica israeliana potenzialmente fanno il gioco della loro campagna, afferma il think-tank.

Delegittimazione è una parola ora utilizzata frequentemente dal primo ministro Benjamin Netanyahu e da alcuni dei suoi ministri.

Quando i giovani Ebrei statunitensi hanno interrotto il suo discorso a New Orleans a novembre, li ha severamente criticati come delegittimatori inconsapevoli.

Il suo ministro degli esteri, l’ultranazionalista Avigdor Lieberman, sta creando una commissione parlamentare per indagare sui finanziamenti di gruppi israeliani e stranieri, come Human Rights Watch, che sospetta facciano parte della rete globale di delegittimazione.

I critici di Lieberman sostengono che è lui a distruggere la reputazione di Israele come democrazia, liquidando pubblicamente le possibilità di una pace in Medio Oriente.

Oltre l'80 per cento dei 192 Stati membri delle Nazioni Unite riconoscono Israele. Con la recente aggiunta di otto Stati latino-americani, 108 paesi ora riconoscono lo Stato palestinese. Con una sufficiente pressione dell'opinione pubblica, i Palestinesi sperano che il numero si accresca.

L'impressione di alcuni israeliani che gran parte del mondo abbia dei pregiudizi nei loro confronti è stata di recente oggetto di satira con la parodia di una scuola materna in un popolare programma televisivo di satira israeliano dal titolo "Un paese meraviglioso".

Recitando la loro lezione, i bambini cantano: Israele non ha "nessuno con cui parlare" di pace. "La rimozione degli insediamenti non porterà la pace", cantano. "L'esercito di Israele è morale". "Dategli la Cisgiordania e loro vorranno Haifa".

Quando la maestra indica il "piccolo Israele" su un globo terrestre e chiede: come chiamiamo il resto del mondo?, i bambini rispondono in coro: "antisemita!".

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11 gennaio 2011

I diplomatici Ue: Gerusalemme est capitale palestinese!

Proprio all’indomani della demolizione, da parte israeliana, di un’ala dello storico Shepherd Hotel, nel popoloso quartiere arabo di Sheikh Jarrah – per farvi posto a 20 nuove unità abitative da destinare ai coloni israeliani – il quotidiano Ha’aretz da notizia di un rapporto redatto dai capi delle missioni diplomatiche dell’Unione europea a Gerusalemme e a Ramallah in cui si suggeriscono iniziative senza precedenti per contrastare e, in certo qual modo, sanzionare la giudaizzazione di Gerusalemme est.

Partendo dall’ovvio presupposto che non vi sarà mai pace tra Israeliani e Palestinesi senza che questi ultimi possano avere uno stato con Gerusalemme est come capitale, i consoli dell’Unione europea si spingono a suggerire una vera e propria svolta nei rapporti con Israele e nell’atteggiamento europeo rispetto all’occupazione israeliana, arrivando a suggerire misure come il boicottaggio dei prodotti israeliani provenienti da Gerusalemme est o il divieto di ingresso nei paesi Ue per i coloni “violenti”.

E’ un primo segno di risveglio dell’Unione europea di fronte alla situazione di totale illegalità che connota l’occupazione israeliana dei territori palestinesi, un segnale che rischia di arrivare tardi se consideriamo che a Gerusalemme est e nelle aree della West Bank annesse alla municipalità dopo il 1967 vivono ormai ben 190.000 Israeliani, a fronte di 250.000 Palestinesi ivi residenti.

Rimane da sperare che i suggerimenti dei diplomatici spingano finalmente i governi della Ue ad abbandonare la tradizionale pavidità e a costringere Israele, una volta per tutte, a rientrare nell’alveo della legalità internazionale.

DIPLOMATICI UE SOSTENGONO CHE GERUSALEMME EST DOVREBBE ESSERE TRATTATA COME LA CAPITALE PALESTINESE.

I consoli dell’Unione europea presso l’Autorità palestinese raccomandano il boicottaggio dei prodotti israeliani provenienti da Gerusalemme est, chiedono che funzionari della Ue siano presenti durante la demolizione delle case e le evacuazioni.

di Nir Hasson

Gerusalemme est dovrebbe essere trattata come la capitale dello Stato palestinese, secondo un rapporto redatto dai capi delle missioni diplomatiche europee a Gerusalemme e a Ramallah. Il rapporto include varie altre raccomandazioni senza precedenti per l’Unione europea per quanto riguarda il suo atteggiamento nei confronti di Gerusalemme est.

I diplomatici europei, soprattutto consoli, raccomandano inoltre che i funzionari e i rappresentanti politici della Ue si rifiutino di recarsi presso gli uffici governativi israeliani dislocati al di là della Green Line e declinino ogni misura di sicurezza da parte israeliana a Gerusalemme est sia nella Città Vecchia sia altrove.

Il rapporto, completato il mese scorso, è stato inviato a Bruxelles al principale organismo di politica estera della Ue, il Comitato per la Politica e la Sicurezza. Al momento non è stato divulgato, chiaramente a causa della delicatezza del suo contenuto.

Il rapporto dei diplomatici discute anche della possibilità di vietare l’ingresso nei paesi della Ue ai “coloni violenti di Gerusalemme est”. Per quanto riguarda il commercio, si raccomanda di incoraggiare il boicottaggio dei prodotti israeliani provenienti da Gerusalemme est.

La prima parte del rapporto descrive nei dettagli la costruzione e l’espansione degli insediamenti colonici a Gerusalemme est, la violazione dei diritti umani dei Palestinesi che risiedono nella parte orientale della città, così come la disuguaglianza in materia di istruzione e di servizi sanitari a disposizione dei Palestinesi. Il rapporto conclude che, al di là del loro significato umanitario, queste condizioni indeboliscono il controllo dei Palestinesi sulla città.

Le critiche europee alla politica israeliana nei territori e, in particolar modo, a Gerusalemme est, non sono nuove. Ma il cambiamento radicale contenuto nel rapporto lo si può vedere nelle misure operative che esso raccomanda, che di fatto pongono le basi per imporre sanzioni contro Israele.

Ad esempio, il documento propone che gli alti funzionari della Ue in visita non si avvalgano delle aziende israeliane operanti a Gerusalemme est, come alberghi e aziende di trasporto, e che non visitino i siti archeologici gestiti dalle “organizzazioni pro-coloni” (un riferimento al Parco Nazionale “Città di Davide”).

Il rapporto continua suggerendo di promuovere la consapevolezza dell’opinione pubblica sui prodotti provenienti dalle colonie, “per esempio fornendo assistenza ai principali rivenditori della Ue in materia di etichettatura di origine per i prodotti delle colonie”, e di informare i cittadini della Ue sui “rischi finanziari derivanti dall’acquisto di proprietà nei territori occupati di Gerusalemme est”.

I diplomatici raccomandano, inoltre, che la Ue incoraggi Israele a consentire la riapertura degli uffici dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) a Gerusalemme est, in linea con quanto previsto dalla road map. Israele ha chiuso le istituzioni dell’OLP durante la seconda Intifada.

Per il rapporto, inoltre, i diplomatici Ue sono chiamati a esprimere grande preoccupazione circa lo stato dei servizi di emergenza previsti per gli Arabi di Gerusalemme est durante i loro incontri con gli alti funzionari israeliani.

Il rapporto aggiunge che funzionari della Ue dovrebbero essere presenti in occasione della demolizione di case o della loro evacuazione, così come ai processi su tali questioni, nonché “assicurare l’intervento della Ue in caso di arresto o di intimidazione dei Palestinesi da parte delle autorità israeliane a causa delle loro pacifiche attività culturali, sociali o politiche a Gerusalemme est.”.

Il rapporto raccomanda, infine, che l’Unione europea “incoraggi i paesi arabi a riconoscere la dimensione multiculturale di Gerusalemme, ivi compreso il patrimonio culturale ebraico e cristiano”.

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3 dicembre 2008

Nessun accordo con questo Israele!

Domani, 4 dicembre, la sessione plenaria del Parlamento europeo dovrebbe assumere una decisione sull’eventuale rafforzamento dei rapporti tra la Ue e Israele.

Si tratta, in sostanza, di adottare un nuovo protocollo di cooperazione che offrirebbe ad Israele il pieno accesso a tutta una serie di programmi di ricerca scientifica, tecnica e accademica, offrendo uno Statuto di quasi membro della Ue ad un Paese che viola da decenni svariate risoluzioni Onu, che continua indisturbato la costruzione in territorio palestinese del muro di “sicurezza” dichiarato illegale dall’ICJ dell’Aja, che viola i diritti umani dei Palestinesi e commette quotidiani crimini di guerra nei Territori occupati, che discrimina sistematicamente le minoranze arabe presenti nel suo territorio.

Come ha affermato qualche giorno addietro il Primo Ministro palestinese Salam Fayyad, a partire da Annapolis e nonostante le solenni decisioni assunte in quella sede, Israele continua a non adeguarsi in nulla alla legalità internazionale e agli impegni dettati dalla Road Map; in particolare, l’attività di espansione degli insediamenti colonici nella West Bank continua indisturbata, aumentano i checkpoint, gli arresti e le demolizioni di case, e l’assedio della Striscia di Gaza e la letterale riduzione alla fame di un milione e mezzo di Palestinesi rappresenta un inaudito abominio e un gravissimo crimine di guerra.

In questo quadro, decidere di rafforzare ulteriormente i legami tra la Ue e Israele significherebbe mandare alla leadership e all’elettorato israeliani il chiaro messaggio che l’Europa sarà comunque al fianco di Israele e ne promuoverà una lenta ma costante marcia di avvicinamento e di integrazione, e ciò indipendentemente dai comportamenti concreti di Israele e dal progredire o meno del processo di pace con i Palestinesi.

Ieri il Ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni, davanti alla Commissione esteri del Parlamento europeo preparatoria di quella plenaria di domani, non ha avuto per niente toni concilianti, ed anzi, a fronte delle legittime preoccupazioni europee riguardo all’espansione degli insediamenti colonici in Cisgiordania e a Gerusalemme est, ha fermamente dichiarato che il processo di pace tra Israeliani e Palestinesi riguarda solo le due parti, e che non sono ben accette “interferenze” esterne: il che, in soldoni, significa affermare che si vuole mano libera per continuare negoziati di pace inutili e dilatori mantenendo, nel contempo, ben stretta la presa sui territori palestinesi e sulle loro risorse, e continuando l’odiosa e criminale occupazione militare che perdura da più di quarant’anni.

Tutto ciò non è ammissibile e, lungi dal decidere sul consolidamento delle relazioni, la Ue dovrebbe denunciare l’Accordo di associazione che la lega ad Israele, e che è subordinato – molti fingono di dimenticarlo – al “rispetto dei diritti umani e dei principi democratici cui si ispira la loro politica interna ed internazionale”.

Non è accettabile che la Ue promuova relazioni di alcun tipo con un vero e proprio Stato-canaglia, che pratica l’assassinio “mirato”, che viola la legalità internazionale, che viola costantemente i più basilari diritti umani dei Palestinesi, ivi incluso quello alla salute e all’integrità fisica, che pone in essere un infame assedio a un milione e mezzo di civili indifesi e abbandonati, cui non consente nemmeno l’accesso agli aiuti umanitari, che pratica sistematicamente la tortura, che utilizza l’arma del ricatto contro i malati, subordinando la possibilità di espatrio per curarsi alle informazioni rese ai servizi segreti.

E per questo che siamo chiamati a esercitare una ferma pressione, in ogni modo possibile, nei confronti dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo, perché votino contro questo accordo vergognoso.

Segue un facsimile di lettera da inviare al gruppo politico di riferimento.

Gentile Membro del Parlamento europeo,

come elettore del Suo collegio e come angosciato cittadino del mondo, La esorto a votare contro l’Accordo di Associazione Ue-Israele il prossimo 4 dicembre. Questo accordo comprende il rafforzamento di un’ampia gamma di rapporti con Israele – incluse le relazioni economiche, commerciali, accademiche, sulla sicurezza e diplomatiche – in un momento in cui l’Unione europea dovrebbe ritenere responsabile e contestare ad Israele le persistenti violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale.

La Ue è ben consapevole dell’occupazione illegale israeliana di Gaza e della Cisgiordania, inclusa Gerusalemme est, e della massiccia colonizzazione di quest’ultima; gli Stati-membri della Ue, peraltro, hanno sempre regolarmente votato le risoluzioni Onu di condanna verso Israele per le violazioni dei diritti umani, le punizioni collettive e la costruzione e l’espansione degli insediamenti colonici e del muro di “sicurezza”. Nel 2002, inoltre, il Parlamento europeo ha votato la sospensione dell’Accordo di Associazione Ue-Israele a causa delle violazioni dei diritti umani poste in essere da Israele. Dal momento che tali violazioni persistono, non vi è ragione per la Ue di modificare la propria decisione.

Israele mantiene ancora, da più di un anno, il suo criminale assedio a Gaza – descritto dall’attuale Relatore Speciale dell’Onu per i Diritti Umani Richard Falk come un “preludio al genocidio” – che è già costato la vita a centinaia di malati, specialmente bambini ed anziani, a cui è stato negata la libertà di recarsi all’estero per ottenere cure mediche adeguate. L’assedio israeliano ha intenzionalmente e sistematicamente impoverito centinaia di migliaia di Palestinesi di Gaza, più del 50% fino adesso, costringendo alla chiusura gran parte del settore industriale e rovinando l’agricoltura. La maggior parte delle infrastrutture è stata distrutta e l’economia è completamente al collasso; la malnutrizione dei bambini è in rapido aumento, come testimoniato da vari rapporti Onu.

Israele, inoltre, ha costantemente violato i diritti umani più basilari attraverso l’accerchiamento e il trasferimento forzoso di intere comunità palestinesi dietro il muro di “sicurezza” illegale, l’imprigionamento di migliaia di Palestinesi senza processo e la sua politica degli assassinii extra-giudiziari. Israele si è anche ostinatamente rifiutato, per oltre 60 anni e nonostante i suoi obblighi derivanti dal diritto internazionale, di riconoscere e di rendere effettivo il diritto di milioni di rifugiati palestinesi a ritornare nelle proprie case, come stabilito dalla risoluzione Onu n.194. Da ultimo, Israele in questi anni ha posto in essere un sistema legislativo e amministrativo caratterizzato dalla discriminazione razziale verso i Palestinesi con cittadinanza israeliana in settori vitali quali l’accesso alla terra e all’impiego, soltanto perché essi sono dei “non Ebrei”.

Ciò premesso, sono sgomento per il fatto che la Ue rifiuti di adottare concrete azioni di condanna contro Israele in relazione a ciascuno di questi addebiti. La Ue, al contrario, si propone di chiudere gli occhi di fronte alle violazioni israeliane dei diritti dei Palestinesi approfondendo le sue relazioni con la potenza occupante. Questi accordi di cooperazione, che accresceranno i legami di Israele con la comunità internazionale, sono uno dei principali motivi del persistere dell’occupazione, dell’esodo forzato e delle sistematiche discriminazioni razziali contro il popolo palestinese. Impegnandosi in questi accordi, la Ue manda il messaggio che, in realtà, essa passa sopra al regime di apartheid israeliano e non contesterà ad Israele le sue gravi violazioni dei diritti dei Palestinesi.

La esorto, pertanto, come deputato del Parlamento europeo e in tutta coscienza, a votare contro l’Accordo di Associazione Ue-Israele. Nel far questo, Lei avrà accolto l’appello del Comitato Nazionale palestinese per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni (BNC), che rappresenta l’intero spettro della società civile palestinese, e che è stato appoggiato da oltre 100 organizzazioni internazionali, per esercitare pressioni su Israele ed isolarlo, anziché rafforzare i legami con esso (http://www.bdsmovement.net/?q=node/179). Questo appello è stato accolto anche da padre Miguel D’Escoto Brockmann, Presidente dell’Assemblea Generale dell’Onu, il quale ha esortato le Nazioni Unite a considerare di seguire l’iniziativa di questa generazione della società civile che chiama ad una campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni per costringere Israele a porre termine alle sue violazioni.

Credo che sia giunta l’ora, con il Suo aiuto, che anche la Ue adotti questa posizione.

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28 aprile 2008

Le democrazie occidentali e la pulizia etnica della Palestina - Seminario

Il seminario inizialmente previsto presso l'Oasi di Cavoretto (Torino) si terrà invece presso la Università di Torino - Sala lauree della Facoltà di Scienze Politiche Palazzo Lionello Venturi, Via Verdi 25 - Torino

ISM-Italia
International Solidarity Movement – Italia

Seminario internazionale
Le democrazie occidentali e la pulizia etnica della Palestina
Torino 5 maggio pomeriggio e 6 maggio 2008
Sede del seminario: Università di Torino – Sala lauree della Facoltà di Scienze Politiche Palazzo Lionello Venturi, Via Verdi 25 - Torino

Indice
Perché questo seminario
Il programma del seminario
Come arrivare alla sede del seminario
Indicazioni logistiche
Organizzazione

Iscrizione al seminario
Per partecipare al seminario, anche in relazione al numero di posti limitato, è necessario iscriversi inviando una email a: piemonte@ism-italia.it con nome, cognome, eventuale organizzazione o associazione di appartenenza. Agli iscritti saranno riservati posti in sala.

"Verrà il tempo in cui i responsabili dei crimini contro l'umanità che hanno accompagnato il conflitto israelo-palestinese e altri conflitti in questo passaggio d'epoca, saranno chiamati a rispondere davanti ai tribunali degli uomini o della storia, accompagnati dai loro complici e da quanti in Occidente hanno scelto il silenzio, la viltà e l'opportunismo."
a cura di ISM-Italia
Torino, 26 aprile 2008

1. Perché questo seminario
Il 12 e il 13 maggio del 2006 si è tenuto a Biella il seminario "La dimensione della parola condivisa - Quale futuro per Palestina/Israele?" (http://www.frammenti.it/).

Al centro di quell'incontro la situazione in Palestina/Israele dopo la morte di Yasser Arafat e la scomparsa dalla scena politica di Ariel Sharon e dopo le elezioni palestinesi e israeliane dell'inizio del 2006. Ma più in particolare i temi della fine della soluzione "due popoli-due stati", della pulizia etnica della Palestina e dell'appello palestinese al boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni (BDS) dello stato di Israele.

A due anni di distanza un momento di ulteriore riflessione è stato suggerito non solo dall'incalzare degli eventi, la guerra in Libano, il genocidio in corso a Gaza e la pulizia etnica che prosegue in Cisgiordania, il fallimento, prevedibile e previsto, di ogni tentativo di soluzione (come ha confermato l'ultima conferenza di Annapolis), ma anche dalla ricorrenza dei 60 anni della Nakba (Catastrofe) palestinese e della costituzione dello stato di Israele.

Questo nuovo seminario ha come principale obiettivo quello di esaminare le responsabilità del mondo occidentale per tutto quello che è accaduto e accade in Palestina/Israele, di rispondere, almeno in parte, alla domanda posta da Ilan Pappe al termine di una sua conferenza: "Perché il mondo occidentale permette a Israele di fare tutto quello che fa?".

Due dei temi trattati nel seminario del 2006 hanno avuto un seguito con la pubblicazione in Italia del saggio "Palestina quale futuro? – La fine della soluzione dei due Stati", curato da Jamil Hilal con la collaborazione di Ilan Pappe e altri studiosi per i tipi della Jaca Book nel novembre 2007 e del saggio di Ilan Pappe "La Pulizia Etnica della Palestina", Fazi editore 2008, in arrivo nelle librerie.

Tra la fine di aprile e l'inizio di maggio saranno in libreria anche:
· il saggio di Yitzhak Laor "Il nuovo filosemitismo europeo e il 'campo della pace' in Israele", "Le Nuove Muse" 2008
· "Politica" (Poesie scelte 1997 – 2008) di Aharon Shabtai, Multimedia edizioni 2008

Il saggio di Laor oltre a esaminare il nuovo filosionismo europeo (di destra, di centro e di sinistra) analizza il ruolo che nel "campo della pace" israeliano esercita il trio Oz-Grossman-Yehoshua, considerati, completamente a torto, dall'opinione pubblica europea, anche secondo Tom Segev, tre scrittori "pacifisti" doc.

Le poesie di Aharon Shabtai indicano il retroterra del suo rifiuto a partecipare al Salone del Libro di Parigi: "Io non ritengo che uno Stato che mantiene un'occupazione, commettendo giornalmente crimini contro civili, meriti di essere invitato ad una qualsivoglia settimana culturale. Ciò è anti-culturale; è un atto barbaro mascherato da cultura in maniera cinica. Manifesta un sostegno ad Israele, e forse anche alla Francia che appoggia l'occupazione. Ed io non vi voglio partecipare."

Un altro testo importante è "Il mondo moderno e la questione ebraica" di Edgar Morin, Raffaello Cortina editore 2007.

Nel 2007 si è inoltre riaperto il dibattito sulla proposta di uno stato unico, laico e democratico, nella Palestina storica (Corso estivo a El Escorial, luglio 2007 e Conferenza di Londra, 17-18 novembre 2007).

Il seminario del 5 – 6 maggio è stato preceduto a Torino da molte iniziative tra le quali la presentazione di saggi come "Disonesto ma non criminale" di Amedeo Cottino (Carocci 2005), "Politicidio – Sharon e i Palestinesi" di Baruch Kimmerling (Fazi editore 2003) e "Il Muro di Ferro" di Avi Shlaim (Casa editrice il Ponte 2003).

Il seminario si svolgerà pochi giorni prima dell'apertura della Fiera del Libro di Torino (8 – 12 maggio) e vuole essere una risposta critica alla decisione presa dalle autorità politiche locali, con il pieno appoggio di quelle nazionali, di invitare Israele come ospite d'onore dell'edizione 2008. Un invito di natura politico-propagandistica che nulla ha a che fare con la cultura, che costituisce un vulnus gravissimo del principio dell'autonomia della cultura e un passo emblematico verso la sua "militarizzazione". Come afferma un appello palestinese "dopo 60 anni di espropriazione e di pulizia etnica, non c'è nessuna ragione per celebrare "i 60 anni di Israele! Ma vi sono miriadi di ragioni per riflettere, impegnarsi e lavorare per la pace e la giustizia."

Un invito a favore del quale si sono schierati tutti, o quasi tutti, politici, media, intellettuali e accademici, i "chierici" sempre pronti 'al tradire e al servire', a conferma del livello di ipocrisia, di menzogna e di cinismo del mondo occidentale, denunciato, tra gli altri, da alcuni giornalisti indipendenti (David Rose) e da alcuni importanti diplomatici dell'ONU (Alvaro de Soto, John Dugard e James Wolfensohn).

Il seminario vuole essere una occasione "per riflettere, impegnarsi e lavorare per la pace e la giustizia".

2. Il programma del seminario
Lunedì 5 maggio
14.00/15.00 Welcome e registrazione
15.00/15.30 Sessione di apertura
Alfredo Tradardi In memoria di Tanya Reinhart
Gianni Vattimo Le ragioni del seminario

15.30/17.30 Panel 1 La pulizia etnica della Palestina
Coordina Diana Carminati
Ilan Pappe Intervento video-registrato
Wasim Dahmash Fonti documentarie arabe della pulizia etnica della Palestina
Angelo D'Orsi La pulizia etnica della Palestina di Ilan Pappe
Giorgio S. Frankel I territori occupati: obiettivi irrinunciabili della politica israeliana
Intervento di Tariq Ramadan

Coffee break
17.45/20.00 Tavola rotonda
Dopo sessanta anni di espropriazione e di pulizia etnica boicottare le celebrazioni dei "60 anni di Israele" a Torino e in ogni altro luogo
Coordina Alfredo Tradardi
Jonathan Rosenhead Le ragioni generali del boicottaggio accademico e culturale di Israele
interventi di Wasim Dahmash, Tariq Ramadan, Aharon Shabtai, Gianni Vattimo

Martedì 6 maggio

9.00/11.00 Panel 2 Oltre le cortine di fumo mediatiche
Coordina Wasim Dahmash
Domenico Losurdo Il linguaggio dell'impero
Giorgio S. Frankel Gli interessi occidentali nella guerra infinita di Israele
Diana Carminati Le verità scomode di A. De Soto, J. Dugard, D. Rose e J. Wolfensohn
Massimo Zucchetti L'accordo di cooperazione militare Italia-Israele

Coffee Break
11.15/13.00 Panel 3 Necessità di visioni nuove
Coordina Giorgio S. Frankel
Wasim Dahmash Cenni sulla storia delle proposte di soluzione del conflitto in M.O.
Ghada Karmi Le radici storiche dell'idea dello stato unico

14.00/15.00 Panel 4 Il ruolo dell'arte e della cultura
Coordina Angelo d'Orsi
Piero Gilardi L'arte dopo l'11 settembre
Aharon Shabtai La cultura in Israele in tempo di occupazione

Coffee Break
15.15/17.00 Tavola rotonda e dibattito conclusivo
I compiti dei movimenti no-war contro la guerra globale permanente
Coordina Gianni Vattimo

Traduzione simultanea a cura di Luisa Corbetta e Bianca Maria Petitti.

3. Come arrivare alla sede del seminario

Sede del seminario: Università di Torino – Sala lauree della Facoltà di Scienze Politiche Palazzo Lionello Venturi, Via Verdi 25
Nei pressi della Mole Antonelliana, di Piazza Castello, di Piazza Vittorio, di via Po.
Dalla stazione di Porta Nuova prendere la linea 68 in direzione Casale per 5 fermate e scendere in via Po.
In auto arrivare in Piazza Vittorio e utilizzare il parcheggio sotterraneo.

4. Indicazioni logistiche
Presso l'Oasi di Cavoretto sono state riservate camere singole e doppie al prezzo di lire 35 euro per persona per notte compreso il breakfast che si possono prenotare telefonando allo 011 6612300. Dalla sede del seminario all'Oasi di Cavoretto, ad ore indicate e su prenotazione al momento della registrazione, funzionerà un servizio navetta.
L'Oasi di Cavoretto è un complesso residenziale del Gruppo Abele situato nelle colline di Torino.

Come arrivare all'Oasi di Cavoretto:
Dalla stazione di Porta Nuova: prendere la linea 1 e scendere alla fermata CARDUCCI – recarsi alla fermata CARDUCCI CAPOLINEA prendere la linea 47 e scendere alla fermata FREGUGLIA CAPOLINEA. Seguire a piedi le indicazioni speciali per arrivare all'Oasi di Cavoretto.
Arrivo in auto: da piazza Gran Madre di Dio al termine di corso Casale proseguire per corso Moncalieri, superare piazza Zara, girare a sinistra in via Sabaudia. Seguire le indicazioni speciali per arrivare all'Oasi di Cavoretto.

Per informazioni info@ism-italia.it.

5. Organizzazione
L'organizzazione del seminario è stata curata da Ugo Barbero, Rosario Citriniti, Caterina Mollura, Grazia Raffaelli e Alfredo Tradardi.

Palestina News - voce di ISM (International Solidarity Movement) Italia http://www.ism-italia.it/

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2 aprile 2008

Guai a chi tocca Israele!

Non vi è quasi più limite, ormai, ai tentativi di mettere il bavaglio e di censurare ogni legittima espressione di dissenso verso le politiche assassine e i crimini di guerra perpetrati quotidianamente da Israele a danno del popolo palestinese.
Con la ormai celebre argomentazione dell'antisemitismo che si traveste da antisionismo si mira ad impaurire e a criminalizzare chi manifesta il proprio dissenso all'occupazione militare, al neocolonialismo, alle politiche di pulizia etnica e di discriminazione razziale di questo "faro di civiltà" del medio oriente.
Chi osa proporre un semplice boicottaggio alla Fiera del Libro di Torino viene insolentito e minacciato, contrariamente a chi sostiene un boicottaggio di ben altra portata ai danni della Cina, di cui nessuno mette in discussione la legittimità, ma semmai l'opportunità.
Chi manifesta pubblicamente e pacificamente il proprio sostegno alla causa palestinese deve sopportare ogni sorta di provocazioni e di violenza.
Mentre la lobby ebraica dell'informazione mette a tacere ogni notizia che possa minimamente mettere in cattiva luce lo Stato israeliano e i suoi cittadini ebrei.
Così accade che si dia ampio risalto alla notizia del pupazzo che uccide Bush sulla tv di Hamas, ma si tace dell'uccisione a sangue freddo di un Palestinese ad opera di un colono, che per questa "prodezza" viene addirittura premiato con 1.800 shekel da un gruppo rabbinico di estrema destra.
Così come si tace del rabbino che incita i propri concittadini ad "appendere ad un albero i figli del terrorista che ha compiuto l’attacco alla yeshiva Mercaz Harav”.
Ma nessuna tecnica propagandistica e nessun bavaglio censorio riusciranno mai a lavare la bandiera israeliana dal sangue palestinese di cui è macchiata.
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Provocazione sionista e poliziesca a Milano
Milano: sabato 29 marzo, all'interno della campagna nazionale di boicottaggio del governo israeliano nel ruolo di ospite d'onore alla fiera del libro di Torino, si è tenuta un iniziativa di controinformazione in preparazione del corteo nazionale del 10 maggio.
Il comunicato del centro sociale Vittoria:
Il presidio, con continui interventi al megafono, un volantinaggio di massa e l'affissione di striscioni per tutta la piazza, si è svolto davanti alla Feltrinelli di piazza Piemonte per denunciare la sua partecipazione alla fiera del libro, avallando cosi di fatto la legittimazione del governo terrorista israeliano e l'occupazione militare della Palestina e le sue politiche genocide e di apartheid.
Il presidio è stato oggetto, durante tutto il pomeriggio, di continue provocazione da parte di componenti della comunitè ebraica milanese a cui non abbiamo risposto se non con interventi politici di denuncia dell'arroganza e della violenza verbale del sionista di turno incapace di rispondere al carico di responsabilitè criminali del governo israeliano.
Nel tardo pomeriggio però le provocazioni hanno raggiunto un livello insostenibile quando un militante sionista ha platealmente strappato uno striscione di 10 metri su cui c'era la scritta "con il popolo palestinese che resisterà".
A questo punto, all'avvicinarsi dei compagni e delle compagne per allontanare il provocatore, la polizia presente ha caricato a freddo il presidio ferendo al volto e al torace con manganellate e colpi di casco alcuni dei nostri compagni e compagne.
Denunciamo con forza questa provocazione combinata che fa capire come Israele sia e rimanga il nervo scoperto e intoccabile di una politica di aggressione imperialista in tutta l'area mediorientale.
Ribadiamo che siamo e saremo sempre a fianco del popolo palestinese in lotta per la propria autodeterminazione e che in sintonia con la campagna nazionale di boicottaggio lavoreremo per essere in massa al corte nazionale del 10 maggio a Torino.
Boicottiamo Israele. Con il popolo palestinese che resiste.
I compagni e le compagne del Centro Sociale Vittoria

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22 giugno 2007

La luce alla fine del tunnel tra Gaza e Ramallah.

Quando la settimana scorsa ho visto alcune delle immagini provenienti dalle lotte intestine di Gaza, ho represso la mia angoscia e la mia ira al calor bianco, ricordando le sagge, quasi profetiche parole del grande educatore brasiliano, Paulo Freire, che scrisse:
"Il problema centrale è questo: come possono gli oppressi, essendo esseri divisi e inautentici, partecipare allo sviluppo della propria pedagogia della liberazione? Solo scoprendosi ad 'ospitare' l'oppressore possono contribuire al travaglio della loro pedagogia di liberazione. Finché vivono nel dualismo secondo cui essere significa essere come, e essere come significa essere come l'oppressore, questo contributo è impossibile. La pedagogia degli oppressi è uno strumento per la loro critica scoperta che sia essi che i loro oppressori sono manifestazione di deumanizzazione".
Apparentemente nessuna delle due parti in conflitto è riuscita a trascendere il suo ruolo di essere come l'oppressore.
Il rapidissimo successo di Hamas nell'acquisire con la forza il controllo dei presunti simboli del potere palestinese a Gaza non può e non dovrebbe oscurare il fatto che data l'irresistibile presenza dell'occupazione militare israeliana, il sanguinoso scontro tra il gruppo islamista e la sua controparte laica, Fatah, al di là dei motivi, è sceso al livello di una faida tra due schiavi che si contendono le briciole gettate loro, quando si comportano bene, dal loro comune dominatore coloniale.
Non vi è dubbio che una fazione interna di Fatah -- apertamente foraggiata, addestrata e ispirata da USA e Israele -- è la principale sospettata dietro il deflagrare di questa sanguinosa lotta che provoca devastazione a entrambe le parti, che molti osservatori vedono come una tentativo sottilmente velato di destabilizzare il governo democraticamente eletto di Hamas, costringendolo ad accettare diktat israeliani che finora aveva respinto. Inoltre, ogni decente esperto legale ammetterà subito che il cosiddetto "governo di emergenza", dichiarato dal Presidente dell'Autorità Palestinese Mahmoud Abbas, in risposta alla conquista di Gaza da parte di Hamas, viola diversi articoli della Legge Fondamentale, l'equivalente della Costituzione dell'AP.
Mentre la corruzione, l'assenza di legge, la speculazione e persino il tradimento da parte di sezioni di Fatah è divenuto noto e ben documentato da tempo, le tattiche brutali, spregiudicate ed in certi casi criminali usate da gruppi armati all'interno di Hamas ammonivano osservatori neutrali, disposti a concedere al gruppo il beneficio del dubbio, a ricordare che anch'esso contiene una forte fazione, affamata di potere, pronta a sacrificare principi e diritti umani per raggiungere i suoi obiettivi politici. Hamas non può andare esente dall'accusa che, partecipando alle elezioni legislative e munipali secondo le leggi e i parametri posti dagli Accordi di Oslo, ha già contribuito a legittimare i prodotti di quegli accordi, ed ha rinunciato alla sua posizione di movimento di resistenza votato principalmente a realizzare i principi fondamentali del programma di liberazione nazionale. Oltre a ciò, e a differenza degli assai più sofistacati e responsabili Hezbollah in Libano, Hamas, nello scorso anno e mezzo di esperienza di governo a vari livelli, ha rivelato la sua intrinseca tendenza, come tutti i movimenti islamisti, ad imporre la sua visione ideologica e sociale esclusiva, e a rigettare e, quando possibile, reprimere i diversi punti di vista e culture che sono in conflitto con quell'ordine.
In breve, il vuoto politico che inevitabilmente risulterà dalla crescente spaccatura tra Ramallah e Gaza e l'inarrestabile collasso delle strutture dell'AP e della rimanente autorità verrà con tutta probabilità riempito da una completa rioccupazione israeliana dell'intera West Bank e Gaza. Questo annuncerebbe la morte ufficiale del cosiddetto processo di pace di Oslo, che in realtà è collassato molto tempo fa sotto il peso dell'incessante espansione coloniale di Israele, del muro dell'Apartheid -- dichiarato illegale da parte della Corte Internazionale di Giustizia -- e l'intricato apparato di oppressione e umiliazione dei Palestinesi sotto il suo controllo.
Un tale scenario può condurre o a minacciare la sopravvivenza stessa del movimento nazionale palestinese ed il completamento del processo ben avviato di disintegrazione della società palestinese, o a innescare una rinascita della lotta palestinese per l'auto-determinazione. Perché si verifichi il secondo caso, comunque, occorrono due difficili ma realistiche condizioni: primo, la democratizzazione strutturale della Palestina, insieme alla riforma politica e alla ridefinizione delle priorità palestinesi; in secondo luogo, una revisione critica e un rilancio della strategia di resistenza, da prospettive sia etiche che pragmatiche. Entrambe sono urgentemente necessarie, per riallineare la lotta palestinese con il movimento sociale internazionale e porre di nuovo la questione della Palestina nell'agenda mondiale come una lotta di liberazione eticamente e politicamente realistica e giustificabile che -- di nuovo -- catturi l'immaginazione ed il sostegno dei progressisti e degli amanti della libertà di tutto il mondo.
Al fine di contrastare la duplice strategia israeliana, che da un lato frammenta e ghettizza ed espropria i Palestinesi, e dall'altro riduce il conflitto ad una disputa su un sottoinsieme di diritti palestinesi, l'OLP deve essere resuscitato e rimodellato per incorporare i principi, le energie creative, e le cornici nazionali dei tre principali segmenti del popolo palestinese: i Palestinesi nei Territori Occupati, i rifugiati palestinesi, e i cittadini palestinesi di Israele. Le organizzazioni di base dell'OLP hanno bisogno di essere ricostruite dal basso con una partecipazione di massa, e devono essere rette da una democrazia incondizionata e da rappresentanze proporzionali. Questo processo deve essere seguito da un ben pianificato trasferimento dei poteri dalla avvizzita AP ad un OLP ringiovanito, che includa l'intero spettro del movimento politico palestinese.
Per quanto riguarda le strategie di resistenza, non si può e non si deve separare i mezzi dai fini. Se la lotta per la libertà in Algeria, Irlanda del Nord e Sud Africa ci insegna qualcosa, è questo fatto. Indipendentemente dal diritto dei Palestinesi di resistere all'occupazione straniera con tutti i mezzi, riconosciutagli dal diritto internazionale, noi abbiamo un dovere morale di evitare tattiche che bersaglino indiscriminatamente i civili e corrompano la nostra stessa umanità. Allo stesso tempo, con un pieno rispetto al primo principio, abbiamo l'obbligo politico di scegliere metodi che massimizzino le notre vittorie. Dato il continuo nichilistico abuso e la completa inutilità della resistenza armata palestinese, l'unicità della sua difficoltà del contesto geopolitico in cui opera il movimento di resistenza palestinese, la frammentazione di fatto del popolo palestinese e l'isolamento della sua resistenza da potenziali fonti di risorse ed appoggio logistico, la resistenza civile che ha il potenziale di mobilitare la base palestinese sembra non solo moralmente ma anche pragmaticamente preferibile.
Le nuove campagne palestinesi per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni (BDS) contro Israele, modellate sull'esempio della lotta anti-apartheid in Sud Africa, ha gia mostrato con ampia evidenza di avere un grande potenziale di unire i Palestinesi ed il movimento internazionale di solidarietà in una strategia di resistenza che è morale, efficace e sostenibile. Solo negli ultimi, molti importanti ed influenti gruppi ed istituzioni hanno aderito all'invito palestinese per il boicottaggio, ed hanno iniziato a considerare ed applicare diverse forme di efficace pressione su Israele.
Tra queste ricordiamo la British University and College Union (UCU);Aosdana, l'accademia di artisti sostenuta dal governo irlandese; la Chiesa d'Inghilterra; la Chiesa Presibiteriana (USA); importanti architetti britannici guidati dall'organizzazione Architects and Planners for Justice in Palestine (APJP); la National Union of Journalists nel Regno Unito; l'organizzazione Congress of South African Trade Unions (COSATU); il Consiglio delle Chiese Sud Africano; il sindacato del pubblico impiego nell'Ontario; e dozzine di celebri autori, artisti e intellettuali guidati da John Berger, tra molti altri.
L'intensificarsi dell'oppressione dei Palestinesi, particolarmente a Gaza, con un'impunità senza precedenti è stato il fattore di innesco principale per l'estendersi del boicottaggio. Con la sua spietata distruzione delle infrastrutture palestinesi, la deliberata uccisione di civili, in modo particolare bambini, il muro di apartheid, le strade e le colonie per soli Ebrei, l'incessante confisca di terra e risorse idriche, e l'orrifica negazione di libertà di movimento per milioni di persone sotto occupazione, Israele ha mostrato alla comunità internazionale la sua totale mancanza di rispetto per il diritto internazionale e i fondamentali diritti umani.
Questa ultima dose di "caos costruttivo" in stile americano -- ispirato da Israele -- nei Territori Occupati palestinesi può avere effetti assai distruttivi sulle poliche USA e Israeliane nella regione. Con l'imminente dissipazione dell'illusione che una sovranità nazionale palestinese possa essere stabilita sotto l'egemonia coloniale di Israele, molti Palestinasi stanno ora seriamente mettendo in discussione la saggezza del mantra dei due stati, e considerando di riformulare i termini della propria causa come una causa di eguale umanità e piena emancipazione, all'interno della cornice di uno stato democratico ed unitario per Israeliani e Palestinesi nella Palestina storica. Dopo quasi tre decenni di "assopimento della coscienza" sull'idea che solo una soluzione a due stati possa soddisfare le esigenze dei Palestinesi, gli USA ed Israele stanno raccogliendo quello che hanno seminato: il collasso di ogni finzione di indipendenza ed integrità dell'AP -- che finora è stata incaricata di sollevare Israele dal peso del suo ruolo coloniale contro gli abitanti della West Bank e di Gaza sotto occupazione -- ed il montante scontento palestinese (se non ancora un'aperta rivolta) verso il gioco di un unilaterale compromesso palestinese verso le insaziabili richieste israeliane di ulteriori cedimenti che comportino perdite di terra, risorse, libertà e le prospettive sinistre, quanto reali, di un crollo della società.
La fine della soluzione a due stati non merita che vi si versino sopra troppe lacrime. Oltre ad aver passato la sua data di scadenza, essa non fu mai una soluzione morale, tanto per cominciare. Nel migliore dei casi, se la Risouzione ONU 242 fosse stata meticolosamente implementata, essa avrebbe dato risposta solo ai diritti legittimi di meno di un terzo del popolo palestinese su meno di un quinto della loro terra ancestrale. Più di due terzi dei Palestinesi, i rifugiati più i cittadini palestinesi di Israele, sono stati espunti in modo miope e maligno dalla definizione di Palestinesi.
E' ora più chiaro che mai che la soluzione a due stati -- oltre ad essere solo un travestimento per il protrarsi dell'occupazione israeliana ed un meccanismo per dividere permanentemente il popolo di Palestina in tre segmenti sconnessi -- era inteso soprattutto ad indurre i Palestinesi a rinunciare al proprio inalienabile diritto al ritorno dei rifugiati nelle loro case e terre dalle quali furono cacciati nella pulizia etnica attuata dai sionisti durante la Nakba (catastrofe) del 1948.
La soluzione ad un unico stato viene percepita sempre di più dai Palestinesi e dalla gente di coscienza nel mondo come l'alternativa morale al dominio coloniale ed apartheid di Israele. Una tale soluzione, che promette una inequivoca uguaglianza nella cittadinanza, come nei diritti comuni e dell'individuo, sia ai Palestinesi (rifugiati inclusi) che agli Ebrei israeliani, è la più appropriata per riconciliare ciò che oggi appare come irreconciliabile: i diritti inalienabili, sanciti dalle Nazioni Unite, all'autodeterminazione del popolo indigeno di Palestina, al rimpatrio, e all'uguaglianza, in armonia col diritto internazionale e, d'altro canto, il diritto acquisito ed internazionalmente riconosciuto degli Ebrei Israeliani di vivere in Palestina -- da eguali, e non da padroni coloniali.
20 giugno 2007
Omar Barghouti (analista politico palestinese indipendente)
Originale da Electronic Intifada
Tradotto dall'inglese all'italiano da Gianluca Bifolchi, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguística. Questo articolo è in Copyleft per ogni uso non-commerciale: è liberamente riproducibile, a condizione di rispettarne l'integrità e di menzionarne l'autore e la fonte. URL di questo articolo: http://www.tlaxcala.es/pp.asp?lg=it&reference=3061

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